Non profit
Pdl, Berlusconi strapazza Fini
Lite in diretta, scontro mai visto nella politica italiana
Niente sarà più come prima, nella politica italiana, e soprattutto nel centrodestra, dopo la lite in diretta televisiva fra Berlusconi e Fini, nel corso di una drammatica quanto inedita riunione della direzione nazionale. I giornali di oggi dedicano molte pagine a questa giornata campale.
- In rassegna stampa anche:
- TARIFFE POSTALI
- MIGRANTI
- EUTANASIA
- STRADE
- ACQUA
- CINA
- CLASS ACTION
- WALL STREET
Titola in apertura il CORRIERE DELLA SERA: “Berlusconi a Fini: e ora dimettiti. Rottura in diretta. L’ex leader di An? Mi cacci? Io non lascio la Camera”. Riassume sempre in prima pagina il quotidiano milanese: «Scontro con rottura in diretta tra Berlusconi e Fini. Il premier: «Vuoi fare politica? Non lascio la Camera». Pdl, documento anti correnti: il premier potrà espellere dal partito». Due i commenti che partono dalla cover: “I costi della guerriglia” di Massimo Franco e “La messa al bando del cofondatore” di Pierluigi Battista. Partiamo da Franco: «L’immagine di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini che si accusano in pubblico, sotto gli occhi dei dirigenti del partito e del Paese, è a suo modo storica. Archivia sedici anni di sodalizio politico, perché quello personale si era guastato da tempo. E getta un’ombra sul futuro della maggioranza, del governo e della stessa legislatura. Da oggi comincia un rapporto che chiamare coabitazione è eufemistico: siamo alla vigilia di una guerriglia quotidiana, anche in Parlamento, capace di destabilizzare il Paese. Quella a cui si è assistito ieri a Roma, durante la direzione del Pdl, è stata una rottura esasperata, viscerale fino a sfiorare lo scontro fisico. È la conseguenza di un dialogo impossibile fra due visioni e due personalità ormai agli antipodi, non più complementari. E produce una frattura che Berlusconi vuole certificare, perché rifiuta l’idea di un Pdl lacerato dalle correnti; e che Fini cerca di tamponare, per non farsi spingere fuori dal partito e dalla presidenza della Camera: forse anche per dimostrare che il Cavaliere non è più così onnipotente». Battista invece richiama l’analogia con il vecchio Pci che nella logica del centralismo democratico non ammetteva le fazioni come dimostra la vicenda del gruppo del Manifesto e il soffocamento del dissenso anti sovietico di Giuseppe Di Vittorio ai tempi dei fatti di Ungheria, così come oggi fa Berlusconi. «Ma» – nota il vicedirettore del giornale – «dove c’è democrazia ci sono le correnti». Da leggere anche nella versione on line del CORRIERE il retroscena di Marco Galluzzo (“Premier-Fini si arrivò al contatto fisico”): «Quanto successo in direzione del Pdl ha diversi precedenti, ma a porte chiuse: «Ti ricordi che litigata ci siamo fatti per la prescrizione breve», ha ricordato dal palco lo stesso presidente della Camera, rivolto al Cavaliere, prima dell’escalation verbale fra i due. Uno di questi precedenti l’ha raccontato pochi giorni fa lo stesso premier e visto quanto successo all’Auditorium della Conciliazione non è difficile immaginarlo. A differenza di ieri si arrivò, fra i due, persino al contatto fisico: «Sì – ha rivelato il presidente del Consiglio – gli misi addirittura le mani addosso». L’incontro era alla presenza del solo Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, come tante altre volte. Anche allora lo scontro verbale superò il livello di guardia, volarono parole grosse. Fini provò ad alzarsi dalla poltrona e «io con entrambe le mani lo presi per le braccia e lo obbligai con forza a risiedersi». A pag 10 infine si parla de “L’ira di Bossi, allarme per governo e alleanza”: i timori della Lega: dai finiani può venire uno stop alle riforme. Zaia: «Temo che in questa bagarre qualcuno voglia ostacolare il rinnovamento».
LA REPUBBLICA apre secca: “Berlusconi-Fini, guerra totale”. Ben sei pagine interne per raccontare lo scontro avvenuto ieri tra il premier («se vuoi fare l’uomo politico lascia la presidenza della Camera» ) e Fini («che fai mi cacci? Non sono un traditore, ma ho il diritto di dire quello che penso»). «Non si era mai visto nulla del genere», scrive Gianluca Luzi, «per la prima volta il cofondatore Fini ha osato sfidare davanti alla direzione e soprattutto davanti alle telecamere l’altro cofondatore». In discussione il «centralismo carismatico», l’appiattimento sulle posizioni della Lega, la politica sugli immigrati, gli attacchi mediatici contro Fini da parte de “Il Giornale”. La giornata si chiude con un voto che sembrerebbe sancire la sconfitta del presidente della Camera: 12 contrari su 172 a un documento che vieta le correnti. In “Tra dramma e piazzata l’ultima scena madre di Silvio e Gianfranco”, Filippo Ceccarelli annota: «un po’ dramma elisabettiano, all’inizio, con Fini che affronta il tema alto del tradimento; un po’ cartone animato con il Berlusca che si mette storto, a braccia conserte, come zio Paperone; un po’ piazzata, scenata, baruffa di mercato; un altro po’ commedia all’italiana…. e un altro po’ anche rissoso salotto televisivo». Nel dopo assemblea, una ridda di reazioni. A cominciare dai protagonisti. Fini: «Non ho nessuna intenzione di dimettermi dalla presidenza della Camera, né di lasciare il partito». Bocchino (attaccato pesantemente da Berlusconi): «quello che è scritto nel programma di governo per noi è Vangelo. Quello che non è scritto dovrà essere discusso». Per la Bongiorno, «Fini ha dato prova di grande coraggio, personale, oltre che politico». Sull’altro fronte, pare sia già partito l’ordine di non ospitare più in televisione i ribelli. Secondo il premier «sarebbe stato meglio che Fini avesse detto “me ne vado”. Io sono uno che include, non mi piace litigare. Ma Fini vuole restare solo per logorarmi, non glielo posso consentire». Da lontano Bossi tira un sospiro di sollievo e medita di proporsi come pacificatore. Il ricorso alle urne avrebbe come effetto quello di bloccare il federalismo. Di «spettacolo indecoroso» parla Bersani, mentre Antonio Di Pietro promette: «dobbiamo aiutare Fini nei cui confronti è stato fatto un ricatto politico e che, proprio perché dice che il Parlamento non deve essere uno zerbino, viene trattato da Berlusconi come un extra-comunitario». Il commento è del direttore del quotidiano, Ezio Mauro: “Quella ferita al corpo mistico del sovrano”. «In quello stesso spazio televisivo dov’era nato sedici anni fa il “miracolo” berlusconiano, ieri si è scatenato l’inferno del Cavaliere… Il partito è sotto shock per la ferita inferta in diretta al corpo mistico del leader più ancora che al suo ruolo, per il delitto inconcepibile alla sovranità perenne berlusconiana». «Cozzano due mondi alleati ma inconciliabili, due uomini che si devono reciproca riconoscenza ma non si sopportano più e soprattutto due culture politiche».
8 pagine di cronache e di commenti e una prima pagina dominata ne IL GIORNALE da un editoriale di Feltri e un titolone da stadio che recita “Stroncato Fini”. Per quanto riguarda l’editoriale in prima, Feltri attacca Fini con la sua consueta ironia «questa è una storia penosa, più psicoanalitica che politica. Il presidente della Camera è sofferente come si evince anche dal suo eloquio non fluido quanto in passato, bensì nevrotico e saltabeccante al punto da risultare dispersivo, mai convincente», e si toglie anche qualche sassolino «Fini tocca il fondo quando sfoga la propria antipatia verso IL GIORNALE colpevole di aver colto sei mesi orsono le sue contraddizioni e di averle proposte quale argomento giornalistico di attualità. Si sa che vorrebbe la mia testa ma in pubblico non osa dirlo apertamente. Lo fa capire». Per quanto riguarda gli altri pezzi, segnalo il commento di Salvatore Tramontano “L’ex leader di An vuole la buro-crazia”, nel quale, oltre allo slogan «la burocratizzazione della politica come soluzione dei mal di pancia di Fini», il pezzo usa una metafora calcistica per descrivere la strategia di Fini: «Il sospetto è che questo partito gli serva soprattutto per sopravvivere come minoranza. E’ come una squadra di calcio che nei momenti di difficoltà ricorre al catenaccio. Capita. Ma non ne farà mai, nel calcio post sacchiano, una filosofia di vita. Il vecchio partito che Fini evoca è uno strumento tattico. Serve solo a spezzare il gioco di Berlusconi. Le commissioni sono come i terzinacci che marcano a uomo gli avversari». Ma non è solo il Fini pensiero ad essere bacchettato dal IL GIORNALE. Anche il Fini look è finito nel mirino. Il pezzo “La cravatta rosa shocking indica smania di giovinezza” fa il pelo e il contropelo al look sfoggiato ieri dal presidente della Camera. Scrive il GIORNALE: «Sdoganato dagli stilisti, il rosa della cravatta in un uomo maturo, dimostra indomata voglia di giovinezza. E Gianfranco Fini indubbiamente ne ha molta. Peccato però, che l’ardente desiderio di fermare l’età denunci, come dichiara questo accessorio profondamente maschile in stucchevole versione confettino, insanabile infantilismo».
IL SECOLO D’ITALIA, il quotidiano diretto da Flavia Perina (finiana), apre con un titolo in prima che è tutto un programma: “Meno male che Fini c’è”. In cui è lo stesso presidente della Camera a dare l’attacco: «Finisce la stagione dell’unanimismo e inizia quella del confronto: questa è la democrazia». Rincara la dose la stessa direttrice che firma l’editoriale “Ecco l’addio al partito di plastica…”: «E non ci sono dubbi che è stato proprio lui, Gianfranco Fini, a rompere il modellino del “partito di plastica”, portando il luccichio della politica e della passione vera in un’assemblea che per tre ore aveva stancamente sonnecchiato durante il magnificat dei coordinatori e dei ministri.»
LA PADANIA, invece, titola sulle parole del senatur: “Bossi: fini contro il Nord e il federalismo”. Sottotitolo “Ha lavorato per la sinistra, per lo stato centralista e per il Sud”. Posizione inequivocabile per il giornale della Lega Nord che dedica le prime 5 pagine allo scontro in direzione nazionale della Pdl fra Berlusconi e Fini. Oltre alla cronaca dell’accaduto, l’editoriale di Leonardo Boriani raccoglie le dure (e come sempre sorprendenti) osservazioni dello stesso segretario della Lega, Umberto Bossi: «Finita la stagione del Federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione, un nuovo cammino del popolo padano». Ma quale sarebbe questo cammino? «Oggi non ha più senso parlare di Federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita da ciò che non siamo riusciti a fare». Abbiamo capito. Ma quale sarebbe il cammino? «Una nuova strada ci aspetta e sarà una strada stretta, faticosa, difficile, ma potrebbe regalarci enormi soddisfazioni». Cioè? «Saremo soli». Ah ecco «senza Berlusconi» addirittura? «Lega fuori dai giochi, quindi, Lega sola, ma forse anche più forte. Perché quando il popolo padano è in cammino, piega la storia». Accipicchia. Si vedrà.
Per le istanze di Fini non c’è spazio nel pdl. È la conclusione dell’editoriale di Marco Bertoncini su ITALIA OGGI, “Berlusconi e Fini parlano due lingue diverse“ . Più che lingue diverse, i due leader hanno una diversa visione dei partiti. «Per Berlusconi il partito non serve:le decisioni le prendono formalmente, gli eletti». Ancora Bertoncini: «Al partito, Berlusconi assegna altri compiti, senza dirlo ma pensandolo: organizzare il consenso, fungere da comitato editoriale, vincere le elezioni. Non può, non deve, essere luogo di dibattiti, di formazione culturale». Mentre Bertoncini afferma che per il premier il partito non c’è, nell’altro editoriale “Sono volati i piatti ma sotto gli occhi di tutti”, Pierluigi Magnaschi ha visto, nella performance di ieri, «un bello spettacolo politico: Bello perché è stato esplicito, diretto, comprensibile, combattuto. E poi perché, grazie alle tv che hanno scrutato i visi, indagato gli arti, rilasciato le parole, si è visto tutto, dal salotto di casa, come se fosse un derby». Tesi di fondo del pezzo: la democrazia è sopportabile quando si vede. La butta sullo humour Diego Gabutti, che nella sua spiritosa analisi nella sezione Primo Piano, chiama il premier Silvio Cesare e mette in evidenza come, lui, Silvio Cesare, «non tollera correnti né spifferi. Così come ogni malignità sul suo conto, o ( peggio) sul conto della sua signora, manda Mascellino Fini su tutte le furie. Non hanno torto ad arrabbiarsi: il potere che dovrebbe logorare chi non l’ha, minaccia di logorare loro. Ma si devono rassegnare. Non c’è rimedio al fatto che i mari del mondo sono percorsi da correnti imprevedibili e pine di squali».
“Rottura nel Pdl: tra Berlusconi e Fini scontro in diretta”. È il titolo del SOLE 24 ORE in prima pagina, a cui si accompagna l’editoriale di Stefano Folli. “Dietro la rissa, la sfida difficile di due leader per due destre”: «Sul piano politico e non mediatico il fatto nuovo non è la cacciata del ribelle, che non si è verificata, bensì la nascita di un Popolo della Libertà diverso, in cui per la prima volta si esprime un dissenso alla luce del sole. Il parto è stato doloroso e persino violento, il che stupisce solo chi ha perso la memoria dei litigi all’interno dei grandi partiti del passato, quando volavano anche le sedie. Peraltro la novità appare straordinaria in quanto riguarda il partito berlusconiano, imperniato fin dalle origini sul principio dell’unanimità e sull’omaggio rituale al leader. (…) Ieri il discorso del presidente della Camera è stato molto cauto nei toni, ma nella sostanza pignolo fino a risultare irritante e piuttosto abrasivo, persino troppo considerando che chi lo ha pronunciato ha condiviso negli anni quasi tutti i passaggi della lunga leadership berlusconiana. Va detto che Fini ha toccato tutti i punti dolenti. Compreso il tema della giustizia, della cosiddette leggi «ad personam» e del «processo breve». Ha messo in campo l’intera fucileria a sua disposizione, in nome della «coesione nazionale» e dell’esigenza di arginare la Lega. A suo modo ha delineato i contorni di quella destra liberale, di impronta europea, cui intende ispirarsi. E chissà se ha fatto bene Berlusconi a lasciare così scarsi margini di dialogo. A non voler abbandonare nemmeno per un istante l’idea del partito visto quasi come un’azienda di famiglia. (…) Il presidente del Consiglio ieri non è entrato nel merito, si è limitato a ricordare a tutti chi è il monarca regnante del Pdl. Già in passato il monarca aveva subito delle contestazioni, come sa chi conosce la travagliata storia dell’Udc. Mai però dall’interno del suo partito, come è avvenuto ieri. Siamo entrati quindi in un terreno inesplorato. E Berlusconi è consapevole di dover muoversi con qualche prudenza, al di là degli scatti emotivi. Per non rischiare di trovarsi alla fine faccia a faccia con il suo ultimo alleato. Il più leale, ma anche il più difficile da gestire: Umberto Bossi».
«Partito democratico» è questo il titolo scelto per l’apertura dal MANIFESTO dove in prima pagina campeggia una grande foto di Gianfranco Fini. «Duro nella sostanza e inedito nelle forme, va in scena davanti agli stati maggiori del Pdl il plateale faccia a faccia tra Berlusconi e Fini. Immigrazione, Lega, riforma: il presidente della camera strappa la maschera del capo indiscusso e apre una fase di forte turbolenza politica, nel partito e nel governo» è il richiamo agli articoli nelle pagine 2 e 3. Micaela Bongi firma l’articolo principale che inizia in prima pagina: «Che andasse a finire così non se lo aspettava nessuno. Ma forse almeno uno lo sperava: Silvio Berlusconi. Il leader più che indiscusso indiscutibile, carismatico e padronale che, rifiutando l’idea di uno scontro politico dentro le mura di casa sua, per sfinire l’avversario decide di giocare sul suo terreno, mettendo in scena un vero e proprio corpo a corpo. Gianfranco “il freddo” contro Silvio “il viscerale”, il grigio uomo di partito contro lo sfavillante sovrano incoronato dal popolo, e il popolo, rappresentato dalla platea, adorante seguirà (….)». È di Gianpasquale Santomassimo il commento in prima dal titolo «A carte scoperte» che osserva: « (…) La direzione del Pdl è stata organizzata come una cerimonia di umiliazione pubblica del Presidente della Camera, affiancato a Rotondi e Giovanardi (e altri sette politici di cui molti ignoravano l’esistenza) come cofondatore del partito, in una assise volta ufficialmente a celebrare la vittoria elettorale e i successi del governo (…)» che conclude «Si apre un periodo di inevitabile assestamento e riposizionamento, e la prospettiva, del tutto inedita, di rottura dell’unanimismo forzato all’interno della destra italiana. Nell’incontro con Berlusconi all’origine dello strappo veniva attribuita a Fini la dichiarazione per cui la propaganda da sola non può bastare, e la politica non può venire sostituita dalla propaganda stessa. Pensiero giudizioso, che in ogni paese occidentale apparirebbe scontato. Ma molto meno scontato nell’Italia modellata da Berlusconi a sua immagine e somiglianza, con questa legge elettorale. Questo sistema può durare ancora a lungo, in una decadenza avvilente e rovinosa». Vauro nella sua vignetta, intitolata «Il presidente sul tetto» disegna Fini sul tetto di Montecitorio che come un operai alza il cartello «No al licenziamento». Nelle due pagine interne dedicate al tema il catenaccio riassume: «Altro che via della Conciliazione e partito di plastica. Alla direzione del Pdl è quasi rissa tra Berlusconi e Fini. Carisma contro politica. Potere contro debolezza. Saltano tutti i ruoli istituzionali. Il cavaliere chiede la testa dei dissidenti e del presidente della: niente ostacoli tra leader e popolo». Mentre di spalla si può leggere l’intervista a Massimo Cacciari «Tutti travolti dalla corrente». Il filosofo alla domanda sull’incapacità di Pd e Pdl di reggere alle correnti diversamente dei vecchi Pci e Dc risponde: «Nei partiti tradizionali della I repubblica c’erano le correnti, eccome, ma c’era sostanzialmente una grande storia comune che aveva formato un linguaggio condiviso e rapporti di prossimità che in questi partiti mancano totalmente. Pensi a Napolitano e Cossutta, cosa c’entravano l’uno con l’altro?».
L’apertura di AVVENIRE definisce così la rottura: “Duello pubblico in casa Pdl”, con subito l’occhiello che precisa «Berlusconi stravince. E avverte Fini: lascia Montecitorio» e dà conto dei voti della direzione, «il 93% con il premier, solo il 6 con l’ex leader di An». La cronaca racconta di come «il crescendo rossiniano» dei rimbrotti alla fine abbia portato «a un inatteso duello da Cavalleria rusticana, a un redde rationem in diretta tv e web, che non ha precedenti nella memoria dei più navigati cronisti politici». E alla fine, sull’auditorium, «già risuonava la Cavalcata delle valchirie». La direzione quindi si è chiusa con 11 voti su 171 membri, meno dei 18 su cui in teoria Fini avrebbe dovuto contare, ma molti se ne erano già andati, anche se poi si aggiunge anche Andrea Ronchi e l’astensione a sorpresa di Beppe Pisanu. Proprio lui, uscendo, ha commentato: «c’è una minoranza, e questo non è il sale della democrazia ma solo la dimostrazione che la democrazia c’è». Dalla Lega nessun commento ufficiale, «convitata di pietra» anche se poi in privato «i lumbard hanno esultato per la debacle finiana» e Radio Padania ha dato libero sfogo agli ascoltatori contro il «guastatore Fini». Un pezzo su Schifani, che ha detto: «meglio se Gianfranco lasciasse il suo ruolo istituzionale ed entrasse nel governo, per avere le mani libere», ribadendo che se nascessero gruppi diversi in Parlamento la strada obbligata sarebbe quella delle urne.
LA STAMPA apre in prima pagina con “Rottura tra Berlusconi e Fini”. Due gli editoriali. Il primo “La realtà travolge la finzione” di Marcello Sorgi che sottolinea «L’incredibile è avvenuto: sotto gli occhi dei telespettatori che seguivano in diretta, il partito di Berlusconi – quello del predellino di Piazza San Babila, il partito di plastica delle grandi adunate, delle “ola” e dei karaoke -, tutt’insieme s’è frantumato. Per la prima volta in tanti anni, Berlusconi e Fini non rispondevano più al copione prestabilito, litigavano veramente davanti a tutti, a un certo punto sembrava pure che stessero per menarsi». Per Sorgi «Nessuno avrebbe mai previsto che la politica, quella vera, fatta di passione e di sangue, potesse fare irruzione anche nel Pdl. Così come nessuno avrebbe mai creduto che nel salone dove poco prima Berlusconi assegnava i posti alle comparse – raccomandandosi di riempire le prime file, perché i giornalisti, si sa, puntano le telecamere sempre sulle poltrone vuote – a un certo punto potesse volare la famosa «merda nel ventilatore», proprio quella di Formica ai tempi del vecchio Psi, e a sorpresa si potesse ricreare il clima unico del «catino» dei consigli nazionali Dc, dove il veleno dei capicorrente scorreva tra i sorrisi dei finti amici e la rassegnazione delle vittime predestinate». Sicuramente a ben guardare da una parte «Tecnicamente, quello del presidente della Camera oscilla tra un suicidio politico e il gesto di un kamikaze: se anche sperava, stringendosi attorno alla vita la cintura esplosiva, di cambiare qualcosa, dovrà ammettere che non c’è riuscito». Dall’altra «Ma anche Berlusconi a questo punto dovrà riconoscere di non potersi più considerare il capo carismatico e indiscusso della sua creatura. La sua idea che si discute e si vota, e poi tutti fanno e dicono quel che ha detto chi ha vinto, supera perfino il più autoritario centralismo democratico del vecchio partito comunista. E s’è infranta, quel che è peggio, nella libera rivendicazione del diritto al dissenso, al confronto tra diversi, alla possibilità di rimettere in discussione gli accordi e perfino di perseguire idee sbagliate e destinate a finire in minoranza, tipica dei partiti liberali. Man mano che l’accartocciarsi della sua ennesima messa in scena si svolgeva sotto i suoi occhi, il Cavaliere – fatto inatteso – trasfigurava anche lui. Sì, quella di Berlusconi – un Berlusconi col trucco disfatto e fuori dai gangheri – non è stata solo la reazione di un padre-padrone, ma anche, miracolosamente, di un uomo e di un leader appassionato, che lotta perché tiene veramente alle sue idee, sa cosa vuole la sua gente ed è pronto a difendere fino allo stremo le sue posizioni». Il secondo editoriale invece è a cura di Michele Brambilla “La scomoda questione del Nord”. L’editorialista sottolinea come «fra le tante questioni che Fini ha ricordato (o meglio ha rinfacciato) a Berlusconi c’è quella del Nord. Lassù, ha detto il presidente della Camera, a destra l’egemonia non è più nostra, ma della Lega; ci hanno portato via un sacco di voti e ormai comandano loro. La replica di Berlusconi è stata fulminea e velenosa: caro Gianfranco, non venire a farmi la morale su questo perché la colpa è proprio tua. I leghisti non hanno fatto altro che impadronirsi delle battaglie che un tempo faceva Alleanza Nazionale, e che tu hai abbandonato, anzi rinnegato; quindi i voti che abbiamo perso in favore di Bossi li ha persi tu, non io». La risposta del premier secondo Brambilla risponde a verità. «Tuttavia sarebbe un grave errore liquidare la questione così, come se la battuta di Berlusconi avesse davvero messo a tacere Fini per sempre. La questione del centrodestra al Nord, infatti, è molto più complessa. Non basta il pentimento di Fini sugli immigrati per spiegare l’egemonia che la Lega si sta conquistando dall’Emilia in su. Ieri – ne siamo certi – i berlusconiani del Nord nel momento stesso in cui hanno applaudito il capo hanno anche pensato, dentro di sé, che le parole di Fini non erano campate per aria». Ma non si tratta solo di una questione di voti. «E’ anche una questione di un potere contrattuale ormai evidentemente sbilanciato. La Lega ha preteso e ottenuto due Regioni, il Veneto e il Piemonte. Ha vinto in tutte e due, e sono due vittorie pesantissime. In Veneto Zaia ha scalzato un uomo del Pdl; in Piemonte Cota ha portato al centrodestra una regione che era del centro sinistra, e che pareva molto difficilmente espugnabile. Resta la Lombardia, dove ha vinto come al solito Formigoni. E Formigoni è del Pdl. Ma può essere definito un uomo di Berlusconi? Onestamente no. Formigoni ha una storia politica e culturale che affonda in altre radici, precedenti alla «discesa in campo» del Cavaliere. Ha tutto un mondo suo. Certo non vincerebbe se corresse da solo, ma insomma: nel profondo è qualcosa di “altro” rispetto al Pdl. Ecco perché la Lega dopo il voto si sente molto più forte di quanto dicano le semplici percentuali». In conclusione dunque «ecco perché la questione posta da Fini è reale. Ed ecco perché nel Pdl del Nord – sotto sotto – non sono solo i finiani a essere preoccupati».
E inoltre sui giornali di oggi:
TARIFFE POSTALI
AVVENIRE – Una pagina mette insieme il crescere della protesta contro l’aumento delle tariffe postali per il non profit, con i 143 senatori che hanno firmato una nuova interpellanza urgente contro una misura che mette a rischio la sopravvivenza di 8mila testate, e il rapporto triennale sulla stampa, che disegna «una crisi senza precedenti».
MIGRANTI
CORRIERE DELLA SERA – “Immigrati respinti dall’Italia alla Libia. I pm: è una violenza. Un poliziotto e un generale sono stati rinviati a giudizio per aver fermato 75 clandestini al largo di Portopalo, poi imbarcati su una nave della Finanza. «Brucia l’accusa costata ieri il rinvio a giudizio a Rodolfo Ronconi, direttore centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere del Viminale e al generale della guardia di Finanza, Vincenzo Carrarini, capo del terzo reparto operazioni del comando generale. Per loro quel 30 e 31 agosto 2009 si era trattato di attuare l’accordo, voluto dal governo, sui respingimenti in mare dei clandestini. E proprio nel giorno della visita del premier Berlusconi a Tripoli, avevano ordinato di riconsegnare ai libici quei settantacinque clandestini, comprese donne e bambini, sorpresi a Portopalo di Capo Passero. Ordini «non manifestamente illegittimi» secondo la stessa procura della repubblica di Siracusa che, in considerazione di ciò, ha prosciolto i militari della finanza che li avevano eseguiti. Ordini rivendicati come legittimi ancora ieri non solo dal capo della polizia, Antonio Manganelli: «L’azione si è svolta nel pieno rispetto della normativa nazionale e delle convenzioni internazionali vigenti». Ma anche dallo stesso ministro dell’Interno Roberto Maroni che in una telefonata di «stima e piena vicinanza» a Ronconi si è detto sicuro che l’accertamento giudiziario «dimostrerà che le azioni poste in essere sono state pienamente conformi alla legislazione nazionale e internazionale». È d’accordo il viceministro Alfredo Mantovano che ha bocciato come «sconcertante» il rinvio a giudizio che, ha rimarcato, «non farà in alcun modo recedere il ministero dell’Interno dalla piena applicazione dell’accordo fra Italia e Libia». Ma allora perché il rinvio a giudizio? E perché non è stato eccepito nulla sull’accordo? Secondo la Procura di Siracusa, che ha disposto il processo senza passare dal gip (come previsto per i reati di competenza del giudice monocratico), l’accordo bilaterale non c’entra. Ma i due imputati, «con abuso delle rispettive qualità di pubblici ufficiali» avrebbero tenuto una «condotta violenta» nel «ricondurre in territorio libico, contro la loro palese volontà, 75 stranieri, non identificati, alcuni sicuramente minorenni».
EUTANASIA
AVVENIRE – Bocciata per la terza volta in Canada la legge che legalizza l’eutanasia. La proposta Lalonde, che ne ha fatto una battaglia personale fin dal 2005, è stata bocciata con 228 no e 59 sì. La bozza prevedeva la depenalizzazione dell’accusa di omicidio per il medico che avesse praticato eutanasia su un paziente maggiorenne che fosse malato terminale o soffrisse di dolore fisico o psicologico. È stata proprio questa definizione troppo labile a far bocciare tutta la legge.
STRADE
LA REPUBBLICA – Interessante inchiesta sul business strade che ingoia ogni anno fiumi di denaro ma che non migliora la situazione del manto. A Roma per esempio si spendono 100 milioni l’anno ma le buche restano eccome. In tutto lo stato spende 5 miliardi per cattive infrastrutture. Ma gli imprenditori fanno opere al risparmio, con trucchi che rendono necessari continue riparazioni (ad esempio assottigliando lo strato di asfalto). Naturalmente anche in questo settore si ricorre alla trattativa privata per ragioni d’urgenza.
ACQUA
IL MANIFESTO – «Aprilia, l’acqua torna pubblica Pd antireferendum» è il richiamo in prima pagina sotto l’occhiello «Beni comuni» che rimanda alla pagina dedicata al tema (la 5) in cui si nota come la cittadina laziale vota la ripubbicizzazione. «Anche il Pd raccoglie le firme, ma è una petizione per l’Authority proposta dalla destra» Nella pagina interna in un box si ricorda come domani partano i banchetti per i tre referendum del Forum dei movimenti per l’acqua.
CINA
AVVENIRE – Chi viola la legge sul figlio unico, viene punito con la sterilizzazione forzata. È già accaduto a 10mila cinesi, tra uomini e donne. Chi si oppone alla sterilizzazione viene imprigionato. L’inchiesta è del Times e riferisce della campagna di sterilizzazione iniziata il 7 aprile nella contea di Puning, provincia di Guangdong. Altri tasselli della campagna punitiva è che alle copie con figli illegali e ai loro parenti viene negato il permesso di costruzione, mentre i bambini sovrannumerari non vengono iscritti alle anagrafe, restando quindi esclusi da scuole e sanità. Secondo le stime l’esercito dei mai nati in Cina dal 1946 ad oggi è di 400milioni.
CLASS ACTION
IL SOLE 24 ORE – Primo atto in tribunale della class action all’italiana. A Torino si svolge la prima udienza di un’azione collettiva. Codacons contro Intesa San Paolo. L’accusa, aver aumentato costi e servizi dopo l’eliminazione della commissione di massimo scoperto. «Per il Codacons, se il tribunale dichiarerà ammissibile l’azione, tutti i correntisti potranno aderire entro 120 giorni all’azione e sperare di avere un risarcimento dalla banca senza intentare direttamente causa».
WALL STREET
AVVENIRE – “Obama sfida Wall Street”, titola il lancio in prima pagina. Al tema è dedicato anche l’editoriale di Giorgio Ferrari, che elogia a Obama «il coraggio di osare contro il far west finanziario». Obama è tornato a parlare di regole dei mercati, che non servono per mettere in ginocchio la finanza ma a salvare il paese: un tentativo di «convincere Wall Street che le briglie che vuole mettere al suo modo di fare affari non ucciderà la gallina che con le sue uova d’oro alimenta l’economia nazionale. Le grandi banche non hanno nulla da temere, è stata la provocazione di Obama, a meno che il loro modello di affari sia quello di truffare la gente».
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