Cultura

Pennacchi. Proibito sognare

Antonio Pennacchi è un personaggio anomalo e controcorrente. Operaio e sindacalista, dieci anni fa pubblicò un romanzo, Mammuth, che lo consacrò scrittore.

di Barbara Fabiani

Allora, Pennacchi, veniamo subito al dunque: cosa contesta ai no global?
Che sono inefficaci. Per trasformare la realtà bisogna interpretarla correttamente, altrimenti qualsiasi progetto di cambiamento è destinato a fallire.
I movimenti antiglobalizzazione sarebbero inutilmente critici?
No, sono pre-marxisti, ovvero pre scientifici. Questi stanno ancora a Saint Simon.
Non nego i pesanti squilibri dell’economia di mercato. Ma come storicista resto contrario a ogni pensiero debole. Non scordiamoci che è stata l’economia di mercato ha portare un benessere diffuso come mai prima nella storia, la prima libertà è quella dal bisogno. Questo comporta squilibri, ma è una pia illusione creder di poter raggiungere il punto di equilibrio.
Non vorrei stupirla ma è il tipo di considerazioni già state elaborate da una buona parte del movimento…
Allora diteglielo alla gente; perché ogni volta che compaiono in televisione Casarini e Agnoletto perdiamo diecimila voti secchi. Perché Bruno Vespa li chiama sempre? Perché appena vanno in onda loro perdiamo noi.
La Cgil invece ha fatto le scelte giuste…
Mica tanto. Se il governo attacca io rispondo, ma sono contrario alle divisioni nel sindacato. Non sono stato d’accordo a proclamare unilateralmente lo sciopero generale da parte della Cgil. Come sono stato contrario alla non firma del contratto dei metalmeccanici per ventimila lire d’aumento o allo sciopero unilaterale della Fiom. Non si può dire: io vado allo sciopero generale da solo. Non si fa così nel movimento sindacale in Italia!
Però lo sciopero si è fatto e pure unitario, quindi le divisioni sono rientrate.
Ed è una gran bella cosa. Perché bisogna rafforzare l’unità dei lavoratori.
Berlusconi non dovrebbe minimizzare, perché è stato uno sciopero vero, unitario al punto che ha coinvolto anche Unione generale dei lavoratori (sindacato di centrodestra ndr). Adesso, però, bisogna portare avanti le trattative.
Con chi?
A me non disturbano le dichiarazioni di An a questo proposito.
Cioè l’interlocutore per i sindacati ora è la destra storica? Averlo detto trent’anni fa che si sarebbe arrivati a questo….
Ma è così. Berlusconi non è in grado di condurre trattative, è un impolitico.
Ma perché mi fa parlare di questo? Io sono uno scrittore, parliamo di libri. Queste cose le chieda a Nanni Moretti o ad Asor Rosa.
Pensa che le manifestazioni di Moretti siano servite?
A servì po’ servì tutto, perché aumenta il nostro potenziale di trattativa. Il problema è chi gestisce questo potere negoziale. La trattativa politica la deve fare gente come D’Alema e non come Fassino o Berlinguer. Moretti faccia tutti i girotondi; ma non bisogna starlo a sentire quando dice che i nostri rappresentanti nel consiglio di amministrazione della Rai si devono dimettere. Per me Donzelli ci deve mette la colla sulla sedia. Quando io perdevo nei consigli di fabbrica, uscivo dalla commissione ambiente? Uscivo dalla commissione organizzazione del lavoro? Dicevo al padrone: “Tiè, fa un po’ come te pare”.
Lei è l’unico che abbia parlato in favore di D’Alema in un momento in cui viene rinnegato con l’accusa di aver compromesso la sinistra.
E gli altri dove stavano? Berlinguer? Veltroni, che è andato a fare il sindaco di Roma? Fassino?
E poi stiamo qui ad aspettare il ritorno di Prodi? Un democristiano?
Invece?
Invece ci vuole D’Alema che è l’unico che ha sempre avuto un senso complessivo dello Stato. È uno che sa mantenere una tensione togliattiana unitaria. Poi dal punto di vista personale sarà anche uno stronzo, visto che l’ho difeso e non mi ha fatto neanche una telefonata. Vuole sapere chi sono gli unici che hanno questo senso dello Stato?
Massimo D’Alema e Gianfranco Fini?
Esattamente. Un senso unitario e prevalente dello Stato che Forza Italia non ha.
Ed allora perché vince?
Ha vinto perché ha convinto gli elettori, aveva un prodotto da vendere, un’idea di Paese. Ha detto: faccio quattro autostrade, il ponte di Messina. Noi avremmo dovuto offrire otto autostrade e il ponte per Cagliari. E invece non abbiamo fatto neanche la variante di valico. La gente vuole sviluppo; noi se asfaltiamo un metro ce ne vergogniamo.
Ha un’idea decisamente ottimista del progresso…
Perché vedo le cose in termini storici non solo in termini degli squilibri del presente. Ma lo sa il dramma vero qual’è ? E’ che senza squilibrio non c’è sviluppo. Oggi un settantenne con l’infarto può fare un’operazione con due by pass e continuare a vivere, questo è meraviglioso ma ha un costo. Perché le aziende mediche lo fanno per guadagnarci. E questo magari comporta pure che non danno le medicine gratis all’Africa. Tutto questo è collegato, non bisogna essere ipocriti.
Mai sentito parlare dei limiti dello sviluppo?
Io mi ricordo dei limiti del passato, quando si moriva a cinquant’anni e lavorare era una dannazione del corpo e dell’anima. E poi per innalzare l’efficienza dei livelli medi è necessario alzare i livelli di eccellenza. Guardi tutta la questione dell’alta velocità. La sinistra si oppone al progetto preferendo migliorare i treni dei pendolari. Tipica scelta da economia di piano che si focalizza sui livelli medi e non li fa crescere che di poco. In realtà solo innalzando i livelli di eccellenza si riesce a trascinare anche quelli medi, perché aumenta l’allargamento degli orizzonti di attesa della gente.
E se questo innalzamento degli orizzonti di attesa diventa distruttivo, ad esempio perché incompatibile con l’ambiente?
Certo, ci vuole una compatibilità ambientale ma quella non si definisce a priori ma a posteriori. Negli anni ’60 i fiumi dell’agro pontino si sono riempiti di schiuma per gli scarichi, ma la gente ci associava il fatto di avere le lavatrici in casa. La invito a lavare le lenzuola nelle tinozze e poi parliamo di ecologia. Dopo ci siamo resi conto che non si poteva continuare così e abbiamo recuperato con i depuratori. Ma questo va pensato a posteriori e non prima, altrimenti si ferma tutto.
Pensa che da questi nuovi ceti di lavoratori precarizzati emergerà una nuovo tipo di proletariato?
E’ troppo presto per dirlo. Per creare un’unità non devi solo condividere le lotte, che è la parte epica della sindacalizzazione, ma devi avere una visione condivisa del tipo di società futura che vuoi. Ma vogliamo parlare di libri adesso?
Parliamo anche di intellettuali. Che ruolo hanno oggi nella sinistra?
Io non sono un’intellettuale della sinistra, sono uno scrittore operaio che è strutturale al movimento operaio. Asor Rosa e quelli come lui che parlano di lotta di classe e all’università sono circondati da un codazzo di assistenti sono intellettuali seguaci del Petrarca e del Bembo, io sto con Dante.
Ma non sono l’unico scrittore operaio, anche Erri de Luca ha lavorato in cantiere.
Cosa sta scrivendo?
Ho finito di scrivere romanzo di formazione ambientato tra gli anni ’60 e ’70, che parla della crescita di un ragazzo di Latina. Prima lo mandano in seminario, dopo qualche anno l scappa e entra invece nel Movimento Sociale Italiano, da dove lo cacciano e diventa Maoista. E poi finisce con la lotta armata. Il filo conduttore è la passione civile. La volontà di intervento nella società.
Titolo provvisorio Debita nostra. Uscirà a Gennaio 2003 con Mondatori
La casa editrice di Berlusconi!
Perchè Feltrinelli non mi vuole. Ma io faccio lo scrittore, devo pubblicare.

E’ forse l’ultimo scrittore operaio del nostro panorama culturale. Entrato in fabbrica per fare la rivoluzione c’è rimasto come operaio nei turni di notte. Porta un cappello alla “Cipputi” e legge (in latino) Giovanele e Orazio. Il suo libro di esordio Mammuth, scritto nel 1988 e pubblicato dieci anni dopo da Donzelli, è una delle testimonianze più oneste sull’etica del sindacalista di base con i suoi vincoli morali e quelli tra uomini, ed anche la sua dimensione epica e un po’ picaresca. Uomo tenace e intellettualmente onesto fino allo scontro, a lui si può riferire una frase di Mammuth, rivolta dal padrone della fabbrica al protagonista : “Almeno adesso che è tutto finito, permetta che glielo dica: in quarant’anni che giro per le fabbriche, di rompicoglioni ne ho conosciuti tanti. Ma uno come lei….”

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