Welfare
Per chi non attua il REI, ci vuole il commissariamento
Il decreto attuativo del reddito di inclusione inizia il suo ultimo passaggio in Parlamento. Per la prima volta da vent'anni ci sono investimenti importanti per l'infrastrutturazione dei servizi sociali. Però è sparita la possibilità di assumere operatori sociali in deroga al blocco del turn over e manca un preciso governo dei processi. Che cosa accade a chi non farà nulla? Basti pensare che 17 anni dopo la 328, ci sono Comuni che nemmeno hanno un servizio sociale. Un'intervista a Gianmario Gazzi
Servizi sociali, segretariato sociale, valutazione multidimensionale, tirocini, sostegno socio-educativo o territoriale, supporto nella gestione delle spese e del bilancio famigliare, assistenza domiciliare socio-assistenziale, sostegno alla genitorialità, mediazione culturale… senza tutto ciò un sostegno monetario che varia fra i 190 e i 485 euro al mese, a seconda delle caratteristiche della famiglia, non basta a cambiare le cose e a portare le famiglie in povertà assoluta fuori dalla loro condizione di povertà. Per questo il reddito di inclusione affianca al contributo economico un progetto individuale, conditio sine qua non per ricevere i soldi. Per realizzare davvero questi progetti individuali però serve un rafforzamento dei servizi sociali territoriali: per questo motivo il decreto attuativo appena trasmesso alle Camere prevede esplicitamente – ricalcando il Memorandum definito ad aprile fra il Governo e l’Alleanza contro la Povertà – risorse vincolate a questo scopo.
L’articolo 7 comma 2 e poi il comma 3 prevede che una quota del Fondo Povertà sia destinata in maniera vincolante al rafforzamento degli interventi e dei servizi sociali, quota pari a 262 milioni di euro per l’anno 2018 e 277 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019. Tali risorse verranno erogate dal ministero agli ambiti territoriali dopo aver valutato la coerenza dei Piani regionali (da scrivere) con le finalità del Piano nazionale. L’articolo 8 comma 1 lettera g ribadisce che il Piano Nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, che andrà aggiornato ogni tre anni, potrà modificare l’elenco degli interventi e dei servizi sociali per il contrasto alla povertà e la quota di risorse destinata al loro rafforzamento, quota che però non dovrà mai essere inferiore al quindici per cento del Fondo. Per il rafforzamento dei servizi andranno anche risorse provenienti da fondi europei (articolo 7 comma 7). La legge delega inizialmente a questo scopo prevedeva solo dei fondi PON e il Governo era intenzionato a utilizzare tutte le risorse del nuovo Fondo povertà per il trasferimento economico.
Quanto pesano le risorse in arrivo? Lo abbiamo chiesto a Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali.
Il commento al testo non può che essere positivo, dopo anni di tagli lineari. Sono ormai 15/20 anni che non si investe così tanto sui servizi, qui invece si dice che non bastano i trasferimenti a pioggia, servono i servizi: lo diciamo tutti da tempo, questa volta si è fatto un investimento sulle politiche sociali e sui servizi, in un modo innovativo. Un plauso va a chi ha avuto il coraggio di investire sull’infrastrutturazione dei servizi, all’Alleanza contro la Povertà e alla politica, ognuno questa volta ha fatto la sua parte. Benissimo, adesso però dobbiamo presidiare i processi. Vero ad esempio è che stanziare risorse per rafforzare i servizi collegati al REI è necessario ma non sufficiente: questi sono investimenti che servono per far funzionare il REI, il problema è che se poi intorno ho il deserto non si va molto lontani, questo è un punto su cui riflettere attentamente. Inoltre serve uno sblocco del turn over.
Stanziare risorse per rafforzare i servizi collegati al REI è necessario ma non sufficiente: questi sono investimenti che servono per far funzionare il REI, il problema è che se poi intorno ho il deserto non si va molto lontani, questo è un punto su cui riflettere attentamente. Serve uno sblocco del turn over. Lo sappiamo che esistono comuni che non hanno mai previsto un servizio sociale al loro interno, nonostante il servizio sociale sia previsto come livello essenziale dalla 328 del 2000? Quelli che fanno?
Gianmario Gazzi
È il primo punto critico su cu le commissioni dovranno lavorare: nel testo del decreto entrato il 9 giugno in Consiglio dei Ministri, all’articolo 7 comma 5 si diceva che, sempre al fine di garantire questi servizi, le risorse attribuite agli ambiti territoriali potevano, nella misura massima dei due terzi, essere utilizzate per effettuare assunzioni di operatori sociali in deroga ai divieti alle nuove assunzioni previste dalla normativa vigente. Un punto che nel testo trasmesso dal Governo alle Camere è sparito.
Spiace molto e non per una questione di categoria. Dobbiamo essere consapevoli che ci sono situazioni in cui, tra blocco del turn over e parametri di contenimento della spesa, sarà molto difficile attuare il REI. Penso in particolare al Sud Italia, dove ci sono Comuni che hanno sì personale in eccesso rispetto ai parametri, ma legati alle opere pubbliche, ad altri settori, non certo al sociale. Lo sappiamo che esistono comuni che non hanno mai previsto un servizio sociale al loro interno, nonostante il servizio sociale sia previsto come livello essenziale dalla 328 del 2000? Quelli che fanno? Settimana scorsa eravamo in Parlamento a parlare di equo compenso, sappiamo che si cono Comuni che hanno fatto bandi di selezione di assistenti sociali titolo gratuito? Questo ci dice una cosa chiara, che esistono in Italia comuni che non hanno né in pianta organica né in bilancio il servizio sociale: che ne sarà lì del REI e dell’infrastrutturazione dei servizi? Ci stiamo raccontando un mondo tutto uguale a quello delle regioni virtuose o il mondo reale?
Cosa intende quando dice che il REI, anche con le risorse dedicate all’implementazione dei servizi ad esso collegati, rischia di cadere in un deserto?
Ad esempio una mamma single, che avrà accesso al REI, se poi non ha strutture tipo asili, supporti scolastici, educativi, come farà a fare la sua formazione? E se trova un lavoro, mettiamo in un ristorante, chi le tiene il bambino a sera tarda? Io vivo in zona fortunata, ci sono servizi che tengono i bambini fino alle 22 – 23, ma questa è una zona turistica, con tanti genitori che hanno questa esigenza: nel resto d’Italia? Non tutti hanno i nonni, stiamo parlando della fascia fragile della popolazione, che ha reti sociali deboli. Serve fare investimenti strutturali. Qui giocano un ruolo importante le regioni, che dovranno stanziare fondi per incrementare e rafforzare i servizi che accompagnino gli adulti al lavoro ma anche a sostegno delle reti famigliari. L’auspicio quindi è che si creino altri fondi a livello locale. Se lo stato ci mette il 15%, altrettanto facciano le regioni: mettano tutte almeno il 15% in più sui servizi sociali rispetto alla loro spesa storica. È una provocazione, ma se non lo facciamo il rischio è che non si contrastino le motivazioni che portano alla povertà. Basta guardare i dati appena pubblicati dall’Istat. La povertà c’è perché non c’è supporto a monte, perché non è stato tentato nulla prima. Non si può pensare che il welfare sia fatto solo dal capitolo pensioni e dal capitolo sanità, ci deve essere il capitolo sociale, di pari dignità, perché è quello che permette lo sviluppo di reti di supporto.
Quando una regione non attua quanto previsto in materia di sanità, la commissario; perché allora, a fronte di questo grande investimento sul sociale, non si può prevedere una clausola per cui se entro tre/quattro mesi chi ne ha responsabilità non ha attuato quanto previsto, lo Stato intervenga e commissari chi non ha fatto ciò che doveva fare? Lo dico nella logica che i diritti delle persone devono essere garantiti. Se io faccio misura di contrasto alla povertà e finanzio i servizi per uscire da bisogno, allora quel Comune, quell’ambito, quella Regione che non fa ciò che dovrebbe deve essere commissariata e quanto è previsto deve farlo lo Stato, se non ci siamo prendendo in giro. Lei invece ha mai sentito di un Comune commissariato perché non ha il servizio sociale? Eppure lo prevede la legge 328 del 2000
Gianmario Gazzi
Quindi il tema decisivo ora a suo giudizio si gioca a livello amministrativo?
Faccio un ragionamento a voce alta, quanto mi si dice che si infrastrutturano i servizi, con quell’elenco che troviamo nel decreto, chi governa poi i processi a livello locale? Le regioni faranno il loro pezzo, poi però a livello locale abbiamo situazioni così variegate che il richiamo – giusto – ai livelli essenziali deve essere anche monitorato. Faccio un’altra provocazione: quando una regione non attua quanto previsto in materia di sanità, la commissario; perché allora, a fronte di questo grande investimento sul sociale, non si può prevedere una clausola per cui se entro tre/quattro mesi chi ne ha responsabilità non ha attuato quanto previsto, lo Stato intervenga e commissari chi non ha fatto ciò che doveva fare. Lo dico nella logica che i diritti delle persone devono essere garantiti. Se io faccio misura di contrasto alla povertà e finanzio i servizi per uscire da bisogno, allora quel Comune, quell’ambito, quella regione che non lo fa deve essere commissariata e quanto previsto deve farlo lo Stato, se non ci siamo prendendo in giro. Serve un presidio forte di questa cosa: lei ha mai sentito dire di un comune commissariato perché non ha il servizio sociale previsto dalla 328?
Questo secondo lei è un punto debole del decreto?
Sì, adesso dobbiamo presidiare i processi. Magari leggo male io, ma quello che ancora non riesco a trovare è quali sono i meccanismi di controllo ovvero cosa succede se io Comune xyz non attuo quanto previsto. Me lo domando, perché non lo trovo. Il rischio è che chi è bravo continuerà a essere bravo e chi non è bravo… resta tutto uguale. Molti Comuni e Regioni si stanno muovendo, basta guardare sul forum lavoro di assistentisociali.org: però ci sono anche regioni dove non vedo niente. Perché? Aspettiamo il 1 gennaio 2018? Ma il 1 gennaio il Rei dovrebbe esser operativo. Bisogna muoversi al più presto, altrimenti arriveremo alla fine del 2018 che avremo dato di fatto solo la parte monetaria dei REI. Per questo dico che adesso la responsabilità passa al livello ammnistrativo e qui la sfida è far funzionare la misura, nell’interesse di chi oggi è escluso.
Vede altri rischi?
Il rischio che vedo e faremo notare è quello di proceduralizzare. Vedo molta procedura – che è importante e necessaria – però sappiamo bene che ogni biografia è differente e ogni territorio è differente. La sfida per la mia professione è essere capace di essere creativa, lo siamo per definizione, di inventare soluzioni, ma se si proceduralizza troppo si rischia di finire ancora nella logica dei bonus. Ad esempio questi punti d’accesso per il REI, la paura è che si creino altri sportelli, ma le persone non possono andare avanti e indietro dagli sportelli.
Foto Mitchel Lensink / Unsplash
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