Sostenibilità

Pensione d’invalidità,sì ai versamenti volontari

Servono tre anni di contributi nell'ultimo quinquennio

di Rosanna Schirer

Ho un fratello affetto da una grave malattia. Avendo presentato domanda di pensione di invalidità all’Inps ha ricevuto una risposta di reiezione. L’Inps precisa che non ha maturato il requisito di contribuzione richiesta di tre anni nel quinquennio precedente la data della domanda. Infatti risultano accreditati 135 contribuiti settimanali nel periodo dal 1.3.94 al 28.299. Mi pare assurdo che per una grave malattia e con molti anni di contributi versati prima del ’94, non sia possibile maturare nessun diritto alla pensione.
D.E. (Mi)
Risponde Giuseppe Foresti, Direttore Generale Patronato Acli

Il diritto all’assegno ordinario di invalidità parziale e alla pensione di inabilità (totale) è stato collegato, dal legislatore che approvò la legge 222/84, alla perdita dell’attività lavorativa. Infatti è previsto che siano maturati tre anni di contribuzione nel quinquennio precedente la data della domanda. La decisione dell’Inps, salve le debite verifiche specie per quanto riguarda eventuali accrediti di contribuzione figurativa per malattia (come appunto segnalato nella sua lettera), sembra pertanto ineccepibile. È però il caso di fare una considerazione. In frangenti simili, in genere, il sistema previdenziale italiano ha sempre previsto la possibilità di maturare il diritto attraverso il versamento di contributi volontari. Purtroppo una norma del 1997 (art. 5 del d.lgs 230/4/97 n. 184) ha determinato che anche per avere il diritto a versare le marche volontarie servono tre anni di contribuzione nel quinquennio, mentre in precedenza era sufficiente un requisito di cinque anni di contribuzione da lavoro in qualunque tempo versati. Dunque, chi non chiede alla cessazione dell’attività lavorativa l’autorizzazione tempestiva, perde il diritto per sempre. Non sappiamo quanto una simile restrizione, grave perché lascia spezzoni anche considerevoli di contribuzione del tutto infruttuosi, sia dovuta a precisa volontà o a sbadataggine. Certo è che i danni che provoca, a svantaggio di soggetti disagiati che restano senza lavoro, richiederebbe un rimedio deciso. Ci auguriamo che un legislatore più avveduto provveda in merito anche perché nei criteri direttivi della legge di delega (comma 239, art. 1 della legge 335/95 – riforma Dini -) non era espressamente previsto alcun intervento sui requisiti della prosecuzione volontaria.
a cura di
R. Schirer e M. Persotti

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