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Per chi vota il Terzo Settore?
Christopher E. Gunn, docente di Economia del non-profit alla Cornell University, spiega a Vita le differenza tra Obama e Romney in tema di welfare
Capire quale dei due candidati possa davvero fare la differenza per il Terzo settore, in un periodo congiunturale come questo, non è così semplice». Secondo Christopher Gunn, storico docente di Economia del non profit all’Hobart and William Smith College della Cornell University, il passato di impegno civile di Barack Obama non basta a rendere il presidente in carica il paladino della società civile americana. Attento studioso del Terzo settore Usa fin dagli anni Settanta, Gunn dipinge una situazione delicata, in cui le posizioni opposte dei due candidati su temi quali la riforma fiscale e l’utilizzo di fondi pubblici a favore dei programmi anti-povertà, potrebbero aprire scenari che da questa parte dell’Atlantico è difficile cogliere.
Professor Gunn, chi tra Obama e Romney può essere considerato il candidato più “affidabile” per le istanze del Terzo settore statunitense?
La questione è molto più complessa di quel che si pensi. Romney ha dichiarato l’intenzione di tagliare le spese governative, soprattutto i finanziamenti ai programmi sociali, un campo in cui le associazioni sono molto attive. Da un certo punto di vista questa potrebbe rappresentare un’opportunità per il non profit, per il quale si aprirebbero nuovi spazi di intervento, per supplire ai servizi che non saranno più garantiti dal pubblico. Ciò ovviamente sarebbe possibile solo nel caso in cui sia previsto un meccanismo per dare alle organizzazioni le risorse necessarie per assumersi un impegno simile. Obama invece ha dimostrato di avere molto più feeling con i temi che riguardano il non profit: viene da un passato di attivismo ed è a favore di una politica di sostegno, anche economico, delle associazioni. Purtroppo la situazione economica rende impossibile capire quale delle due proposte dei candidati sia quella più attuabile. D’altra parte, dobbiamo ricordare che una delle ragioni per cui il non profit è così diffuso negli Stati Uniti è la presenza molto limitta del welfare pubblico. Uno dei temi chiave della campagna elettorale è proprio sui servizi di welfare essenziali che il governo deve garantire ai cittadini.
Come giudica quanto ha fatto durante il suo primo mandato Barack Obama per il non profit americano?
Obama è stato promotore di alcune iniziative decisamente positive. Si è battuto a sostegno dell’ Edward M. Kennedy American Act, che promuove il volontariato ed estende il programma di servizio civile nazionale ai ragazzi delle scuole superiori, coinvolgendo soprattutto quelli che vivono nelle zone più a rischio criminalità, in programmi per il miglioramento della loro comunità. Questo è stato un passo importante per il mondo del non profit più tradizionale. Durante l’amministrazione Obama, inoltre, è stata istituita alla Casa Bianca una “Commissione per l’innovazione sociale e la partecipazione civica”, mentre la recente riforma della sanità ha coinvolto attivamente il non profit, in modo particolare gli ospedali e gli ambulatori gestiti dalle organizzazioni e le fondazioni che li sostengono. Prima di diventare presidente, a Chicago, Obama aveva lavorato per diversi programmi di sviluppo comunitario, portati avanti dalla società civile, quindi conosce molto bene il Terzo settore. Il rapporto di Romney con il non-profit è invece soprattutto riconducibile alle donazioni che ha effettuato prevalentemente a favore di associazioni religiose, che hanno certamente dei forti legami con la comunità, ma riguardano prevalentemente i fedeli della propria congregazione. Sulla politica fiscale, i due candidati hanno posizioni molto diverse. Obama è cauto nella riduzione della pressione fiscale, Romney è per un fisco iper leggero.
Quale delle due politiche favorirà maggiormente il flusso di donazioni al non profit?
Le due proposte hanno implicazioni molto diverse. Un aumento dell’aliquota fiscale marginale che, per inciso, così come la propone Obama, in realtà non rappresenta un aumento rilevante paragonato ai nostri standard storici, sicuramente spingerebbe le persone più abbienti ad aumentare le donazioni al non profit. L’intenzione di Romney di abbassare l’aliquota fiscale marginale dei contribuenti più ricchi, invece, potrebbe effettivamente penalizzare il non profit, perché ridurrebbe l’incentivo – fiscale – alle donazioni. Per quanto riguarda il non profit “attivo”, Obama ha promesso di rifinanziare i programmi anti povertà già attivati dal governo, mentre Romney ha idee diverse sulla strategia di contrasto alla miseria.
Secondo lei, quante delle promesse fatte in campagna elettorale che toccano il Terzo settore verranno mantenute?
Se Obama verrà rieletto e sarà in grado di lavorare in sintonia con il Congresso, potrebbe davvero ampliare i programmi antipovertà già attivati nel primo mandato, perché le persone ne riconoscono l’importanza. E i fondi che verranno stanziati per sostenere questi programmi verranno ampliamente gestiti dal non-profit. In realtà, anche Romney sarebbe d’accordo ad affidare al non-profit la gestione dei programmi anti povertà, ma non è ben chiaro quali risorse intende mettere a disposizione per questo tipo di intervento: non pare a favore dell’utilizzo di soldi pubblici a sostegno di questo tipo di programma. Quindi credo che la posizione di Obama, in un certo senso, sia quella più affidabile.
Qual è la prima cosa che il nuovo presidente dovrebbe fare per il non profit appena insediato nello Studio Ovale?
La nostra attuale politica fiscale favorisce e incoraggia solo le donazioni dei cittadini più ricchi, cioè quelli che fanno una dichiarazione distinta delle spese deducibili. La popolazione a medio e basso reddito al momento non gode di nessun beneficio quando effettua un’offerta a un’associazione. Sarebbe invece importante utilizzare, come incentivo alle donazioni, la detrazione fiscale, a cui possono accedere tutti, anche coloro che compilano una dichiarazione dei redditi semplificata. Questo sarebbe un modo efficace di coinvolgere nel sostegno al non profit anche la popolazione a medio e basso reddito. È da tempo che si parla di questa riforma, ma nessuno ancora è riuscito a realizzarla. Sarebbe comunque un ottimo modo per rivoluzionare anche l’atteggiamento dello stesso non profit che, in America, è spesso costretto a “corteggiare” i più ricchi.
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