Cultura
Pequerel, il figlio povero del Sestriere
Qui Piemonte. La vicenda di un minuscolo paese tornato a nuova vita
E’ morta la montagna? Ridotta a semplice area ricreativa per le grandi e nevrotiche masse della pianura? A guardare i grandi trend sembra un destino ineluttabile. Ma a guardare poi le cose più da vicino si può notare come le cose non stiano semplicemente così. La montagna vive un sussulto che sembra portarla oltre le ristrettezze che la modernità le aveva riservato. Non è semplice riscoperta del gusto dei tempi antichi, della genuità. Piuttosto è voglia di sentire la solitudine, di misurare in maniera non artificiosa e prestabilita il rapporto con la natura. Così si spiega il caso di Pequerel, paese che spunta proprio ai confini dell?area che verrà travolta tra pochi mesi dalla grande giostra delle Olimpiadi invernali. Un paese morto 30 anni fa. E che negli anni recenti è tornato nel mirino di tipi umani molto diversi tra di loro. Ma è un soffio di vita sufficientemente forte e motivato per ridare a Pequerel nuova storia? Una vita fragile invece tiene in piedi un paese mirabile: Fenile, in provincia di Lecco. Ma qui siamo di fronte a un vero capolavoro di organizzazione ?urbana?, la cui razionalità merita di essere messa sotto il lentino di sociologi e studiosi.
I caratteri distintivi della modernità hanno cambiato profondamente il volto delle montagne, ma non le hanno annientate, com?era facile prevedere. Hanno cambiato territorio e persone, hanno creato sincretismi con gli stili di vita e i desideri di chi vive in città. Basteranno questi segnali per riportare piena vita sulle nostre montagne? Aldo Bonomi, sull?ultimo numero di Communitas, ha sentenziato: «L?evolversi di questi microcosmi dipenderà molto dalla loro capacità di fare società locale, che altro non è che il darsi un?identità che vada oltre il paese, non rinchiudendosi nella nostalgia di ciò che non è più, ma affrontando i nodi di ciò che viene avanti».
Pietre su pietre, una muraglia fatta a triangolo equilatero di cento metri di lato. Un enorme parvalanghe costruito trecento anni fa da contadini per proteggere il loro villaggio alpino, Pequerel.
A due passi dal Sestriere, l?agglomerato urbano simbolo delle montagne olimpiche torinesi.
Una manciata di case in pietra a due piani, un lavatoio, un forno a due bocche scavato a colpi di piccone nella roccia. La chiesa non c?era, questa è zona valdese e i cattolici si tenevano alla larga.
Dovevano abitarci una cinquantina di famiglie, tutte con una mucca, i ricchi con due e l?asino. Sopra il villaggio, pascoli senza alberi che montano su su fino ai 2.600 metri del monte Pelvo da cui si staccavano, quando ancora nevicava, immense masse nevose che travolgevano e uccidevano.
E paravalanghe fu
Sembra quasi di vederli quei montanari cenciosi del 1700. Chiusi in una stalla a decidere se costruire il paravalanghe, seduti vicino alle mucche, con la ciotola di vino che gira di bocca in bocca, in una notte d?inverno. Fuori
-20, dentro sterco, puzza e la misera luce di una lampada a olio.
E paravalanghe fu. Un?opera possente, massiccia, pare unica per dimensioni e tecnica in tutto l?arco alpino. Forse quei montanari analfabeti avevano preso spunto da quello che vedevano tutti i giorni dall?altro lato della valle: la costruzione della ciclopica fortezza di Fenestrelle, voluta dai Savoia per fermare i francesi. La struttura militare più grande d?Europa fino al 1914, una specie di grande muraglia che corre per mille metri di dislivello lungo il costone nord della valle.
Nel 1930 il fascismo volle anch?esso preservare quel villaggio alpino dalle valanghe, e lo fece col solito gusto garbato. Vennero piantati centinaia di larici a monte del paravalanghe che oltre ad avere funzione protettiva dovevano formare un grande nome ben visibile dal fondo valle: Dux. Finita la guerra altri alberi andarono a riempire la scritta e quel nome imbarazzante si trasformò in un rado boschetto.
Passano gli anni e il tempo di Pequerel, da sempre fermo nei ritmi contadini, inizia a correre.
A valle stanno nascendo le fabbriche dei motori e i giovani decidono per la grande avventura: la Fiat. Quelli che partono non tornano più, anzi mandano lettere in cui raccontano le mirabilie della città e la fine della vita grama. Molte verità e qualche bugia. I provinciali che arrivano dai monti e dalle campagne del Piemonte vengono guardati con ribrezzo dai torinesi purosangue; più avanti sarà la volta dei meridionali, poi dei ?moru??
Il paese dei sanatori
E poi, soprattutto, nella fabbrica ci si ammala di tubercolosi. Talmente tanto che Edoardo Agnelli negli anni 30 fa costruire, poco distante da Pequerel, due mega sanatori nei quali vengono ricoverati centinaia di uomini e donne. Sembra un circolo, in cui i giovani che sono scappati sani e forti da Pequerel, e dagli altri villaggi alpini, tornano nel poco lontano sanatorio con i polmoni marci.
Ma tutto questo non basta a bloccare l?emorragia di uomini e donne. La gente fugge dalla montagna, una rotta fatta di pentole a tracolla e scialle neri avvolti intorno alla testa. Le case rimangono vuote, restano i vecchi che si rifiutano di abbandonare la loro amata miseria.
Siamo negli anni 50. A Pequerel non c?è più nessuno. Inizia il degrado, resiste una vecchia. Cadono i tetti, le finestre si spaccano, il ghiaccio dell?inverno spacca i muri e le sterpaglie dell?estate divorano i camminamenti. Apoteosi della modernità, del progresso, dello sviluppo.
Anni 70. Muore l?ultima vecchia nel suo letto in ferro battuto. Passano altri 15 anni: il sanatorio voluto dagli Agnelli si è trasformato in un centro didattico per la sostenibilità ambientale. Pequerel crolla a pezzi, ma la storia fa una capriola. La fabbrica laggiù soffre, va male, le auto non le vuole più nessuno. La fabbrica inizia a licenziare senza tante storie i nipoti di quegli uomini e quelle donne che, dopo aver chiuso la porta della baita alpina, hanno buttato via la chiave.
Ritorno agli alpeggi
I giovani riscoprono la casa del nonno e la guardano con occhi diversi, molto diversi. La città è una bolgia, fetida, nevrotica, ingorgata. E la fabbrica non dà più certezza, anzi.
Tornano d?estate nella baita del nonno e guardano i danni del tempo. Qualcuno inizia a fare dei lavoretti, il tetto prima di tutto. Le cadenti lose fatte a mano tre secoli prima sono sostituite con il freddo ondulatino africano che dopo tre anni è marrone di ruggine.
Nascono orti, arrivano le mucche e l?alpeggio, un?azienda faunistico venatoria. Nasce anche a pochi metri il Parco regionale dell?Orsiera Rocciavré.
Arrivano i tedeschi e rimangono fulminati dalla bellezza del paesaggio, dal paravalanghe, dai prati, dai fiori, dai cervi che si vedono a branchi. Dall?abbandono? Ma qui non è la Toscana e i tedeschi si limitano a comprare la toma dell?alpeggio aromatizzata con il timo serpillo. Una leccornia per palati fini.
Tornano anche alcuni vecchi a vedere cosa è successo negli ultimi cinquanta anni?, e sospirano frasi da vecchi «eravamo poveri? ma molto più felici». Pequerel sembra voglia rialzare la testa. Si vocifera che la Regione Piemonte voglia ristrutturare tutto e trasformare il villaggio dei fantasmi in un unico ecomuseo o che, recuperando le attività di artigianato perse, ritorni alla vita.
Il gelo dal Pelvo
Se i vecchi rimpiangono, i giovani sentenziano senza ironia: «Il nostro futuro è quassù! Le città scoppiano, è stato tutto un abbaglio. Bisogna recuperare questi posti e non già per un ideale romantico. Chissenefrega di quello. Bensì perché l?economia industriale di laggiù è agli sgoccioli».
Sembra di vedere materializzarsi i progetti di Serge Latouche sulle micro comunità locali autosufficienti.
Ma i sogni restano tali e tutto si rimanda. Finiscono le estati, a ottobre soffia dal Pelvo un vento che gela tutte le nostalgie e tutti i progetti alternativi. Le fughe vengono rimandate, si torna a valle, come hanno fatto i nonni ma con molto meno entusiasmo.
Dove andare
Tra sentieri e formaggi
A piedi. Numerosi percorsi ben segnalati, tutti semplici. Classico è il giro dei villaggi alpini (Puy, Pequerel, Usseaux) oppure salire verso il monte Pelvo, dove è facile vedere moltissimi animali selvatici.
In bici. Lasciata l?automobile in località Prato Catinat, 1.785 slm., si può inforcare la mountain bike e rifare al contrario la tappa alpina del Colle delle Finestre percorsa quest?anno dai corridori del Giro d?Italia. Salita tra scenari mozzafiato (se ne avete ancora?) sia su asfalto che su sterrato. Arrivo a quota 2.200 metri.
A tavola. Località Mentoulles (prima di Fenestrelle) ristorante Al Tui Tui, cucina piemontese. Pasto a 25 euro.
Per chi volesse comprare il formaggio locale, un indirizzo: Alpeggio Sellerie (salendo verso Pequerel, prima di Prato Catinat, seguire le indicazioni per l?omonimo rifugio). Tome di vacca e di capra aromatizzate con le erbe di montagna, burro, latte, yogurt freschi e miele. Attenzione ai cani del pastore.
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