Formazione

Penny Wirton, la scuola che non c’era ora ha migliaia di studenti

Dopo due anni l'assemblea annuale delle scuole Penny Wirton torna in presenza. La giornata si apre con un appello al governo. Sarà rilanciato nelle prossime settimane a gran voce. La richiesta è che si approvi lo Ius Scholae, entro la fine della legislatura. “È intollerabile che ancora oggi non venga concessa la cittadinanza a bambini e ragazzi che di fatto sono italiani, ma non lo sono giuridicamente”, spiega Eraldo Affinati

di Luisa Monforte

Sabik, ha diciotto anni, viene dal Bangladesh e fin dal mattino gira tra i banchi. Si mescola tra i volontari che stanno raggiungendo la periferia di Roma. L’occasione è l’assemblea annuale della Penny Wirton, scuola di italiano gratuita per migranti, fondata da Eraldo Affinati e Luce Lenzi. Dopo due anni di pandemia l’incontro si svolge in presenza, seppur in modalità mista. L’appuntamento è alle 10 a Casal Bertone, quartiere popolare a est della capitale. Dalla vicina stazione Tiburtina i volontari arrivano alla spicciolata da Milano, Bari, Siena, Castelvolturno, Bologna, Padova, Torino, Trento, Lugano… sono decine le scuole in presenza, altrettante quelle in collegamento: un centinaio di insegnanti si confronteranno sulla didattica e sui diritti umani, ciascuno dall’osservatorio del proprio territorio.

La giornata si apre con un appello al governo. Sarà rilanciato nelle prossime settimane a gran voce. La richiesta è che si approvi lo Ius Scholae, entro la fine della legislatura. “È intollerabile che ancora oggi non venga concessa la cittadinanza a bambini e ragazzi che di fatto sono italiani, ma non lo sono giuridicamente”, spiega Eraldo Affinati. “Prenderemo una posizione unitaria sul tema dello Ius Scholae, troppi bambini e ragazzi sono esclusi dalla partecipazione ai diritti civili”, aggiunge. “Sono quasi 900mila in Italia, è una vergogna che le leggi siano tanto lontane dalla realtà”, dice padre Daniele Moschetti. È il referente della Penny Wirton di Castelvolturno, in provincia di Napoli, comune in cui il numero degli immigrati è pari a quello della popolazione locale e si lotta con la criminalità che prova a circuire i giovani più svantaggiati. Tra le oltre cinquanta Penny Wirton d’Italia, quella di Castelvolturno è forse tra le più coraggiose, ma tutte – ciascuna nel suo territorio – sono laboratorio in cui sperimenta la convivenza interculturale e intergenerazionale.


Da un lato c’è il modello didattico: un insegnante e uno studente, niente voti né classi. “La prospettiva di partenza è l’apprendimento dello studente e non l’insegnamento”, chiarisce Annachiara Tognetti, referente a Villanova di Castenaso, in provincia di Bologna. Dall’altro lato c’è l’accoglienza: tutti sono accolti, in qualsiasi momento dell’anno, e nessuno chiede i documenti. Tutti significa: rifugiati e profughi, migranti economici, minorenni non accompagnati, analfabeti o laureati, ma anche giovani liceali in alternanza scuola-lavoro, docenti in pensione e professionisti.

Di questo si discute nei tavoli di lavoro e nel forum pomeridiano all’assemblea annuale, con il lieto intermezzo di Runa, studentessa bengalese che porta in dono vassoi di riso e pollo mentre tre giovani ucraine cantano Bella ciao: hanno imparato le parole e il significato del brano alla Penny Wirton. “Non l’ho mai vista una scuola così”, dice Sabik e racconta che i volontari gli hanno talvolta insegnato anche la storia e la matematica. “La Penny Wirton è una comunità che esce dalla logica del consenso. Crediamo nel valore dell’azione che stiamo svolgendo, a prescindere da quanti siamo. Siamo in tanti, ma se fossimo in pochi sarebbe lo stesso”, conclude Affinati. Vero, ma siamo in tanti: migliaia di studenti, centinaia di volontari, e quasi quindici anni di storia.

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