Welfare
Pensioni, gli esodati del metodo contributivo
Sono circa 51mila i cittadini inabili, invalidi o superstiti per la perdita di un congiunto, che percepiscono un contributo medio di appena 173 euro al mese. Dalle Acli una proposta di legge per integrare al minimo vitale queste pensioni
Sono circa 51.000 i cittadini inabili, invalidi o superstiti per la perdita di un congiunto, che percepiscono una pensione media di appena 173 Euro al mese. Al di sotto di qualsiasi ragionevole sopravvivenza, che reclama giustizia e solidarietà. Sono frutto del sistema (metodo contributivo) introdotto con la riforma Dini del 1995 (la L. n. 335) che, seppure in maniera diversa per le tre differenti categorie, finisce comunque per penalizzare le situazioni previdenziali di coloro che, dopo anni di lavoro con diversi datori e in situazioni non sempre stabili, arrivano a percepire pensioni da fame (proporzionate agli esigui contributi effettivamente versati) proprio quando la loro vita presenta bisogni straordinari, perché ha impattato con un incidente grave o una situazione drammatica di malattia.
E per questo la Fap (Federazione anziani e pensionati) delle Acli ha avanzato una proposta di legge – presentata oggi a Roma – per integrare al minimo vitale le nuove pensioni calcolate col sistema contributivo. “Per i numeri forse sarà una platea di beneficiari non rilevante – ha precisato il Segretario nazionale della Fap Acli, Serafino Zilio – ma si rischia che possa estendersi da qui ai prossimi anni. Proprio per le condizioni sociali ed economiche in cui viviamo. Noi, con questa proposta, abbiamo l'obiettivo di assicurare la vita più dignitosa possibile, pur in presenza delle forti tensioni sociali in corso, a queste persone. Non è possibile che esistano pensioni come quelle che hanno effetto dalla 335 del 1995”. “Con questa iniziativa la Fap Acli – aggiunge Zilio- dà ascolto e voce a ogni situazione, facendo proposte non corporative ma globali, che abbiano come obiettivo principale la giustizia sociale ed il bene comune”.
Tante le storie che si possono raccontare, esemplare quella di Luca, operaio di 55 anni che guadagnava circa 830 euro netti al mese fin quando a causa di una gravissima malattia l’Inps riconosce che si trova nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Cessa il lavoro, ha dodici anni circa di contributi come lavoratore dipendente la sua pensione di Inabilità è pari a 192,17 mensili. O quella di Maria 41, parrucchiera, cinque anni di iscrizione all’Inps, e dopo una grave malattia che non le dà più la possibilità di lavorare percepisce una pensione di 52 euro. O Stefano, 36 anni e un figlio di 2, moglie di 38 anni. Muore improvvisamente quando guadagnava 1000 euro. Ora la pensione di reversibilità e di 122 euro.
Situazioni in cui l'articolo 38 della Costituzione, «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria», finisce per diventare pura astrazione.
LA PROPOSTA
Vediamo quindi in sintesi come si struttura la proposta (consegnata ai parlamentari, che intenderanno farla propria e sostenerla con un lavoro di interlocuzione cui ha fatto cenno il segretario Fap).
Riguarda solo le pensioni calcolate con il metodo esclusivamente contributivo (tot versato, tot percepito); vengono integrate in modo tale che si arrivi ad un importo non inferiore ai 7.000 euro annui; se il titolare è coniugato l’importo diventa di 14.000 euro (integrazione anche effettuata in presenza di figli a carico). Obiettivo: far raggiungere un livello di reddito che corrisponde in linea di massima alla soglia di povertà assoluta.
Come assicurare la copertura? Dato l’importo medio – ha spiegato il direttore nazionale Fap Acli, Damiano Bettoni, e curatore della proposta – se si dovesse adeguare subito tutto a tutti, con gli attuali vincoli di bilancio non ci staremmo: sarebbero necessari 240 milioni di euro all'anno. Ma se partissimo almeno dal 30 per cento di questa platea che ha immediato bisogno di adeguamento al minimo vitale, la quota necessaria calcolata sarebbe più abbordabile, di 75 milioni. Come trovarli? Da un fondo creato ad hoc da quelle pensioni che, con il metodo contributivo, hanno visto incrementare la propria posizione persino rispetto al calcolo fatto con il vecchio retributivo; da questo montante accumulato potrebbe essere accantonata una quota anche parziale.
IL DIBATTITO
Apprezzamento e sostegno alla proposta da Renata Polverini, vice presidente Commissione lavoro della Camera dei Deputati, che ha chiesto anche il sostegno perché si possa rivedere in maniera più completa e complessiva in tutto, l’attuale sistema pensionistico.
Per nulla d’accordo Luigi Bobba, sottosegretario al Lavoro e Previdenza sociale: “A furia di fare annunci su possibili continue revisioni del sistema si sono fatti guai, ci vuole una ragionevole certezza sul futuro, perché in questi anni si sono generati comportamenti che producono ansie. Se bisogna far degli interventi – ha sottolineato -bisogna farli di tipo chirurgico, correttivi, e non ribaltando il sistema, perché non si producano gli effetti negativi di cui si sta parlano. Appunto come state cercando giustamente di far voi; anche eventualmente correggendo quella distorsione che dà ad alcune categorie un plus, un premio, che diventa eccessivo rispetto a come è organizzato il nostro sistema pensionistico”.
“Con questa proposta – ha concluso Gianni Bottalico, presidente nazionale delle Acli – intendiamo contribuire alla riforma del welfare partendo dal basso, a partire da quelli che fanno più difficoltà a far sentire le loro ragioni ed i loro diritti”. “Questa iniziativa – mette in evidenza Bottalico -è importante anche perché rivolta al futuro, alle pensioni minime che saranno sempre di più. Non è mistero il mancato decollo della previdenza integrativa; e il sistema contributivo, contribuirà ad allargare la platea di quelli che avranno bisogno dell'integrazione al minimo. La proposta della FAP va quindi incontro ad un problema etico ed economico insieme”. “Questa iniziativa rientra in modo più che utile nel nostro percorso di lotta alla povertà, per il quale abbiamo costruito l'Alleanza contro la povertà, con oltre 30 associazioni della società civile. E per questo chiediamo al governo di fare al più presto un Piano nazionale di lotta alla povertà, che abbia al proprio interno come cardine il Reddito d’inclusione sociale per i sei milioni d’italiani che non debbono sentirsi esclusi”.
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