Famiglia

Per fare un albero… ci vuole una donna

Grazie al suo green belt movement, ha piantato 30 milioni di alberi.Ed è stata anche in carcere.Senza mai fermarsi.«Le piante sconfiggeranno la povertà»

di Paolo Manzo

L?anno scorso la notizia della vittoria del premio Nobel per la pace la colse mentre era intenta all?attività che l?ha resa un simbolo, in Africa e altrove: stava piantando un albero. Ecomondo: Il ruolo delle donne in difesa della natura e delle risorse naturali, soprattutto nei paesi più poveri, è in forte crescita. Come si modificherà, secondo lei, in futuro? Maathai: Il ruolo delle donne è fondamentale per la difesa della natura. Pensi che io iniziai ad appoggiare attivamente il movimento ambientalista kenyano nel 1973, quando nel mio Paese avevano cominciato i preparativi per la conferenza delle Nazioni Unite in Messico dove si celebrava l?Anno internazionale della donna. Andai ad ascoltare alcune donne kenyane che mi dissero che la loro prima preoccupazione era costituita dall?acqua, dall?incendio delle foreste e dalla carenza di alimenti… Lì mi si ?accese la lampadina? per fondare il Green Belt Movement, con cui ho attivato donne povere per piantare 30 milioni di alberi. E oggi i miei metodi sono stati adottati anche da altri Paesi. Il problema è che, quando ci sono situazioni di povertà le disuguaglianze aumentano, e le donne tendono a occupare posizioni socioeconomiche molto basse. Finché non miglioriamo l?economia dei nostri Paesi è difficile migliorare la posizione delle donne, ma voglio dire a tutte le donne dell?Africa e del mondo che solo noi possiamo continuare a batterci per i nostri diritti, per una migliore posizione nella società. Abbiamo dimostrato di poterlo fare in molti modi e dobbiamo continuare, in modo da avere una massa di donne che abbattano queste barriere. Solo a quel punto i governi parificheranno i nostri diritti a quelli degli uomini. Ecomondo: Qual è il ruolo della crescita della società civile dei paesi più poveri nella cultura ambientale ? Ha prodotto risultati tangibili? Maathai: Negli ultimi anni in Africa la società civile ha fatto emergere la consapevolezza, sia tra la gente comune sia ai piani alti dei governi, sulla necessità inderogabile di proteggere l?ambiente. E benché, a causa della povertà, spesso l?ambiente resti degradato, oggi c?è molta più consapevolezza e volontà, a tutti i livelli, di tutelarlo. Certo c?è ancora bisogno di molta educazione, affinché la gente possa capire cosa noi intendiamo per ?gestione sostenibile dell?ambiente?. Ed è proprio per questo che l?obiettivo numero sette dei Millennium Goals delle Nazioni Unite, quello di assicurare sostenibilità ambientale entro il 2015, è prioritario per il futuro del mondo in cui vivranno i nostri figli e i nostri nipoti. E perché sia recepito la società civile è importantissima ma, inutile negarlo, non può fare tutto da sola: deve lavorare con i governi e con il settore privato che, da parte sua, deve diventare più responsabile nell?utilizzare le risorse naturali. Ecomondo: Per lei quant?è stata difficile questa battaglia? Come e perché ha deciso di intraprenderla ? Maathai: Il mio ingresso nella società ambientalista è stato – tutto sommato – casuale: la conferenza dell?Onu, quelle donne riunite a prepararla… Poi, però, a causa delle mie battaglie a favore dell?ambiente, sono iniziate le difficoltà, e sono persino finita in prigione, ma la ragione per cui il governo kenyano osteggiava ciò che stavo facendo non era tanto da collegare alla mia battaglia ambientalista: in realtà, l?allora presidente Daniel Arap Moi non voleva che organizzassi le donne del mio Paese, perché per piantare alberi bisogna prima organizzare gruppi ed educare i componenti affinché si preoccupino di ambiente ma anche di essere buoni cittadini. In una parola: con la mia attività io e il Green Belt Movement facevamo capire ai miei connazionali l?interconnessione tra cattivo governo, degrado ambientale e molti dei loro problemi. Oggi, dopo anni passati all?opposizione contro il regime di Arap Moi, sono stata eletta in Parlamento e il nuovo presidente Mwai Kibaki mi ha nominata viceministro dell?ambiente e delle risorse naturali. La battaglia per la salvaguardia ambientale, però, è ancora lunga. Ecomondo: L?Italia è uno dei più grandi importatori di legno tropicale africano. Il governo italiano ha un ruolo attivo nel contrastare il commercio illegale? Maathai: Come tutti i Paesi che importano legname deve contrastare i commerci illegali. Ma lo stesso devono fare i governi dei Paesi esportatori. Ecomondo: Perché ha scelto come obiettivo la piantumazione di alberi? Maathai: Le rispondo con la frase che dicevo sempre alle donne del Green Belt Movement: «Se diciamo di essere troppo poveri per occuparci dell?ambiente, la situazione non può che peggiorare. Dobbiamo voltarci indietro e respingere la povertà. Piantare alberi rompe il circolo: quando possiamo procurarci cibo, legna e nutrire il suolo per piantarli e per avere acqua pulita, allora cominciamo a far ritirare la povertà». Mi sono spiegata? Dal Kansas al Kenya Wangari Maathai, 65 anni, ha fondato il movimento Green Belt nel 1977, e grazie a un progetto da lei ideato ha fatto piantare più di 30 milioni di alberi. Laureata in biologia all’università del Kansas, ritornò in Kenya, dove entrò all’università di Nairobi e ottenne il dottorato e poi la docenza, fino a diventare preside della facoltà di veterinaria. Nel 1998 si oppose al progetto del presidente del Kenya di eliminare centinaia di acri di foreste. Nel 1991 venne arrestata e liberata dopo una campagna di Amnesty International. Nel 1999 venne ferita alla testa mentre piantava alberi. Dal gennaio del 2002 è Visiting Fellow all’università di Yale. Eletta al Parlamento kenyiota nel dicembre 2002, dal gennaio 2003 è sottosegretario al ministero dell’Ambiente. È Nobel per la pace 2004.


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