Per chi suona la campanella

di Simone Chiaramonte

Benvenuti nell’Italia dei balocchi. A giudicare dallo studio sui sistemi educativi nei paesi Ocse ‘Education at a glance’, i suoi abitanti presto inizieranno a ragliare: con una spesa per l’istruzione pari al 9 per cento del totale della spesa pubblica – contro una media del 13 per cento- la penisola è al penultimo posto su 32 paesi industrializzati per investimenti nella scuola. A determinare la posizione in classifica non conta in questo caso la ricchezza di un paese, tantomeno l’ammontare del suo debito pubblico. Il rapporto è determinato infatti dalle scelte politiche di chi ha il compito di allocare le risorse di uno stato. Nel caso dell’Italia decisioni orientate evidentemente a ridimensionare il ruolo della scuola. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Cattedre scoperte, orari ridotti, strutture fatiscenti. Diminuisce la quota di spesa pubblica destinata alla scuola, aumenta quella delle famiglie per garantire un’adeguata istruzione ai figli: il ‘caro libri’, dovuto essenzialmente alle strategie adottate dalle case editrici per contrastare il mercato dell’usato, e il ridimensionamento del trasporto pubblico locale, particolarmente percepito nei piccoli centri, rappresentano due uscite importanti nei bilanci familiari. A Padova è partita addirittura una colletta per pagare i libri a studenti in difficoltà. E la principale indicazione evidenziata dal rapporto Ocse di quest’anno è proprio quella che riguarda la correlazione tra condizione sociale della famiglia e successo scolastico.

Di fronte ad una scuola disastrata emergono le iniziative di genitori e studenti che, approfittando della pausa estiva, – a Roma come in altre città d’Italia – si organizzano per prendersi cura degli ambienti scolastici: tinteggiano le aule, forniscono gli arredi, eseguono interventi di manutenzione, supervisionano i lavori di ristrutturazione. Piccoli contributi dai risvolti positivi: i cittadini si riappropriano degli spazi pubblici, stabiliscono come e dove intervenire, alimentano relazioni interpersonali, apprendono nuove abilità, riducono la spesa per la manutenzione ordinaria degli istituti, si confrontano con le istituzioni, rafforzano il proprio potere contrattuale nelle rivendicazioni.

Deduzioni che non derivano da una mera speculazione filosofica ma dai risultati di un progetto volto a promuovere la formazione di una cittadinanza consapevolmente attiva. “Rock your School” (video di presentazione) ha permesso ad un gruppo di ragazzi di due istituti romani di riflettere sull’importanza della cura dei beni comuni e, nello specifico, delle proprie scuole. Gli studenti si sono confrontati per individuare gli spazi da valorizzare e le risorse da utilizzare. Hanno superato le timidezze e le perplessità iniziali per coinvolgere il maggior numero di persone. Si è così costituita una rete, composta da studenti, associazioni, genitori ed istituzioni, che ha permesso di restituire luoghi degradati ed inutilizzati ai presenti e futuri frequentatori degli istituti, all’interno e all’esterno degli edifici. Poi? A due anni dall’avvio del progetto gli spazi recuperati non solo non sono stati violati da nuovi atti vandalici, per la cui riparazione la Provincia di Roma spende la metà del suo budget destinato alla manutenzione scolastica, ma sono stati addirittura valorizzati grazie all’impiego di nuove forze raggiunte dal “vortice virtuoso” innescato da RyS.

Cittadini che non aspettano ma danno il buon esempio, a testimonianza di un anelito comunitario crescente che, attraverso la cura dei beni comuni, si oppone ad una mentalità diffusa nel Paese e per lungo tempo maggioritaria, all’origine di molti dei mali presenti: quel modello sociale che fa dell’amministratore un re, capace di influenzare i sottoposti con i suoi usi e costumi, e riduce il cittadino ad un cortigiano, affidatosi totalmente alle capacità taumaturgiche del sovrano.


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