Non profit

Per battere il tumore ho un’idea che viene dallo spazio

Mauro Ferrari

di Marina Moioli

Ora, sfruttando un concetto sviluppato dalla Nasa,ha aperto una nuova frontiera nella lotta ai tumoriQualcuno l’ha paragonato a Zlatan Ibrahimovic, un fuoriclasse senza patria. Perché Mauro Ferrari, ingegnere, matematico, medico e imprenditore, è nato a Udine, vive da 25 anni in America, e la sua forza è sempre stata avere tanti interessi e un unico stile: lo studio della matematica a Padova, il basket a Firenze, la specializzazione ingegneristica in California, la ricerca medica a Columbus (Ohio), poi a Washington e infine a Houston. Dovunque, lo stesso approccio dinamico e distaccato, la stessa capacità di rapportarsi agli altri senza formalismi e con simpatia. Ha brevettato 50 sue “invenzioni”, collabora con la Nasa, ma soprattutto è considerato il padre della nanomedicina, specializzato nella ricerca e nella sperimentazione di trattamenti per la cura del cancro che sfruttano le nanotecnologie, oltre che dirigere il Methodist Hospital Reasearch Institute (1.600 dipendenti) a Houston, nel Texas. Cervello in fuga? «Semmai», dice con una risata, «nel mio caso si tratta di fegato all’arrembaggio».

O io, o lui
La sua avventura è cominciata da una tragedia personale che dà al suo successo il senso di una missione. E non è certo un caso se fra le immagini scientifiche che Ferrari si porta sempre dietro nel portatile per spiegare al mondo cosa sia la nanomedicina c’è anche quella della prima moglie, Marialuisa, morta per cancro nel 1994. Il senso di frustrazione, di ingiustizia provato di fronte a quel nemico in apparenza impossibile da sconfiggere, lo ha spinto alla battaglia della sua vita. Da ingegnere che era, si è rimesso in gioco ricominciando a studiare medicina. Perché, non lo nasconde: sconfiggere il male, per lui, «è un fatto personale».
Ferrari non nasconde la sua fede, parlando di «sorella morte e fratello dolore», ma preferisce di gran lunga parlare di nuove frontiere della medicina e di nanotecnologie. Un settore strategico, specie nella lotta contro i tumori. «Con le nanoscienze siamo in grado di lavorare su particelle grandi un milionesimo di millimetro, una dimensione inferiore decine di migliaia di volte allo spessore di un capello umano», spiega Ferrari. Questo significa, per esempio, che dispositivi miniaturizzati potranno essere impiantati nel corpo umano per la diagnosi precoce delle malattie, per la rigenerazione ossea o per migliorare la biocompatibilità degli organi trapiantati.
«Le nanotecnologie stanno rivoluzionando ogni campo: nuovi modi per combattere il cancro, per provare a ricostruire le ossa polverizzate da un incidente, per fare medicina preventiva soprattutto contro i tumori. Possono essere utilizzate come microsentinelle capaci di dare l’allarme appena la malattia comincia a svilupparsi e ci permettono di creare farmaci multistadio a rilascio controllato», continua Ferrari. «Prima partono microcosmiche avanguardie che infrangono le barriere protettive del corpo, poi quando il varco è aperto si lancia il farmaco vero e proprio, dotato di un agente di riconoscimento per raggiungere la cellula tumorale. Si tratta di un progresso enorme per l’efficacia della cura e anche per la riduzione della sua tossicità». Ma quando saranno disponibili per tutti questi avveniristici farmaci? «Quelli basati sulle nanotecnologie di prima generazione, i liposomi, sono già usati da molti anni nelle cliniche oncologiche di tutto il mondo. Tra l’altro grazie alle scoperte di Gianni Bonadonna dell’Istituto Mario Negri, dove hanno sviluppato i primi concetti di chemioterapia».

Nanotech in Magna Grecia
«Noi adesso invece lavoriamo alle nanotecnologie di ultima generazione, quelle capaci di superare le barriere biologiche», annuncia Ferrari e continua: «Il corpo è costruito come un castello medioevale: le mura sono le pareti del vaso sanguigno, poi ci sono i globuli bianchi che fanno da barriera, gli enzimi e le parete della cellula. Il problema è arrivare a tiro del bersaglio e per farlo ci siamo ispirati al modello dei razzi multistadio elaborati dalla Nasa. I primi nanofarmaci sono già utilizzati da decine di migliaia di persone, che magari nemmeno lo sanno. I nuovi farmaci con capacità superiore sono ancora sperimentali». L’obiettivo ambizioso di tenere a bada il tumore in permanenza con dosi regolari di farmaci privi di effetti collaterali (grazie al rilascio in loco in dosi minime), senza mai dare sintomi, senza produrre dolore e senza provocare la morte a Ferrari appare «del tutto realistico».
Intanto, per divulgare le sue scoperte e avvicinare sempre più persone alla nanomedicina («che ormai», avverte, «non è più fantascienza»), ogni anno d’estate organizza un simposio aperto in un paesino della Calabria: Gagliato, in provincia di Cosenza. «L’ho scoperto qualche anno fa, invitato dal rettore dell’Università della Magna Grecia». Qui Ferrari ospita scienziati da tutto il mondo per il “NanoGagliato”, un incontro non ortodosso, in cui si discute di nanotecnologie godendosi il sole e il mare. «Gli scienziati vengono alloggiati in case private e invitati a portare le famiglie», dice Ferrari, «e uno degli eventi principali è l’incontro con la gente del paese: tutti in piazza a parlare di scienza. Per me è una incredibile festa di amore».

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