Welfare

Pedagogisti e educatori socio-pedagogici: un ordine per dare dignità alla professione

Prosegue il dibattito sul nascituro Ordine per pedagogisti ed educatori professionali. Parliamo di circa 250mila professionisti e di 12mila neolaureati che ogni anno escono da 42 corsi di laurea in Scienze dell’Educazione. L’intervento del presidente di Apei, l’associazione di educatori che più ha sostenuto la necessità dell’istituzione di quell’ordine professionale per gli educatori socio-pedagogici che settimana prossima sarà al voto della Camera

di Alessandro Prisciandaro

Questi giorni di intensa attività politico/sindacale stanno segnando un importante traguardo nella nostra professione e crediamo sia importante un momento di riflessione, prima della approvazione definitiva del nuovo Albo. Ai risultati non si arriva per caso: la richiesta di riconoscimento del nostro prezioso lavoro parte da molto lontano, con le prime forme di rappresentanza associative nate dalle lotte delle professioni non ordinistiche unite nel Colap, da cui derivò la legge 4/2013 che rappresentò la prima risposta dello Stato a 15 milioni di professionisti non disciplinati. La legge si dimostrò subito un’arma spuntata nei confronti delle gestori dei servizi, che di fatto hanno spesso continuato a sottopagare gli educatori professionali in servizio (e continuano a farlo) e a non affidare ai pedagogisti ruoli di coordinamento e gestione dei servizi educativi, socio assistenziali e socio sanitari.

Come pedagogisti e educatori siamo consapevoli del ruolo fondamentale che svolgiamo nella società. Siamo chiamati a plasmare le menti e i cuori dei nostri giovani, a guidarli lungo il percorso della conoscenza e dello sviluppo personale. La nostra missione è di fornire loro le competenze necessarie per affrontare le sfide del mondo moderno, ma anche di nutrire i valori umani e sociali che sono alla base di una comunità prospera. In un'epoca in cui l'informazione è abbondante e accessibile, il nostro ruolo assume una valenza ancora più critica: dobbiamo essere capaci di discernere tra la conoscenza significativa e il semplice rumore di fondo, di affiancare le istituzioni educative come la scuola, nel difficile compito di insegnare a pensare in modo critico e creativo, a sviluppare la capacità di apprendere in modo autonomo e di adattamento ai rapidi cambiamenti del mondo che li circonda. Ma la nostra responsabilità non si limita al contesto scolastico. Come pedagogisti e educatori, siamo chiamati ad agire come agenti di cambiamento nella società, promuovendo l'uguaglianza, la giustizia sociale e l'inclusione. Dobbiamo lavorare per superare le barriere che impediscono ad alcuni individui di accedere a un'istruzione di qualità, di combattere l'esclusione e la discriminazione, di costruire ponti tra diverse comunità e di favorire la comprensione reciproca.

La nostra professione richiede dedizione, passione e costante impegno per la formazione continua. Dobbiamo rimanere aperti al dialogo e alla collaborazione, scambiando esperienze e conoscenze con i nostri colleghi, condividendo le migliori pratiche e sostenendo l'innovazione nel campo dell'educazione. Solo attraverso uno sforzo collettivo possiamo affrontare le sfide che ci attendono e raggiungere risultati significativi per le persone che serviamo.

Il nostro lavoro non è esente da rischi. Dopo un episodio di cronaca riportante l’accoltellamento di una educatrice che cercava di evitare il suicidio di un utente, che ha riportato all’ordine del giorno la problematica della sicurezza di educatrici ed educatori nei luoghi di lavoro, come Apei abbiamo condotto un’inchiesta lampo: tra gli intervistati, il 56% ha indicato di restare da sola/o nei servizi residenziali, mentre il 41% ha dichiarato di trovarsi da sola anche di notte. Più di un terzo degli intervistati ha dichiarato di aver subito aggressioni verbali da utenti o familiari. Il 26% degli educatori ed educatrici intervistate hanno dichiarato di sentirsi violate nella propria privacy, quando si trova al di fuori del proprio ambiente di lavoro, per fatti connessi con il lavoro.

Le cose vanno male anche sul versante economico. Le retribuzioni reali sono più basse di quelle delle analoghe professioni cui si accede con laurea nel sociale e nel socio-sanitario. Ma non basta. In ampia parte del Paese si evidenzia un’enorme presenza di part time “forzati”: chi lavora in educativa domiciliare o in educativa scolastica lavora rarissimamente full time e, se pure ci arrivasse combinando servizi al mattino e servizi al pomeriggio, lo farebbe con giornate che cominciano sì alle 8 e terminano alle 18, ma piene di ore buca. Per non parlare della sistematica disapplicazione dei contratti da parte una pletora di soggetti che formalmente sono di Terzo settore (associazioni e cooperative) ma che spesso usano tale strumento giuridico senza averne la vera natura: un educatore di nido guadagna in media 500 euro al mese. E vogliamo parlare delle buste paghe a zero stipendio? Della indecente modalità di tenersi i soci, senza pagarli? E delle ore, tra una lezione e l’altra, che non vengono retribuite? Spesso gli educatori che lavorano a scuola hanno buchi non retribuiti di alcuni mesi. In molti casi – in questo contesto – nel giro di pochi anni, le colleghe educatrici smettono di stare sul mercato del lavoro per dedicarsi ai figli o agli anziani: la componente di genere, in una professione femminile al 92% pesa, soprattutto in un paese in cui l’occupazione femminile è quella che conosciamo e in cui i carichi di cura pesano così significativamente sulle donne.

L'Ordine Professionale dei pedagogisti e degli educatori diventa uno strumento prezioso che, oltre a consolidare la nostra professione, agisca per promuovere standard elevati di qualità a vantaggio dell’utenza, oltre che rappresentanza dei i nostri interessi comuni.

Alessandro Prisciandaro

Cosa c’entra tutto questo con l’istituzione dell’ordine? Questa situazione insostenibile è il frutto della convergenza di diversi fattori. Alcuni riguardano il mondo del lavoro e l’economia. Ad esempio: l’insufficiente investimento nei servizi da parte dell’ente pubblico, i pagamenti vergognosamente intempestivi, il mancato adeguamento delle normative regionali sugli educatori professionali SPG e i pedagogisti a seguito della legge 205/17, l’assenza di verifiche e controlli di alcun tipo da parte degli enti locali sulle condizioni di assunzione. Questa crisi delle retribuzioni è dovuta anche a molti fattori che riguardano la regolamentazione stessa della professione: problematiche certamente sindacali, ma sulle quali l’Ordine risulterebbe un positivo elemento regolatore.

Un primo aspetto riguarda le attività tipiche degli educatori professionali SPG, i quali spesso operano in équipe con professionisti tutelati dai rispettivi ordini professionali. Tali ordini professionali intervengono con note e circolari a tutela delle loro prerogative professionali, spesso denunciando sconfinamenti o esondazioni. Il Tsrm ha più volte argomentato che gli educatori professionali SPG non possono operare (vedi circolare 87 e 87 bis e il ricorso pendente al Consiglio di Stato per l’annullamento del decreto in attuazione del 33.bis).

Secondo, gli enti pubblici continuano a normare in maniera arbitraria, attribuendo funzioni educative a persone prive del titolo legale (ad esempio, DGR Friuli – Venezia Giulia e DGR Lombardia; molte regioni non hanno recepito la L.205/2017 o il Dlgs 65/2017). Questo perché laddove l’unico stakeholder sono le imprese, capita che ogni tanto si ceda al richiamo di ampliare la platea con operatori poco retribuiti piuttosto che di pagare gli operatori adeguatamente. Sarebbe diverso se la professione avesse un ordine professionale da 200mila iscritti (con la credibilità di una istituzione della Repubblica) piuttosto che sette associazioni che hanno complessivamente 5mila iscritti.

Anche le imprese (nel nostro caso, gli enti di Terzo settore e gli enti della sanità convenzionata) dovrebbero porsi in questa ottica e guardare all’albo professionale per quello che è: una grande opportunità di riordino dell’intero sistema dei servizi sociali, sociosanitari ed educativi. Promuovere una regolamentazione che consenta un processo di definizione professionale è una soluzione (non l’unica, certo) anche al problema del mancato reperimento degli educatori sul mercato del lavoro.

In tutto questo l'Ordine Professionale dei pedagogisti e degli educatori diventa uno strumento prezioso che, oltre a consolidare la nostra professione, agisca per promuovere standard elevati di qualità a vantaggio dell’utenza, oltre che rappresentanza dei i nostri interessi comuni. Attraverso questa istituzione, possiamo lavorare insieme per rafforzare il ruolo dei pedagogisti e degli educatori nella società, per sostenere la nostra crescita professionale e per difendere i valori che ci guidano. Il Governo deve darci questa importante opportunità di crescita, a costo zero per lo Stato, in un territorio che vede tutti i professionisti del sociale dotarsi di un organo sussidiario, di autogoverno.

Dopo l’ultimo parere positivo della commissione bilancio, martedì 13 giugno l’Aula della Camera, dalle ore 14.20 con prosecuzione notturna, metterà in votazione gli undici articoli delle proposte di legge “Disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione dei relativi albi professionali”. L’Apei ha significativamente contribuito con numerose proposte di emendamenti e consulenze tecniche ai lavori parlamentari, fungendo da collettore con le realtà professionali che rappresentiamo, nell’ottica di un contributo fattivo e nell’interesse di tutti. Oggi è il tempo di abbandonare le fisiologiche e inevitabili querelle di piccolo cabotaggio, per andare avanti tutti insieme verso questa meravigliosa avventura attesa da trent’anni.

*Alessandro Prisciandaro, pedagogista, è Presidente Nazionale APEI

Foto di apertura, Claudio Schwartz – Unsplash

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