Mondo

Patch Adams, la mia esperienza a Kabul

''Io vado dovunque ci sono dolore e sofferenza e non c' e' amore, per portarcelo''. Adesso vuole andare al più presto in Palestina.

di Paul Ricard

E’ il ricordo dei duetti intonati scambiando richiami d’uccelli nelle strade di Kabul con un omone afghano in bicicletta a innescare la straripante carica emotiva di Patch Adams, il medico-clown americano, divenuto celebre per la sua ”comicoterapia”, a Tolentino (Macerata), ospite del Comune in veste di esperto della rassegna ‘Terapia del sorriso’. Adams accetta di rievocare la sua recente esperienza in Afghanistan, dove è andato – spiega – per cercare di trasmettere il messaggio che gli americani non portano solo bombe, ma anche amore. ”Amore”, ”strategia dell’amore”, sono le parole-chiave del suo discorso e quando parla dei suoi giorni in Afghanistan spesso ricorda che nelle strade di Kabul ”was like in heaven”, ”era come stare in Cielo”. ”Il mio personaggio – spiega – è quello di semplice, di un ‘povero di spirito’ (”fool”) e mentre stavo li’ in strada a esibirmi, un grosso afghano in sella a una bicicletta si ferma, comincia a guardarmi e a emettere richiami d’uccelli, in un modo sublime, perfetto. Io a mia volta comincio a fare smorfie, gesti, versi e andiamo avanti, giocosamente, per venti minuti”. ”It was peace on heart”, commenta, ”pace in Terra”, nonostante lo scenario attorno. In Afghanistan il medico statunitense è giunto con un gruppo di clown da tutte le nazioni. ”L’idea e’ nata dopo l’11 settembre: dopo quel giorno, decisi di tenermi del tempo libero per andare in Afghanistan, ma non avevo ancora pensato come. Lo spunto me lo diede un regista italiano, Stefano Moser, che telefono’ a una mia assistente proponendo il progetto. Ne fui entusiasta – e qui Adams scatta dalla sedia, per aria, lanciando, come fa ogni tanto quando parla, un urlo di gioia – e accettai subito. Però pensai che non dovevo andare da solo, ma in gruppo: era molto importante che non fossero solo americani ad andare. Ci sono voluti solo due giorni per mobilitare amici da tutto il mondo e portare in Afghanistan le ‘Nazioni Unite dei clown’ e, grazie al supporto organizzativo del Comune di Roma, anche dieci tonnellate di aiuti”. ”A febbraio siamo partiti, con un aereo militare italiano e già in volo – ricorda Adams, capelli grigi striati di turchino legati in un’infinita coda di cavallo – abbiamo cominciato a esercitarci, coi militari, facendo smorfie, accostandoci al loro viso per dipingergli la faccia. La resistenza – riferisce ridacchiando – è stata flebile, specie di fronte alle avances delle ‘clownesse”’. ”Scesi a Kabul – prosegue il medico comico – Stefano avrebbe voluto cominciare a girare, ma noi eravamo lì per fare i clown, non un film”. ”E’ stato durante quei giorni che ho capito come i moniti sulla pericolosità dell’Afghanistan fossero infondati. Certo, alle donne non potevamo avvicinarci troppo, né tantomeno toccarle, perché gli uomini ci guardavano minacciosi. Ma sentirle ridere, sotto il velo, insieme con i bambini era il risultato ottimale della nostra ‘strategia dell’amore”’. Una strategia – spiega Adams, con la luce negli occhi – rivolta non tanto ai bambini, ma agli adulti: ”io lavoro innanzitutto per i grandi”. Poi i ricordi tornano allo scenario asiatico, pieno di povertà: ”conosco bene – dice – la differenza tra essere povero e non avere niente”, e ricorda come i bambini afghani chiedessero spesso anche a lui ”bakshish”, mance, regali. Ma senz’altro il ricordo più vivo è l”omone’ che imitava gli uccelli, la sua prima immagine del Paese. ”Dopo un po’ che duettavamo, ci chiese di poter lavorare con noi. Rispondemmo subito si’ e il giorno dopo si presento’ tutto pulito e sbarbato e si uni’ alla compagnia. Penso che sia ancora la’, con i miei amici rimasti a Kabul, a lanciare i suoi richiami”. Adams ricorda poi la folla assembrata: ”per la voglia di starci vicini, di toccarci, le persone ci accerchiavano fin sotto il naso; questo, a volte, ha dato ad alcuni di noi un po’ di claustrofobia, ma non abbiamo mai avuto alcun problema con la gente”. Il medico, infine, rievoca un’ esibizione all’ orfanotrofio di Kabul. Un momento particolarmente importante, per lui, rimasto orfano di padre a causa della guerra e per questo fortemente impegnato contro l’ingiustizia e la violenza. ”Io vado dovunque ci sono dolore e sofferenza e non c’ e’ amore, per portarcelo”. Adesso vuole andare al più presto in Palestina, anche se non ha ancora un piano preciso. Intanto Adams, che ce l’ ha un po’ con i cristiani che non seguono l’ esempio di Cristo (”il mio presidente getta bombe in tutto il mondo”).

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