Volontariato

Peggio che restare giù dal treno? È fingere che sia solo una riprovevole eccezione

Inutile ora scatenare i leoni da tastiera contro i passeggeri poco empatici che non sono scesi dal treno. Era Trenitalia che doveva garantire che i posti riservati fossero tali. Ma soprattutto, nel giorno in cui due ministri presentano il decreto per il turismo accessibile, dobbiamo ammettere che quel che è successo alle 27 persone con disabilità lasciate giù dal treno da Genova a Milano non è un'eccezione né un caso raro. Da cosa ripartire? Dal dialogo, per contaminare le nostre comunità. Intervista a Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana Superamento Handicap

di Sara De Carli

Da due giorni, giustamente, tiene banco la vicenda delle 27 persone con disabilità che hanno dovuto rinunciare al posto – ovviamente prenotato – sul treno da Genova a Milano. Peggio della vicenda, adesso, ci sono due cose da evitare: ridurre quanto accaduto a un’eccezione, ignobile quanto si vuole ma pur sempre eccezione o scaricare tutto sull’incivile maleducazione e mancanza di empatia degli altri passeggeri, in possesso pure loro di regolare titolo di viaggio, nei confronti delle persone con disabilità. Vincenzo Falabella, presidente della Fish, commenta la vicenda proprio nel giorno in cui la ministra alla Disabilità Erika Stefani insieme al ministro del Turismo Massimo Garavaglia ha presentato il decreto che stabilisce le modalità di accesso e fruizione al fondo per la realizzazione di interventi per l'accessibilità all'offerta turistica delle persone con disabilità, iniziativa che ha per leit motiv – ha detto la Stefani – la necessità di «far comprendere che il turismo accessibile non è beneficienza da parte di chi fornisce un servizio ma rappresenta una grande opportunità di investimento». Si tratta di un fondo con una dotazione pari a 6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024, che si affianca al recente bando da 30 milioni di euro legato al Pnrr.

Come commentare la vicenda di Genova?
Con indignazione. Per il comportamento “da branco” che hanno assunto queste persone, nel non voler riconoscere un diritto garantito a chi aveva acquistato un regolare biglietto e la poca considerazione per le esigenze specifiche delle persone con disabilità. Ma anche per come Trenitalia ha governato la cosa: se il vagone era stato effettivamente riservato, doveva essere chiuso. Diversamente ha ragione chi si è seduto in quei posti, dato che sul treno regionale non si viaggia con un posto assegnato. C’è stato quindi un errore a monte da parte di Trenitalia che non ha governato il fatto che i posti riservati dovessero effettivamente essere riservati. Abbiamo quindi dei cittadini che al netto del fatto di chi ha ragione sul se dovevano o no occupare quei posti, di fatto lo hanno potuto fare perché chi doveva vigilare sulla riservazione non lo ha fatto. Dopo, il fatto che Trenitalia abbia messo a disposizione un pullman non può rientrare nell’accomodamento ragionevole, perché per una persona con disabilità non è equivalente viaggiare in treno o in pullman.

Questo episodio cosa ci dice?
Che per l’inclusione e per cambiare lo sguardo sulla disabilità c’è ancora tanto lavoro da fare, non tanto a livello politico ma culturale. Parliamo tanto di società inclusive e accoglienti e poi facciamo scivoloni del genere. Il problema di fondo è di consapevolezza, di come viene affrontato il tema della disabilità. Possiamo fare tutte le discussioni nazionali che vogliamo, ma poi ci scontriamo con il fatto che il nostro vicino di casa ancora ci giarda in cagnesco, ha ancora pregiudizi, è infastidito dalla nostra presenza. Non serve a nulla adesso scatenare i leoni da tastiera contro le persone che non hanno lasciato il posto a queste altre, ma cogliere l’occasione per porre attenzione alla necessità di un confronto diretto con le nostre comunità di appartenenza, nella quotidianità.

Abbiamo appena stanziato 30 milioni di euro per la realizzazione di interventi per l'accessibilità all'offerta turistica delle persone con disabilità. Cosa stride fra questo e l’episodio del treno?
Innanzitutto dobbiamo ricordarci che parlare di vacanza e turismo accessibile non è qualcosa che riguarda solo le strutture recettive, c’ tutto il comparto dei trasporti da considerare e quel che è successo è la prova provata che c’è tanto lavoro da fare. Bisogna investire sì sulle strutture e sulle infrastrutture ma anche capire che bisogna investire nella cultura dell’apertura, dell’accoglienza, saper confrontarci con le persone con disabilità. Serve un investimento duplice, economico strutturale e infrastrutturale, ma anche per scardinare preconcetti e pregiudizi.

Come dire che quella del lunedì dell’Angelo non è un’eccezione.
No, attenzione, questo è proprio il rischio di questi giorni. Pensare che sia una disdicevole eccezione. Non è un’eccezione e purtroppo non è nemmeno un caso raro. Questo caso di diverso dagli altri ha solo la cassa di risonanza importante che ha avuto, vuoi perché erano 27 persone, vuoi perché era Pasquetta, vuoi perché è stato denunciato dal governatore Toti, ma situazioni simili ce ne sono costantemente e ci vengono segnalata costantemente. A me personalmente è capitato paio di volte che in taxi mi sia stato chiesto un supplemento perché avevo la carrozzina, mentre ci sono tassisti che non prendono a bordo persone in carrozzina temendo che mettendola nel bagagliaio questa possa rovinarlo. È qualcosa per esempio che accade nelle scuole: quanti alunni con disabilità non partecipano alle gite? È quante persone vengono demansionate sul lavoro a causa della loro disabilità? Ecco perché ho il timore che stiamo facendo un enorme lavoro dal punto di vista politico e istituzionale, ma abbiamo forse abbassato un po’ la guardia sul tema della sensibilità e della sensibilizzazione.

Cosa propone?
La contaminazione. Parlarsi direttamente, le persone con disabilità e le loro comunità di appartenenza. Noi dobbiamo contaminare le comunità per far sì che la disabilità sia qualcosa che ci appartiene, non che spaventi.

FOTO DI © NANDO GINNETTI/AG.SINTESI

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.