Si rimane di stucco a rileggere sulla stampa le parole del ministro della difesa Mario Mauro che – a pochi giorni dalla presentazione del drammatico Rapporto ISTAT sull’impoverimento progressivo degli italiani – ha denunciato in Commissione difesa del Parlamento “il continuo depauperamento delle risorse destinate alla difesa” ed ha reiterato la richiesta di rispristinare “ragionevoli livelli di spesa per l’esercizio delle Forze Armate”, minacciando altrimenti il “completo defoult”, ossia il fallimento, dell’apparato bellico italiano. Per avvalorare la sua tesi, invece di presentare dati aggiornati del Ministero che presiede (in particolare sui costi specifici dei caccia F-35, come gli veniva richiesto) il ministro ha sfoderato i dati forniti nel rapporto del SIPRI – l’autorevole istiituto di Stoccolma che monitora le spese militari globali – dai quali ha estrapolato la riduzione stimata del 5,2 %, tra il 2011 e il 2012, nella spesa militare italiana. Stimata, perché la spesa militare italiana è di ben difficile lettura in quanto distribuita su più ministeri, tra i quali quello per lo sviluppo economico (sic!)
carità di patria
Ma se il Ministro leggesse per intero l’importante documento del SIPRI scoprirebbe che – all’interno della spesa militare mondiale indicata in ben 1.756 miliardi di dollari (di gran lunga più alta del picco della corsa agli armamenti della guerra fredda, ndr) – l’Italia, con la sua spesa pubblica militare stimata in 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro, è ritornata tra le prime dieci potenze belliche mondiali. Mentre – ricordiamolo – secondo i dati Eurostat è ultima in Europa per le spese per la cultura e penultima per le spese per l’istruzione, ultima per il welfare (dati Bocconi) e tra i “primi della classe” per la disoccupazione giovanile …E qui, per carità di patria, ci fermiamo
prestigio armato
Anziché avviare un programma straordinario contro la povertà, attivare misure contro la precarietà come il reddito minimo garantito, lanciare un piano per il diritto costituzionale al lavoro e finanziare stabilmente il Sevizio Civile Nazionale, vera e propria difesa civile e sociale della patria, ogni giorno il nostro Paese spende oltre 70 milioni di euro per mantenere questo ruolo di “prestigio” armato sullo scenario mondiale. Una spesa preventiva, in quanto – ha continuato Mauro – “è necessario essere sempre pronti, perché nessuno è in grado di prevedere dove e quando dispiegare lo strumento militare.” Dimentica il Ministro (come già i suoi predecessori degli ultimi venti anni, che hanno inviato combattenti italiani in missioni di guerra in giro per il mondo) che la Costituzione della Repubblica italiana, sulla quale ha giurato al momento del suo insediamento, ripudiando la guerra come principio fondamentale, non prevede di “dispiegare” da nessuna parte lo “strumento militare”, se non strettamente a difesa della Patria e delle sue istituzioni democratiche.
il nodo da sciogliere
Per diradare queste nuvole di fumo nero addensate sulle povere casse dello Stato è necessario porre con forza al ministro Mauro – ed al governo nel suo insieme – le domande avanzate dal Movimento Nonviolento: “da cosa siamo davvero minacciati oggi? Quali sono i mezzi utili per la difesa del nostro paese?” Siamo assediati da pericolosi nemici da bombardare con 90 cacciabombardieri F-35 o “dalla povertà e dall’assenza di futuro” per i nostri giovani? Porre queste domande a chi mena il can per l’aia per mantenere, pur in piena crisi, l’intangibilità militare nell’agenda delle priorità di spesa pubblica, non è esercizio retorico ma aiuta a rimettere a fuoco la questione centrale, ossia se davvero l’Italia stia depauperando le forze armate, come sostiene il Ministro (e il complesso militare-industriale), o se – al contrario – sono proprio le astronomiche spese per gli armamenti che stanno contribuendo a depauperare pericolosamente la tenuta sociale e civile del nostro Paese e della sua Costituzione. Solo sciogliendo questo nodo può essere avviato un serio e necessario ripensamento dell’intero modello di difesa.
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