Unione europea

Patto asilo e immigrazione: qualche luce e molte ombre

In sintesi il patto prevede controlli più severi sui migranti che arrivano nell’Unione europea, con procedure che dovrebbero essere rapide (e quindi spesso superficiali), con centri di permanenza detentiva (che finora sono stati vere e proprie prigioni mal gestite) vicino alle frontiere, in modo da rendere più rapido il rimpatrio di chi non ha diritto ad alcuna forma di protezione e con un meccanismo di solidarietà obbligatorio per fornire aiuto agli stati membri con una forte e critica pressione migratoria

di Nino Sergi

Dal Parlamento europeo erano giunti segnali utili a migliorare le proposte della Commissione. Si trattava di segnali che intendevano riportare la questione su binari un po’ più coerenti con l’irrinunciabile solidarietà europea e con i valori fondanti dell’Unione. Sarebbero stati però necessari sia ulteriore tempo per l’approfondimento politico che una condivisa volontà della maggioranza degli Stati. Due condizioni inattuabili.

Motivazioni politiche hanno spinto in modo trasversale le istituzioni europee, dopo anni inconcludenti. Le ormai vicine elezioni europee, le campagne elettorali che useranno il tema dell’asilo e dell’immigrazione come strumento di contrapposizione tra i partiti, la preoccupazione per gli equilibri politici che usciranno dall’esito elettorale, hanno spinto tutti, Consiglio, Commissione e Parlamento, a chiudere il nuovo patto asilo e immigrazione in tempo per poter procedere all’approvazione definitiva del Consiglio e del Parlamento e alla definizione dei regolamenti normativi. Inoltre, un patto con suadenti dichiarazioni di intenti e con regole più stringenti di quelle attuali potrebbe in parte perfino attenuare la propaganda e gli attacchi delle destre xenofobe durante la campagna elettorale. 

L’accordo provvisorio raggiunto ieri 20 dicembre tra Consiglio, Parlamento e Commissione può quindi, a seconda dei punti di vista, essere considerato un successo politico oppure solo un passo politicamente avveduto ma lacunoso di un processo a cui rimane ancora molta strada da percorrere per essere lineare e coerente con i valori e le ambizioni dell’Unione.

Il trionfalistico punto di vista istituzionale. La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola si dice “molto orgogliosa del fatto che con il Patto su migrazione e asilo abbia prodotto e fornito soluzioni”. Per la commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson si tratta di “un momento storico”.  La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dichiarato che “questo Patto sulla migrazione e l’asilo garantirà una risposta europea efficace a questa sfida europea”. Ciò significa che saranno gli europei a decidere chi verrà nell’Ue e chi potrà restarvi, non i trafficanti. Significa proteggere chi ha bisogno”. Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi “il Patto è il frutto di lunghe trattative in cui l’Italia ha sempre svolto un ruolo da protagonista per affermare una soluzione di equilibrio che non facesse più sentire soli i Paesi di frontiera dell’Ue, particolarmente esposti alla pressione migratoria”. Oltre alla solita dose di ipocrisia sulla “protezione di chi ha bisogno” e la “lotta ai trafficanti di esseri umani”, l’enfasi sulla “storica svolta europea” pare proprio esagerata. Di storico c’è solo che il Patto viene dopo 33 anni dal Trattato di Dublino del 1990.  

Si potrebbe anche vederla così: di fronte ad un Consiglio e un Parlamento inconcludenti, che non sono riusciti a fare passi avanti nella visione di una lungimirante politica comune europea dell’immigrazione e dell’asilo, è indubbiamente meglio un accordo – anche se limitato, discutibile e non coerente – che un continuo paralizzante disaccordo.  

Un diverso punto di vista è quello delle organizzazioni della società civile. Alcune tra le prime dichiarazioni non lasciano ambiguità. “Il Patto non risolverà i problemi urgenti che affliggono i sistemi di asilo nell’Unione europea, tra cui gli investimenti insufficienti nei sistemi di accoglienza, i respingimenti illegali e spesso violenti, le politiche che negano alle persone il diritto di asilo e l’impunità alle frontiere europee”, denuncia Eve Geddie direttrice dell’Ufficio Istituzioni europee di Amnesty International. “Verrà mantenuto il fallimentare sistema di Dublino e si continuerà nell’isolare i rifugiati e i richiedenti asilo, trattenendoli in campi remoti. Sempre più persone cercheranno di fuggire via mare, scegliendo rotte sempre più pericolose”, affermano congiuntamente le Ong impegnate nei salvataggi in mare. Per Willy Bergogné, direttore di Save the Children Europe. “l’accordo raggiunto oggi è storicamente negativo. È evidente che per la maggior parte dei legislatori la priorità era chiudere le frontiere e non proteggere le persone, comprese le famiglie e i bambini che fuggono dalla violenza, dai conflitti, dalla fame e dalla morte mentre cercano protezione in Europa”. 

Dopo il fallimento di una precedente proposta di riforma del sistema comune europeo di asilo presentata al Parlamento nel 2016, la Commissione ha presentato nel settembre 2020 nuove proposte normative in materia di politica di migrazione e di protezione internazionale; su queste il Parlamento europeo si è recentemente reso disponibile a negoziare, fino a giungere all’accordo del 20 dicembre. Si tratta però – nonostante i proclami a cui siamo ormai abituati e che non ci impressionano più di tanto – di un compromesso al ribasso, con qualche luce e ancora molte ombre e limiti. 

Lo schema del regolamento di Dublino non viene affatto superato – come invece si afferma – ma solo ritoccato con correttivi e più stringenti misure che prevedono muri, recinzioni, centri di detenzione e permanenza (specie nei paesi di primo ingresso, all’interno dei quali già da tempo stiamo assistendo alla violazione dei diritti umani), con l’esaltazione dell’approccio securitario rispetto a quello umano e umanitario. 

La solidarietà europea continuerà ad avere carattere volontario e sarà obbligatoria solo nei casi di crisi, di ampia immigrazione o di sua strumentalizzazione a scopi destabilizzanti, al fine di bilanciare il sistema attuale che pesa solo sui paesi di primo approdo. L’obbligatorietà riguarderà 30 mila ricollocamenti all’anno e potrà esprimersi in tre modi: l’accoglienza dei richiedenti protezione nel proprio territorio, in caso di rifiuto della ricollocazione l’indennizzo in denaro ai paesi che accolgono (20 mila euro per ogni persona rifiutata), l’acquisto diretto di mezzi e strutture per l’accoglienza.

Accelerazione del trattamento delle domande di protezione. Meno di due settimane per l’identificazione. È previsto un meccanismo di filtraggio e una procedura accelerata alla frontiera per coloro che hanno statisticamente meno probabilità di ottenere l’asilo (quelle considerate inferiori al 20 per cento). Queste persone saranno trattenute in appositi centri di accoglienza (prevedendone di nuovi) in modo da essere trasferite rapidamente nei propri paesi, entro tre mesi. La procedura potrebbe essere applicata anche alle famiglie con bambini di età inferiore ai dodici anni. Ogni paese avrà un numero massimo di domande da esaminare. Se la richiesta è respinta il rimpatrio avverrà entro tre mesi.


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Riforma del regolamento Eurodac (la banca dati che contiene le impronte digitali dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo che sono stati registrati negli Stati membri dell’UE e nei paesi associati), con la rilevazione di ulteriori dati, come le immagini del volto, anche per i bambini dai sei anni in su.

In sintesi, il nuovo Patto prevede controlli più severi sui migranti che arrivano nell’Unione europea, con procedure che dovrebbero essere rapide (e quindi spesso superficiali, riguardando persone nel bisogno), con centri di permanenza detentiva (che finora sono stati vere e proprie prigioni mal gestite) vicino alle frontiere, in modo da rendere più rapido il rimpatrio di chi non ha diritto ad alcuna forma di protezione e con un meccanismo di solidarietà obbligatorio per fornire aiuto agli stati membri con una forte e critica pressione migratoria.

I diritti umani, la dignità delle persone (sempre, specie se in stato di detenzione amministrativa), la particolare tutela da garantire ai minori e alle donne, le condizioni di accoglienza, rimangono quasi in sottofondo, quasi per dovere, per rispondere al Parlamento europeo che ha chiesto garanzie su un meccanismo di monitoraggio dei diritti fondamentali, sulle condizioni di accoglienza delle famiglie con bambini piccoli e sull’accesso alla consulenza legale gratuita per i migranti. 

Di accoglienza con criteri di umanità, di nuove regole per ingressi regolari in Europa per lavoro e studio, di migrazione circolare, di politiche attive di integrazione e di cittadinanza, di regolarizzazione di quanti già lavorano e studiano, di non discriminazione, di uscita dall’esclusivo approccio emergenziale e securitario, di narrazione e discorso pubblico parziali e lacunosi… di tutto questo il Parlamento e le Istituzioni europee quando si faranno carico come Unione e non più come insieme di singoli Stati, ciascuno a vista limitata ai propri confini? 

Nino Sergi presidente emerito dell’organizzazione umanitaria Intersos e policy advisor di Link 2007

Foto: Humberto Bilbao/Europa Press via AP

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