Nel Paese in cui la qualità della vita si misura in chilometri di distanza dal “centro”, il pendolarismo è la diretta espressione dei costi sociali dello sviluppo urbanistico italiano. La recente mobilitazione causata dal congelamento dei 400 milioni stanziati in Finanziaria e dallo stallo delle trattative per il rinnovo del contratto di servizio tra Regioni e Trenitalia, ha spostato il problema unicamente sui “precari del trasporto pubblico”.
Ma la realtà è ben più complessa. Secondo il rapporto del Censis Pendolari d’Italia, il vero nodo da sciogliere sarebbe quello del cosiddetto “pendolarismo privato”, cioè tutte quelle persone che per scelta o necessità impiegano l’auto per raggiungere il luogo di lavoro o di studio. Sono quasi dieci milioni, il 70% del totale dei pendolari in Italia, che ogni giorno devono fare lo slalom tra rincari del carburante, pedaggi autostradali o tariffe per il parcheggio a pagamento. In tutto circa 2.300 euro di spesa annua, quasi quattro volte superiore ai 540 euro sborsati dai clienti di Trenitalia, e che pesa per più del 10% su uno stipendio medio.
Un vero e proprio salasso evidenziato anche da Federconsumatori durante l’ultima iniziativa contro i tagli ai convogli locali annunciati da Trenitalia. Tagli che, insieme ai miseri investimenti dell’1% dei bilanci regionali nel settore, scoraggerebbero per l’ennesima volta anche quel 69% di pendolari dell’auto disposti a rinunciare alla comodità del proprio mezzo in cambio di un servizio pubblico più efficiente. Il che nella maggior parte dei casi vuol dire avere la stazione sotto casa o un facile accesso al sistema di trasporto su ferro. Richieste ad oggi impossibili da realizzare, se si guardano i chilometri di strade ferrate in Italia e nel resto d’Europa. Qualche numero: 3mila km di rete a Berlino, 1.400 a Parigi, 188 a Roma e 180 a Milano. Il confronto non regge, anche se «per l’assetto e la morfologia del territorio al momento non si può pensare di soddisfare una tale domanda», spiega Marco Ponti, professore al Politecnico di Milano e uno dei maggiori esperti di economia dei trasporti. «Per adesso la quota che si può trasferire al servizio pubblico non è superiore al 2%, quindi bisogna guardare al fenomeno in tutti i suoi aspetti. Ecco perché il problema è politico e necessita di una cura che prenda in considerazione tanto la questione delle accise, quanto quelle dei parcheggi di scambio o dei pedaggi».
Una prima soluzione al problema potrebbe essere intanto ricercata leggendo la distanza media percorsa ogni giorno dai 13 milioni di pendolari. Ventiquattro chilometri per una metropoli non sono troppi e consentirebbero un’efficace integrazione dei servizi. Car Sharing, parcheggi di scambio e mezzi di collegamento con il centro della città potrebbero essere strade percorribili che, secondo il Censis, per una buona fetta dei pendolari faciliterebbero anche l’uso del trasporto pubblico. «Sono state fatte esperienze, ma si tratta di casi isolati, sperimentazioni che hanno riguardato piccole città», spiega Monica Multari, responsabile legale del settore Trasporti ferroviari del Movimento Consumatori. «La sfida è fare sistema e capire il perché in questi anni non si è riusciti a implementare tali strumenti».
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