Mondo

Pena di morte in Giappone: si fa ma non si dice

La denuncia di Amnesty e di Comunità di Sant'Egidio

di Riccardo Bonacina

Dal 18 al 20 giugno Amnesty International e la Comunita’ di Sant’Egidio ospiteranno a Roma una delegazione giapponese contro la pena capitale. L’iniziativa si svolge alla vigilia del Congresso mondiale sulla pena di morte (a Strasburgo dal 21 giugno) ed intende sensibilizzare il pubblico e le istituzioni sulla crudele realta’ della pena di morte in Giappone, un fenomeno sconosciuto anche agli stessi cittadini giapponesi. In Giappone la pena di morte viene applicata regolarmente (39 esecuzioni dal 1993 al 2000), in particolare nei periodi di festa e di chiusura parlamentare. I condannati a morte, attualmente 52, trascorrono anni, se non decenni, in isolamento pressoche’ totale e non vengono informati in anticipo sulla data di esecuzione. I loro parenti vengono a saperlo solo a impiccagione avvenuta. La delegazione abolizionista giapponese incontrera’ il pubblico e i giornalisti lunedi’ 18 giugno a Roma, alla Sala del Refettorio (via del Seminario 76), alle ore 16.00. Tra gli altri, saranno presenti: Sakae Menda, condannato a morte la cui innocenza e’ stata provata nel luglio 1983 grazie alla revisione del processo, dopo 34 anni e 6 mesi trascorsi nel braccio della morte. Masaharu Harada, il primo familiare di una vittima di omicidio che si batte per l’abolizione della pena di morte; ha perso un fratello per omicidio e i responsabili sono stati condannati a morte. Koichi Kikuta, giurista, autore di numerosi saggi sulla pena capitale e sui diritti umani. Maiko Tagusari, avvocatessa, segue numerosi casi di condannati a morte. Satomi Suzuki, coordinatrice delle iniziative sulla pena di morte della Sezione Giapponese di Amnesty International.


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