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Pdl: il demos della politica e l’ethos del fare

editoriale

di Riccardo Bonacina

Sebastiano Messina nel suo sempre arguto diario «Bonsai» della politica italiana, su La Repubblica, proprio alla vigilia del congresso fondativo del Popolo della libertà, scriveva: «Uno si domanda come facciano gli italiani a votare per un premier che abolirebbe volentieri il Parlamento. Poi però uno vede questo premier prepotente, aspirante despota e insuperabile gaffeur, inaugurare il termovalorizzatore di Acerra, riuscendo a fare in dieci mesi quello che il centrosinistra non era riuscito a fare in dieci anni. E trova la risposta, forse non l’unica ma certo la più bruciante per i suoi avversari. Quella miracolosa cattedrale d’acciaio brucia ideologia di scarto, incenerisce la politica del rifiuto, trasforma le chiacchiere in vapore e produce l’energia per illuminare tutta Berlusconia».
Non c’è dubbio, la capacità di guardare in faccia i problemi e la messa in campo di iniziative, sia pure brutali nel loro forzare regole sedimentate, per risolverli, è uno dei cardini della fusione “calda” tra Forza Italia e An all’origine del nuovo partito, il Popolo della libertà. L’opposto della fusione “fredda” e cervellotica tra Ds e Margherita nel Pd. Tanto quanto nel Pd il laboratorio politico prodiano ha provato a dare futuro a due storie politiche sfinite dalla Storia (quella dei comunisti e quella dei cattolici democratici), nel catino della Fiera di Roma parevano fondersi, per una spinta barbara ed entusiasta verso un surplus di politica, nuovi egoismi con tradizioni e valori antichi, rancori moderni e voglia di innovazione, rendendo palese a tutti quel demos e quell’ethos già evocati da Tremonti nel suo libro La paura e la speranza: «Serve un “demos”. Una visione strutturata e stabilizzata della società. (?) Per il “demos” serve la politica. Ed alla politica servono tanto una cultura ed uno spirito collettivo positivo – un “ethos” – quanto il potere per affermarlo. I popoli domandano ed i governi devono poter rispondere».
Non è un caso che la platea del Congresso abbia concesso una sola vera ovazione, quella per Renato Brunetta, il ministro che ha fatto della battaglia contro i fannulloni imbucati nella macchina dello Stato una bandiera. Lo Stato così com’è non funziona più, è stato il ritornello, da Berlusconi a Fini passando per tutti i ministri sino ancora al leader maximo che, nell’intervento conclusivo, ha aggiunto: «È lento e in costante ritardo nel dare le risposte appropriate. Il governo non può assolutamente lasciarsi imbrigliare dai ritardi e dalle inefficienze dello Stato. È dunque venuto il tempo di modernizzare la Costituzione nella sua seconda parte. Questa è la grande missione della nostra maggioranza parlamentare». Si possono evocare fantasmi o scendere in piazza ad ascoltare le prediche di Oscar Luigi Scalfaro, si può scegliere di debuttare come segretario del Pd all’insegna della Carta costituzionale, ma non capire che il bisogno di efficienza dello Stato, il bisogno di una rivoluzione nella burocrazia parassitaria pubblica e il bisogno di risposte certe in tempi certi sia uno dei cardini di uno Stato di diritto e giusto, significa essere andati così in là in un bizantinismo totalmente irrelato al Paese e così autoreferenziale da non capire non solo uno dei cardini dell’ethos politico berlusconiano ma anche uno dei principali motivi della sua egemonia dentro la società.


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