Non apprezzo in modo particolare la cucina tirolese, ma m’ha sempre divertito l’onnipresenza di un ingrediente: l’erba cipollina.
Ci sta bene, a sentir loro, con tutto e su tutto.
Se non ci trovi l’erba cipollina, magari anche solo per abbellimento, sembra di non aver nemmeno mangiato.
Questo di là dell’Isarco e del Passirio.
Ho la medesima sensazione quando sento citare ad ogni pié sospinto, solitamente in rituale premessa, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. È un po’ come l’articolo 3 della Costituzione.
Tu citala in premessa, butta là ogni tanto un richiamo, e avrai ammantato le più insostenibili incongruenze di un’aura di ieratica intangibilità. Conterai anche il consueto stuolo di plaudenti “Apperò: è citata la Convenzione! È roba seria.”
E questa sensazione l’ho ritrovata leggendo il decreto interministeriale 182 del 29 dicembre 2020 che dà il via all’adozione del nuovo modello di PEI (Piano Educativo Individualizzato) e stabilisce le modalità per l’assegnazione delle misure di sostegno. Stiamo parlando di scuola, stiamo pensando a bambine e bambini, ragazzi e ragazze, stiamo leggendo un documento che ci sono voluti tre anni perché vedesse la luce.
Anch’esso richiama l’immancabile Convenzione ma poi non manca di incongruenze proprio con quell’atto, tanto da vedere compattare un fronte piuttosto ampio e determinato che ne contesta puntualmente vari passaggi. Passaggi insomma che non prospettano certo quell’inclusione di cui la Convenzione dovrebbe essere la fattrice ideale.
Già perché anche solo vagheggiare l’ipotesi di rendere strutturale il ricorso agli esoneri da più lezioni o da più materie, ha poco a che spartire con l’articolo 24 della Convenzione. Ancora meno ce l’ha idea di stabilizzare il ricorso a “laboratori” alternativi che, in molte famiglie e in chi conosce il mondo della scuola, richiamano mestamente “le aule di sostegno”, quegli stanzini in cui si confina l’alunno disabile con l’insegnante di sostegno.
Per tacere delle formulette di calcolo da usare nelle attribuzioni delle ore di sostegno.
Un’occasione persa di ripensare alla scuola, in particolare la secondaria, come luogo ove sperimentare progetti di transizione alla vita adulta, consumare esperienze vocazionali, tentare (seriamente) una continuità scuola/lavoro, simulare il domani. Per tutti.
Era inevitabile che un cartello compatto e maturo insorgesse rigettando queste ipotesi di ritorno al passato e, forse soprattutto, di rinuncia ad un futuro differente, prolifico, generativo di occasioni e di inclusione. Sto parlando, tanto per non essere frainteso, del Comitato #NoEsoneri ai quali va la mia convinta solidarietà anche per non essersi fatti azzittire, mentre già si ode lo stridore di unghie sugli specchi dei difensori d’ufficio messi in evidente imbarazzo. Il Comitato chiede di ridiscutere quelle norme e di riaprire il confronto con tutt’altra logica.
Una smorfia ingenera poi l’eccitata felicitazione per l’inserimento formale nelle norme del “principio di accomodamento ragionevole”. Per comprendere quanto infondata sia questa soddisfazione, bisogna compiere un passo indietro. Il termine è contenuto nella Convenzione ONU.
Cito testualmente: “per accomodamento ragionevole"si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l'esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali; “
Non sfugge a nessuno la pericolosità di questa terminologia: se non viene definita e circoscritta rischia di annullare i diritti soggettivi. Se viene definita invece ne allarga opportunamente il perimetro e lo rende flessibile.
In Italia in concetto non è ancora stato definito, tant’è che già nel 2016 il nostro Paese ha subito il richiamo dallo specifico Comitato ONU che vigila sull’applicazione della Convenzione. E niente.. il Comitato ci ha raccomandato di “adottare immediatamente una definizione di accomodamento ragionevole in linea con la Convenzione.“
L’hai vista tu la definizione? Io no. Eppure c’è chi applaude perché nella norma (il decreto 66/2017) e nel decreto è citato l’accomodamento ragionevole.
Temo che anche qui l’erba cipollina si sia incastrata fra i denti.
E di là sia difficile toglierla.
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