Politica

Penati e Tremonti, accuse bipartisan

Le due vicende giudiziarie mettono in difficoltà Pdl e Pd

di Franco Bomprezzi

Penati e Tremonti: una coincidenza beffarda mette contemporaneamente in forte difficoltà bipartisan la maggioranza di governo e il maggior partito di opposizione, alle prese con la questione morale. Oggi i giornali dedicano attenzione sia alle inchieste che alle reazioni politiche, mentre la situazione economica continua a destare gravi preoccupazioni.

L’intero palco centrale della prima del CORRIERE DELLA SERA è dedicato alle due vicende politico-giudiziarie di questi giorni. «Così pagavamo le tangenti» è il titolo riservato agli interrogatori dei due grandi accusatori di Filippo Penati, il costruttore Giuseppe Pasini e l’imprenditore Piero Di Caterina. Forte la reazione di Pierluigi Bersani, segretario del Pd: “No alla macchina del fango”. Appena sotto il titolo dedicato a Tremonti: «Quell’affitto del ministro lo versava il costruttore», anticipazione del contenuto del pezzo di Fiorenza Sarzanini a pagina 5. Ma già in prima l’editoriale affidato alla penna equilibrata di Sergio Romano non lascia dubbi: “Quel che Tremonti non ha detto”. Così conclude il suo commento: “Il caso del ministro che paga in nero per un appartamento forse addirittura al centro di un’imbrogliata vicenda di favori e appalti rischia di diventare l’arma preferita dei suoi avversari. Qualcuno potrebbe persino sostenere che Tremonti è il nostro Murdoch. Se il magnate della stampa anglo-americana pretende di censurare i governi dall’alto della sua cattedra, ma compra le notizie corrompendo la polizia e intercettando le telefonate della gente, che cosa dire di un ministro dell’Economia e delle Finanze che pretende di tassare i suoi connazionali, ma accorda a se stesso un trattamento di favore? Tremonti dovrebbe rompere la spirale dei sospetti e parlare con franchezza ai suoi connazionali. Non deve permettere che questa infelice vicenda diventi l’ennesimo scandalo della vita pubblica nazionale e contribuisca ad accrescere la sfiducia del Paese per la sua classe politica. Ci dica che cosa è realmente accaduto e, se ha commesso un errore di giudizio o un peccato di distrazione, non tema di scusarsi pubblicamente. Lo faccia per se stesso e nell’interesse di un Paese che, soprattutto in questo momento, ha bisogno di un ministro dell’Economia serio e credibile”. E veniamo al pezzo della Sarzanini, pagina 5: “L’affitto di Tremonti e le carte sugli appalti”. “L’affitto dell’appartamento di via di Campo Marzio, occupato fino a qualche settimana fa dal ministro Giulio Tremonti, sarebbe sempre stato pagato da Angelo Proietti, il titolare della società Edil Ars che lo aveva ristrutturato gratuitamente e aveva ottenuto appalti dalla Sogei. I soldi sarebbero stati consegnati a Marco Milanese, il parlamentare pdl ex consigliere politico dello stesso ministro, accusato di associazione a delinquere, corruzione e violazione di segreto. A raccontarlo ai magistrati di Roma è Tommaso Di Lernia, l’imprenditore arrestato con l’accusa di aver pagato il leasing della barca di Milanese con un sovrapprezzo di oltre 200 mila euro in cambio di «commesse» dell’Enav. E poi dichiara che Tremonti — che al momento non risulta indagato— avrebbe ceduto al «ricatto» del consulente di Finmeccanica Lorenzo Cola, che chiese e ottenne la conferma di Pierfrancesco Guarguaglini alla presidenza della holding. Rivelazioni clamorose che i magistrati stanno adesso verificando, tenendo conto che Di Lernia sostiene pure di aver evitato una verifica fiscale grazie «all’intervento di Milanese su Befera» , il direttore dell’Agenzia delle Entrate”. Le accuse a Tremonti provocano la richiesta di dimissioni da parte dell’Idv e del Pd, ma soprattutto la reazione imbarazzata all’interno del Pdl. Scrive Lorenzo Fuccaro a pagina 6: “Anche altri esponenti della maggioranza che condividono le preoccupazioni di Tremonti si domandano se non ci si trovi dinanzi a un piano ordito sfruttando circostanze che obiettivamente dovevano essere chiarite subito, sin dalle prime notizie sull’inchiesta a carico di Milanese. Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa, è uno di questi: «Ha dato schiaffi a tutti e ora che si trova in difficoltà non è facile trovare qualcuno che si mostri solidale con lui» . Anche perché, sottolinea Crosetto, «non ha compiuto quei passi che andavano fatti nei confronti di una figura che presentava zone di ombra»”. I guai del Pd nelle pagine seguenti. Partiamo dalle accuse a Penati, a pagina 9: «Penati mi disse di versare al partito» è la frase di Piero Di Caterina che viene sintetizzata nel titolo a tutta pagina del pezzo di Ferrarella e Guastella. «Quello di cui sono assolutamente certo — scandisce ai pm il costruttore Giuseppe Pasini — è che ho pagato 4 miliardi di lire in due tranches a Di Caterina all’estero perché così mi era stato chiesto da Penati in relazione all’approvazione del piano regolatore dell’area Falck di Sesto» . Pur coperti da una pioggia di omissis, ecco gli interrogatori di Pasini e dell’imprenditore del trasporto urbano Piero Di Caterina, dai quali è nata tutta l’inchiesta sull’ex sindaco ds di Sesto San Giovanni e dimessosi vicepresidente pd del consiglio regionale lombardo Filippo Penati. Pasini, nel 2007 candidato del centrodestra a Sesto, nel 2000 era il costruttore che stava per acquistare dai Falck l’area delle ex acciaierie. «Io— ricorda ai pm— sono andato a chiedere a Penati se, nel caso avessi comprato l’area Falck, era possibile arrivare a una licenza. Penati mi disse che avrei dovuto dare qualcosa al partito ovvero a qualcuno. A tal fine ho incontrato Penati in Comune nel 2000» , il quale «mi disse che l’operazione mi sarebbe costata 20 miliardi di lire in tranches di 4 miliardi l’una”. A pagina 8 la reazione del Pd: “Lo sfogo di Bersani: no al fango. Penso a una «class action»”.

LA REPUBBLICA che apre sull’iniziativa delle parti sociali: “Cambiare o l’Italia affonda” riserva agli scandali il taglio centrale: “Un indagato accusa Tremonti «Appalti per pagargli la casa»” e a fianco “Bersani: querelo basta fango Penati, si indaga sulla Serravalle”. I servizi all’interno. Si comincia con il caso Milanese Tremonti: dal carcere Tommaso Di Lernia svela che la casa di Milanese sarebbe stata pagata da un imprenditore, Angelo Proietti, che in cambio avrebbe ricevuto subappalti in Enav e ammorbidimenti dell’accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate per una sua società. Rivela inoltre che Tremonti sarebbe stato ricattato da Lorenzo Cola (che voleva la riconferma di Guargaglini a Finmeccanica). Conferma, Di Lernia, di aver acquistato lo yacht di Milanese: «Cola non mi volle dire chi era il proprietario della barca. Mi disse solo che l’ordine era arrivato dal Palazzo, intendendo Finmeccanica nella persona nel presidente, e dunque non mi sarei potuto sottrarre». Dal canto suo Milanese rilascia una intervista a Conchita Sannino: il ministro pagava una parte del canone, 8500; i lavori fatti da Proietti dovevano essere pagati, ma era Proietti che gli disse di aspettare; Tremonti e il magistrato Capaldo cenarono insieme, è vero, ma parlando di autori greci e latini. Insomma una difesa a tutto campo: «Devo andare in carcere perché mi piacevano le barche o la Ferrari? Perciò dico al Parlamento: autorizzate l’apertura delle cassette di sicurezza e l’accesso ai tabulati. Ho fiducia». Sul fronte Pd proseguono le indagini su Penati: secondo il grande accusatore Giuseppe Pasini il sistema delle tangenti alle cooperative rosse serviva a Penati. Ora i pm indagano sull’acquisizione del 15% dell’autostrada per Serravalle, sospettando una tangente da due milioni. Omer Degli Esposti, numero due del Consorzio di Cooperative Costruzioni, nega ogni addebito: «non ho mai pagato tangenti». Ieri il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha annunciato querela verso Libero e Il Giornale che hanno parlato di “pizzo”, paragonando il Pd alla ‘ndrangheta. Sulla questione morale, interviene Eugenio Scalfari che rilancia la riforma della Rai e quella della legge elettorale: «le forze del centrosinistra e il Pd possono e debbono avere l’ambizione di riformare il Paese».

IL GIORNALE apre a tutta pagina, per la serie “diversamente ladri” puntata 2, con “Il Pd chiede soldi pure a noi”. L’editoriale è di Alessandro Sallusti «In questi giorni è difficile distinguere il segretario del Pd Pierluigi Bersani dal suo imitatore principe Maurizio Crozza. Le battute sono esilaranti. Dice: “Il Pd è totalmente estraneo a tutti i fatti di cronaca di cui si parla”, quando solo negli ultimi anni sono ben 102 i suoi dirigenti indagati, arrestati, rinviati a giudizio o che hanno subito condanne. Dice: “Abbiamo fiducia nella magistratura, non accettiamo calunnie”, quando i giornali si stanno limitando a pubblicare atti e ipotesi di accusa che escono da due Procure della Repubblica. Dice: “Fermeremo la macchina del fango”, riferendosi probabilmente alle riflessioni di due imprenditori che raccontano di tangenti al partito e che, almeno in apparenza, sono un po’ più credibili delle escort e dei pentiti di mafia da lui accreditati in un recente passato per infangare Berlusconi. E infine dice: “Adesso partono le querele, stiamo pensando a una class action di tutti gli iscritti contro i giornali”. E qui siamo alla minaccia, al tentativo di spaventare e zittire, al bavaglio democratico. Strano, per uno che soltanto un anno fa scese in piazza per la libertà assoluta di stampa contro il tiranno Berlusconi (aggredito sul piano personale da l’Unità e La Repubblica)». Mario Giordano invece firma “D’Alema rinunci alla pensione che gli pagano i giornalisti” e scrive rivolgendosi direttamente al dirigente Pd «vede, forse è vero che noi giornalisti siamo delle “iene dattilografe”, come ci ha gentilmente definiti, ma lei è una sanguisuga; forse è vero che noi siamo “tecnicamente fascisti”, per usare un’altra sua espressione, ma lei è praticamente un mantenuto. Gliel’ha ricordato sul Fatto di ieri il suo coetaneo e diversamente estimatore Oliviero Beha, chiedendole proprio per questo motivo di rinunciare alla pensione dell’Inpgi, l’istituto di previdenza di tutte le iene dattilografe, comprese quelle tecnicamente fasciste. Ecco, questo volevo dirle: dia retta a Beha, rinunci alla pensione dell’Inpgi. Non le dovrebbe essere difficile, penso: considerato che lei ci tiene tantissimo a distinguersi, a tenerci a debita distanza e a non mescolare la sua suprema arguzia con le nostre modesta capacità, le offriamo un’ottima occasione per dimostrare al mondo che lei è davvero diverso da noi giornalisti. E con noi non ha nulla da spartire. Nemmeno i contributi figurativi». Spazio anche al caso Penati. Stefano Filippi firma “Donazioni e scambi di favori così le coop finanziano il Pd”. «Non vogliono più essere chiamate “coop rosse”. I loro vertici sostengono che il collateralismo con la politica è morto con il Pci. Basterebbe scorrere i resoconti dei finanziamenti alle campagne elettorali per smentirli. Un dato per tutti: nel rendiconto 2010 del Partito democratico figurano contributi per 146mila euro stanziati dalla Legacoop Lombardia al Pd di Milano. O l’intreccio con gli organigrammi del Pci-Pds-Ds-Pd. Lo stesso Filippo Penati prima di dedicarsi interamente alla vita politica è stato insegnante, assicuratore e vicepresidente regionale dell’Associazione cooperative». “Il regno di Penati: poltrone e scatole cinesi” di Giannino della Frattina spiega il sistema fatto di «immense aree da edificare, ma anche le autostrade. La gestione dei servizi di trasporto e i consigli di amministrazione di società e fondazioni. Una rete di potere costruita con la tenacia di chi è partito dalla provincia e la scientificità della scuola di partito dei vecchi quadri del Pci. Perché il sogno proibito di Filippo Penati era mettere le mani su un intreccio societario di autostrade già esistenti che macinavano profitti e di altre da costruire che generavano appalti. E tangenti, sospettano oggi i magistrati del tribunale di Monza. A spanne un giro d’affari di almeno tre volte il ponte sullo Stretto di Messina che Penati poggiò su un castello di scatole cinesi. Custodito da Asam, una sconosciuta società che si occupava di acque e partecipata al 99 per cento dalla Provincia. Trasformata nella cassaforte delle partecipazioni infrastrutturali. Meno dipendenti delle dita di una mano per gestire un fiume di denaro. Nel 2003 oltre 630 milioni di euro di valore di mercato».

Il Pd in prima pagina del MANIFESTO ha solo un richiamo a metà pagina, ma è sul voto per le missioni “Signorsì Bersani, ordine sulle missioni”. L’articolo è a pagina 3, mentre ai casi Penati e Tedesco è dedicata l’intera pagina 2 con in apertura il titolo “Pd, fuga dalla palude”, “Il segretario tuona contro la «macchina del fango», annuncia querele ai giornali della destra e ipotizza una class action di tutti gli iscritti al partito”, nell’articolo si ripercorre la conferenza stampa di Bersani e si conclude parlando della visita di ieri sera di Bersani a Parma. In un box Luca Fazio ripercorre le diverse inchieste in corso sotto il titolo “Gli schizzi che infangano il buon nome del partito”. «Se, come dice Pierluigi Bersani, si è davvero messa in moto la macchina del fango, è certo che gli schizzi stanno arrivando da tutte le parti (…)» è l’incipit cui seguono quattro capitoletti: «Il “sistema” di Filippo Penati»; «L’imbarazzante Alberto Tedesco»; «Sulle ali di Franco Pronzato» e infine «Le mazzette dell’Abruzzo».

Sulle vicende che coinvolgono maggioranza (caso “Milanese-Tremonti” e caso “Papa”) e opposizione (caso “Penati” e caso “Tedesco”), il SOLE 24 ORE dedica pagina 15. Marco Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti, avrebbe fatto comprare la sua barca a Finmeccanica per garantire il rinnovo della nomina dell’ad Pier Francesco Guarguaglini. E Angelo Proietti – titolare dell’Edil Ars, società che ristruttura l’abitazione del deputato Pdl in via di Campo Marzio a Roma, abitata fino ad alcune settimane fa dal ministro dell’Economia – sarebbe persona che allo stesso Milanese «dà solo 10.000 euro al mese per pagare l’affitto a Tremonti» per la stessa casa. Entrambe le affermazioni, tutte da dimostrare, sono state messe per iscritto in un memoriale l’11 luglio scorso dall’imprenditore Tommaso Di Lernia e trasmesse al gip Anna Maria Fattori. De resto il parlamentare pdl Alfonso Papa, nell’ambito dell’inchiesta P4, rimane in carcere su decisione del gip Luigi Giordano. Sul versante dell’opposizione fa rotta sulla Milano-Serravalle l’inchiesta di presunte tangenti versate da alcuni imprenditori di Sesto San Giovanni a Filippo Penati. Una situazione a cui risponde a livello nazionale con decisione lo stesso segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani: «Lo dico alle macchine del fango che cominciano a girare: se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso, non ci faremo intimorire». Dal caso “Tedesco”, invece, più sommesse, le parole del segretario («Sul caso Tedesco ci sono stati degli errori») fanno discutere nei corridoi della Camera. 

Anche Bersani vuole chiudere la bocca a chi dissente. E’ la tesi dell’analisi su ITALIA OGGI di Magnaschi nel pezzo “Bersani va la contrattacco con lo stile di Berlusconi”. «Si difende minacciando» scrive Magnaschi «anziché spiegandosi. Una tecnica di questo tipo però è perdente perché l’elettorato, oggi, non è più fideistico ma scettico. E poi questo fuoco di sbarramento assomiglia troppo alla tecnica già adottata da Berlusconi che voleva far tacere Travaglio ad Annozero cosi come oggi Bersani vuol farlo tacere a Il fatto Quotidiano». A pag 9, Sabina Rodi fa invece il pelo e il contropelo al Corriere della Sera, che sul caso delle tangenti in cui è coinvolto Penati, ha adottato un profilo bassissimo, usando il freno anziché l’acceleratore. «Se sulla vicenda Penati» scrive Rodi nel pezzo “Per il Corsera Penati non è Milanese” «ne apprende più il lettore de Il Fatto Quotidiano che non quello del Corriere della Sera, ci deve essere qualcosa che non va nel Corriere. Che questo diverso atteggiamento abbia a che  fare con la circostanza che mentre Il Fatto quotidiano guadagna oltre il 18% nelle vendite, il Corriere invece ne perda il 3?». Morale della favola. Quando i quotidiani di sinistra osano di più, incassano più lettori. 

AVVENIRE  dedica alla questione morale del Pd una pagina. “L’ira di Bersani: basta fango contro il Pd” di Roberta D’Angelo racconta «la lettera pubblica non era stata sufficiente, o almeno non per il segretario che l’aveva vergata». Infatti «Pier Luigi Bersani va oltre e questa volta il suo sfogo raccoglie i malumori anche dei più indignati nel Pd, travolto da uno tsunami giudiziario che i democratici si affannano a contestare. «Le macchine del fango che girano, se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso. Noi abbiamo capito quello che sta succedendo. Lo abbiamo capito», scandisce con rabbia il leader piddì, che non rimuove dalla sua mente titoli di giornali e servizi televisivi sulle inchieste che coinvolgono largo del Nazareno. Bersani si scalda. È determinato. Ripercorre le ragioni già argomentate, così come torna a fare autocritica sulla vicenda Tedesco. «Ci sono stati errori», ma alla fine, ricorda, è stato chiesto l’arresto. «Le critiche le accettiamo. Le aggressioni no, le calunnie no, il fango no. Da oggi iniziano a partire le querele e le richieste di danni. Sto facendo studiare la possibilità di fare una class action» da parte di tutti gli iscritti al Pd, avverte (anche se il Codacons esclude che ci siano le condizioni per un’azione simile)». In un intervista di Eugenio Fatigante parla del caso anche il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. “Di Pietro: ma così Pier Luigi la butta in politica. Pensi invece ad affrontare i problemi nel merito”. Per l’ex magistrato infatti «l’unico modo per evitare davvero che la macchina del fango si alimenti, è correre dal magistrato e chiarire i fatti, come appunto ho sempre fatto io. Prendiamo il caso di Penati: io, che l’ho conosciuto, non credo che sia un ladruncolo, di quelli che nascondono i soldi sotto il puff. Ma lui non può limitarsi a dire “chiarirò a breve”. Che aspetta? Vada subito dai giudici, prenda il primo microfono e chiarisca. Ogni rappresentante eletto ha il dovere di farlo, per il rispetto dovuto ai cittadini». 

“Bersani al contrattacco: ‘Troppo fango sul Pd” titola LA STAMPA a pagina 6. Il segretario del Pd ha annunciato una «class action degli iscritti per difenderci dalle calunnie». Nel suo partito la tensione si taglia a fette – scrive LA STAMPA – sui blog della sinistra monta l’indignazione dopo i casi Pronzato, Tedesco e per l’inchiesta su Penati. Bersani sceglie la linea del contrattacco: «Se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso» e a proposito degli attacchi de “Il Giornale”: «le critiche vengono accettate, ma aggressioni, calunnie e fango no». Nella pagina seguente il caso Tremonti. Il memoriale depositato dall’imprenditore Tommaso Di Lierna racconta un’altra verità rispetto a quella sostenuta finora da Marco Milanese, ex braccio destro di Tremonti al centro dell’inchiesta sugli appalti: ogni mese Angelo Proietti, titolare della Edil Ars consegnava a Marco Milanese diecimila euro per pagare l’affitto della casa del ministro dell’economia. Delle due l’una scrive in un mini-editoriale Mattia Feltri: o Marco Milanese la racconta grossa o l’ha fatta grossa Giulio Tremonti. «Milanese dice che Tremonti lo pagava l’affitto, mille euro in contanti e in nero. E si sottolinea, in nero».
 
E inoltre sui giornali di oggi:

GOVERNO
LA REPUBBLICA – Confindustria, Alleanza cooperative, Abi, Cgil, Cisl, Coldiretti, Reteimprese Italia e da altri chiedono «un Patto per la crescita che coinvolga tutte le parti sociali». Tradotto chiedono un segnale di discontinuità al governo: i mercati non riconoscono più la solidità dei fondamentali italiani, dunque bisogna agire e con decisione Come poi questo si concretizzi, è altra faccenda. Il premier dal canto suo reagisce come sempre, cioè opera una riduzione ad unum, che casualmente coincide con la sua persona. «Se potessi ci andrei io stesso all’Economia al posto di Tremonti, e mi terrei l’interim della presidenza del Consiglio». Una battuta riferita da Francesco Bei che però la dice lunga sul fatto che il cavaliere si preoccupa delle conseguenze politiche di questo appello. Conseguenze che non ci saranno, assicurano i suoi consiglieri. Ecco dunque il premier che commissiona un sondaggio sul partito pensando che forse sarebbe il caso di tornare al vecchio nome… Il commento è di Massimo Giannini: “Lo spirito del ’92 che serve al Paese”. Mentre «l’irresponsabile propaganda governativa continua a ridimensionare la portata degli attacchi speculativi… il comunicato congiunto di tutte le forze della rappresentanza economica e sociale ristabilisce il “principio di verità”». Ovvero che l’attuale classe politica non è all’altezza. Evocare una discontinuità, annota Giannini, significa sfiduciare Berlusconi.

CRISI
IL MANIFESTO – “La borsa e la vita, le due crisi si toccano” è il titolo dell’articolo di Galapagos che inizia in prima pagina nello spazio di apertura sotto il titolo “Avanti così” e accanto alla foto della manifestazione Coldiretti con i maiali davanti alla Borsa. “La paura regna sulle borse occidentali: nuovo tonfo, i tedeschi vendono i titoli italiani e affondano Piazza Affari. L’Italia nell’occhio del ciclone, Standard&Poor’s abbassa ancora il rating della Grecia. E ora si teme il possibile default americano” riassume il sommario che rinvia a pagina 5 dedicata all’economia. Scrive Galapagos: « Il comunismo è morto, il capitalismo trionfa, si sosteneva alcuni anni fa. I più intelligenti aggiungevano: il capitalismo (o se preferite, il libero mercato) è il sistema economico meno imperfetto. Oggi abbiamo la certezza che questo sistema fa schifo. (…) Il sistema globale è nel vortice di una nuova crisi finanziaria che rischia  di produrre effetti disastrosi, peggiori di quella iniziata oltre 3 anni fa alla quale sono state messe “toppe” gigantesche che hanno contribuito a destabilizzare i conti di molti stati» e continua «(…) quella che abbiamo di fronte è una crisi fiscale degli stati: l’impossibilità di onorare i debiti sovrani. È una crisi che coinvolge il centro dell’impero (gli Usa), le medie potenze (Italia e Spagna) e soprattutto piccoli paesi come Irlanda, Portogallo e Grecia (…)» e osserva «(…) sarebbe assurdo ridurre questa crisi a un fatto unicamente finanziario. Da un punto di vista ideologico la crisi nasce dall’anarchia del capitalismo e, in pratica, dall’incapacità degli stati di eliminare, o quantomeno ridurre, le sperequazioni nella distribuzione dei debiti» e conclude «(…) Degli indici di borsa ci interessa poco, ma le condizioni di vita, degli italiani come dei greci, non possono essere decise dagli apologeti del capitalismo». Anche l’editoriale in prima pagina è dedicato alla crisi: “Il pendolo speculativo” che chiude: «Senza una politica che riprenda il controllo della finanza, il pendolo della speculazione continuerà a muoversi tra Borse private e debito pubblico – calpestando nel suo passaggio, monete, materie prime e  prodotti agricoli. La pallina delle Borse potrebbe accelerare la sua caduta, trascinando di nuovo in basso l’economia del vecchio continente».

IL SOLE 24 ORE – Doppia pagina (la 10 e la 11) per illustrare un manifesto contro la crisi economica firmato da importanti sigle: Confindustria, Abi, Cgil, Cisl, l’Alleanza delle cooperative italiane (Confcooperative, Lega delle coop, Agci), Rete Imprese Italia (Confcommercio, Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confesercenti), Confagricoltura, Confapi, Ugl, Coldiretti, Cia. Nomi che contano nell’economia italiana e che suggeriscono non senza qualche tono da ultimatum 9 passaggi necessari per superare il momento di difficoltà finanziaria. Dalla riduzione della tassazione sul lavoro all”innalzamento dell’età pensionabile obbligatorio per tutti a 70 anni, dall’adozione di Eurobond alle consuete privatizzazioni e liberalizzazioni, dal monitoraggio della spesa sanitaria e della politica all’aumento delle rette universitarie per finire con la necessità di una maggiore trasparenza nella pubblica amministrazione. Sono nove i punti salienti, che trovano spazio anche in prima pagina, lanciati nello spazio che è di norma del fondo o editoriale. 


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