Migranti
Patto migrazione e asilo: l’Ue crea un sodalizio criminoso e lo chiama solidarietà
Procedure d’asilo accelerate e sommarie, frontiere che si riempiranno di centri di detenzione amministrativa, un meccanismo di solidarietà obbligatorio che si può trasformare in un versamento in denaro per chi non vuole ricollocare i migranti. «Questa riforma è terribile e viola i diritti umani fondamentali su cui è stata costruita l'identità stessa dell'Europa», dice Gianfranco Schiavone dell’Asgi - associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che spiega i punti più controversi del patto
di Anna Spena
Il Parlamento europeo ha approvato le nuove normative legate al cosiddetto patto su migrazioni e asilo, detto in parole semplici: una riforma (sbagliata) della politica migratoria riguardante tutti gli aspetti del diritto d’asilo.
In sintesi chi chiederà asilo in Europa non avrà più alcun diritto effettivo all’esame pieno della domanda di protezione internazionale, e potrà essere sistematicamente detenuto alle frontiere esterne dell’Unione. Presentato dalla Commissione europea nel settembre 2020, il patto è stato successivamente modificato ed emendato fino a quando, a dicembre scorso, si è raggiunto un accordo provvisorio: ora, per poter diventare legge, dopo il voto del Parlamento, che si fortemente spaccato, la normativa dovrà essere ratificata dal Consiglio europeo, ovvero al coordinamento degli Stati membri dell’Ue, per confermare definitivamente la riforma: il voto avverrà probabilmente entro la fine del mese.
Le reazioni della società civile sono state immediate, alcune le abbiamo raccolte in questo articolo “Europa, il Patto su migrazione e asilo che umilia la solidarietà”. Con il patto «diventeranno legale», spiega Gianfranco Schiavone dell’Asgi – associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, «le pratiche che negli ultimi anni hanno portato alla violazione dei diritti fondamentali delle persone straniere, sia alle frontiere esterne che all’interno degli Stati europei. Questa riforma abbraccia diverse questioni: dalle procedure al sistema di accoglienza, dai ricollocamenti all’esame della domanda d’asilo. Alcuni testi sono anche modesti, non hanno aspetti negativi o sono debolmente migliorativi, ma il risultato complessivo è assolutamente negativo a causa di scelte estreme fatte su alcuni testi che compongono la riforma». Abbiamo provato a spiegare, insieme a Schiavone, quali sono i punti più problematici del patto.
Migranti, fantasmi.
«L’Europa si è fatta prendere dalla psicosi degli arrivi e dalla paura», dice Schiavone. «E vuole imporre questa logica di “chiusura totale”». Ma cosa prevede il nuovo regolamento? Cosa cambia concretamente? «Il punto più problematico riguarda le procedure», spiega Schiavone. «Ovvero le modalità con cui le domande d’asilo vengono esaminate. Il nuovo patto prevede un drastico allargamento delle situazioni in cui poter applicare una “procedura accelerata alla frontiera” non solo per i migranti che arrivano dai Paesi considerati “sicuri” dal Paese di arrivo, ma facendovi finire la maggior parte dei richiedenti asilo. Potranno nascere, vicino ai punti di sbarco o di confine, ma non necessariamente solo in quelle zone, dei “centri” in cui i migranti saranno confinati per massimo 12 settimane in attesa di vedere accettata o respinta la richiesta di protezione. Grazie ad un nuovo e paradossale istituto giuridico, la “finzione di non ingresso” le persone fisicamente arriveranno nel territorio italiano, ma dal punto di vista legale ciò non avrà alcuna rilevanza in quanto si fingerà che non siano sul territorio nazionale, bensì alla frontiera».
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«Siamo dunque», continua Schiavone, «davanti a una disarticolazione tra la presenza fisica e la presenza giuridica. Nelle 12 settimane in cui la domanda sarà esaminata le persone non potranno liberamente uscire dai centri o avere contatti con terzi. 12 settimane sono un tempo troppo breve per esaminare una domanda d’asilo, il risultato è che avremo procedure sommarie. E quando la domanda sarà rigettata è come se queste persone non avessero mai fatto ingresso in Italia. Non saranno quindi espulsi, ma se per legge non sono mai entrati in Italia ma rimasti in questi “centri di frontiera”, saranno di fatto respinti alla frontiera. E dal punto di vista legale il respingimento ha meno garanzie dell’espulsione. La procedura di frontiera sarà preceduta da uno “screening” all’arrivo, sempre attuato in condizione di trattenimento. Che, come si evince già dalla parola, è finalizzato a smaltire le persone attraverso un’intervista semplice e sommaria dai poliziotti alla frontiera, senza possibilità di interloquire con terzi. Faccio un esempio pratico: quando un migrante arriva e gli si chiede “perché sei qui? Che vuoi fare in Italia?”, è probabile che la risposta che ci restituirà sarà “per lavorare”. Questa risposta non esclude il fatto che lui stia scappando da una persecuzione o da una un Paese in guerra – perché per capire la reale situazione della persona bisogna fare un’intervista adeguata – e il migrante verrà in tal modo subito inserito nella lista di coloro che si vorrebbe espellere immediatamente. Il rischio è che si producano abusi gravissimi. Perché l’obiettivo di questa scrematura è “eliminare”. E di fatto il meccanismo dello screening e quello della procedura accelerata trasformeranno i sistemi di accoglienza tra degli Stati in sistemi di detenzione. Per dare qualche numero: l’Italia dovrebbe aprire in due anni strutture di detenzione amministrativa con 30mila posti, insomma un Paese costellato di carceri per i richiedenti asilo».
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Le misure “eccezionali” e la solidarietà fittizia
Innanzitutto il patto non rappresenta nessun reale superamento del regolamento di Dublino: rimane la competenza del Paese di primo ingresso la registrazione e quindi la presa in carico della domanda di asilo. Ma secondo il patto migrazione e asilo laddove lo Stato si trovi in una situazione di difficoltà, ovvero registri una presenza troppo alta di migranti e arrivi sul territorio, scatta un “meccanismo obbligatorio di solidarietà” tra i Paesi dell’Ue, che dovranno farsi carico – quindi ricollocare – i migranti sul proprio territorio. «Un meccanismo di solidarietà obbligatorio» dice Schiavone, «che però può essere facilmente aggirato. Il Paese che dovrebbe prendere la sua quota di migranti e non lo fa, può versare una cifra in denaro al Paese che ha richiesto il ricollocamento». Ma c’è anche un’altra alternativa che rende quanto mai fittizia la solidarietà: «Non solo: il Paese può assolvere al proprio obbligo semplicemente pagando un Paese terzo, fuori l’Unione europea affinché attui politiche di contenimento e respingimento. Siamo davanti all’assurdo: esprimo la mia solidarietà pagando la Libia, la Tunisia… insomma l’Unione ha trasformato la solidarietà in un sodalizio criminoso: facciamo il peggio e siamo tutti d’accordo. Paesi come Italia, Francia, Grecia hanno aderito entusiasti al patto senza forse comprendere che sarà su di loro che graverà il maggior numero di domande da esaminare con procedura di frontiera, mentre altri Paesi potranno scegliersi i rifugiati che vogliono o meno ricollocare…».
Credit foto Lapresse
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