Salute
Pazienti esperti: la partecipazione senza il conflitto
Con una Delibera della Giunta regionale la Regione Toscana ha stabilito che nelle decisioni riguardanti presidi e dispositivi medici, sia previsto, in via esclusiva, il coinvolgimento di cosiddetti pazienti esperti, persone che, oltre a essere affette da una patologia, devono dimostrare di aver compiuto un percorso di formazione certificato. La Delibera ha suscitato un’accesa reazione da parte del mondo delle associazioni di pazienti, soprattutto per la preoccupazione che limitare le pratiche di democrazia partecipativa a singoli individui implichi il rischio di vedere sovra-rappresentate le istanze di un singolo e non di una comunità
Con una Delibera della Giunta regionale la Regione Toscana ha stabilito che, nelle procedure di gara promosse da Estar, la sua centrale acquisti, e dunque nelle decisioni riguardanti presidi e dispositivi medici, sia previsto, in via esclusiva, il coinvolgimento di cosiddetti pazienti esperti: si tratta di persone che, oltre a essere affette da una patologia, devono dimostrare di aver compiuto un percorso di formazione certificato.
La Delibera ha suscitato un’accesa reazione da parte del mondo delle associazioni di pazienti, soprattutto per la preoccupazione che limitare le pratiche di democrazia partecipativa a singoli individui, per quanto esperti appunto di quella patologia, escludendo il coinvolgimento di soggetti organizzati e collettivi, implichi il rischio di vedere sovra-rappresentate le istanze di un singolo e non di una comunità.
Ma il caso specifico è l’occasione, specie all’indomani del settimo Festival della Partecipazione svoltosi a Bologna a cura di Cittadinanzattiva, ActionAid e Legambiente, per continuare una riflessione critica e consapevole sul tema della partecipazione, quando questa non si configuri come autonoma iniziativa dei cittadini ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione, ma come coinvolgimento della cittadinanza attiva in istituti, pratiche e procedure messe in campo dalle istituzioni e dalla pubblica amministrazione per meglio qualificare le loro decisioni e renderne più efficace l’applicazione. Poiché questo è il fine della democrazia partecipativa: il valore aggiunto che la partecipazione può avere nel rendere il governo delle politiche pubbliche sempre più orientato al miglioramento della qualità della vita comune e alla tutela dei diritti dei singoli. Un vantaggio innanzitutto per le istituzioni, dunque, facilitate nei loro compiti.
Ma perché questo meccanismo funzioni e funzioni a questo scopo, occorre garantire che la partecipazione sia di qualità. Per Cittadinanzattiva che, insieme con le 110 associazioni di pazienti cronici e rari riunite nel suo Coordinamento nazionale, ha provato a definire le dimensioni di qualità delle pratiche di democrazia partecipativa, per essere di qualità la partecipazione deve essere inclusiva, cioè aperta a tutti i soggetti che hanno un punto di vista rilevante sulla questione in oggetto; deve essere rendicontata, cioè le istituzioni debbono dar conto del contributo che da quella partecipazione hanno tratto; deve essere orientata agli effetti e non solo ai processi, a cambiamenti sostanziali e non formali delle cose, ai fatti e non agli atti.
Ma soprattutto deve prevedere una cessione di potere, perché il coinvolgimento dei cittadini, singoli od organizzati, è soltanto di facciata se non comporta che un certo grado di potere nelle decisioni e nella loro applicazione sia “ceduto” dalle istituzioni ai cittadini stessi.
Su questo vanno misurati potenzialità e rischi della Delibera toscana come di tutte quelle norme, di tutti quegli apparati, di tutti quei regolamenti, di tutte quelle procedure messi in campo con l’obiettivo dichiarato di favorire il coinvolgimento dei cittadini ma con la resistenza, anche in buona fede, di farlo per davvero, di dover cedere una parte di potere nel governo delle politiche pubbliche.
Perché quello che, attraverso norme, apparati, regolamenti e procedure si prova a fare, il più delle volte, è di neutralizzare la dimensione del conflitto, che è differenza sostanziale e irriducibile di punto di vista, cioè del punto da cui si osserva la realtà; conflitto che non necessariamente si compone con il dialogo, il confronto, la condivisione, ma solo con il riconoscimento del “potere dell’avversario”. La partecipazione è tale se include nel proprio perimetro, almeno potenzialmente, la dimensione del conflitto, la disponibilità a gestirlo, la considerazione dell’alterità come valore aggiunto. Ciò che norme, apparati, regolamenti e procedure perseguono è invece rendere simili a sé, amministrativizzare, quello che è altro, un altro mondo, con un altro fine, con altri dispositivi di funzionamento, con un’altra lingua. Per antonomasia, l’impianto colpevolmente introdotto dal Codice del Terzo settore.
Per esempio, cosa è la competenza per le amministrazioni e cosa per i cittadini? Nel caso specifico delle amministrazioni toscane, evidentemente, l’essere in possesso di una certificazione tecnica attestante un percorso formativo portato a compimento. Ottima cosa, si intende, ma altra rispetto a quello che le organizzazioni intendono per competenza dei pazienti. Essa infatti è una competenza peculiare, “civica” e non tecnica, che può sì risultare rafforzata da un opportuno percorso formativo, ma che è innanzitutto una questione di concrete condizioni e di “punto di osservazione”. I pazienti infatti sono coinvolti interamente nella condizione di persona con malattia cronica e rara e la vivono continuativamente, concretamente e personalmente, e hanno dovuto riorganizzare le proprie vite in relazione a quella condizione e, inoltre, si sono organizzati insieme ad altri nelle loro stesse condizioni. A questo titolo, anche senza alcuna certificazione, sono e devono essere considerati pienamente “esperti” e la loro competenza è irriducibilmente diversa da quella di ogni altro soggetto coinvolto nelle decisioni, e per ciò stesso irrinunciabile.
A queste obiezioni immagino già chi, anche un po’ tafazzianamente, solleverà la questione dell’inadeguatezza o del corporativismo delle associazioni. Per l'amore del cielo, obiezione legittima, ma inopportuna. Non è la qualità delle associazioni quello di cui si discute, ma quanto – nel processo di innovazione democratica che la partecipazione dei cittadini, in altre forme oltre quella elettorale, sta inducendo di fatto – sia equilibrato il grado di potere che un singolo individuo, per quanto formato, può esercitare rispetto all’istituzione, quanto puntuti possano essere gli strumenti a disposizione di un singolo davanti a un niet della macchina amministrativa, se la dimensione del conflitto risulta garantita dal rapporto uno verso un ente. Se un singolo può avere, non la tensione all’interesse generale data per scontata da chi scrive ma soprattutto costituzionalizzata dall’articolo 118, ma la forza di un’associazione e la sua capacità di pressione quando si tratta di esigere su cosa voglia essere coinvolta, con quale fine, con quali garanzie, con quale effettività del risultato.
Il tema dunque, prendendo spunto dal caso specifico, non è associazioni versus pazienti esperti, tanto più che molti componenti di associazione hanno fatto un percorso formativo che li qualificherebbe come tali. Il tema è tutto nei rapporti di forza con le istituzioni, nel grado di potere che esse sono disponibili a riconoscere, nella possibilità effettiva di emersione e di esercizio del conflitto, che poi resta il discrimine di una partecipazione che possa considerarsi realmente tale.
*Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva
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