Cultura

Pastorin: «Fermate il campionato»

Uno stop di due settimane per stilare un programma di rifondazione del calcio italiano. È questa la proposta di Darwin Pastorin. «Lo slogan potrebbe essere più dribbling e meno marketing. Bisogna tornare all'educazione in famiglia, sui campetti e nelle scuole. Se le cose non cambiano il nostro calcio è destinato a morire»

di Lorenzo Maria Alvaro

Ormai quello del nostro calcio è un continuo bollettino di guerra. Tra scandali, fallimenti e inchieste ogni sei mesi si certifica che il nostro pallone è moribondo. E niente sembra mai cambiare. Per capire come si possa affrontare una crisi del genere, che nel giro di pochi anni ha fatto del campionato più bello del mondo quello meno ambito e competitivo, abbia o parlato con Darwin Pastorin, giornalista sportivo che non ha bisogno di presentazioni. 
 

Il nostro calcio è ormai moribondo, cos'è successo?
Siamo passati dall'eldorado del calcio mondiale degli anni 80, con i Maradona e i Platini, e siamo arrivati ad un campionato dove gli stranieri più bravi non vengono perché non ci sono i soldi e non è un torneo competitivo. Oggi un calciatore forte va in Spagna, in Inghilterra, al Psg in Francia e in Germania. Poi, al quinto posto come interesse, c'è l'Italia. C'è poi il tema degli stadi. L'unica società al passo coi tempi, che ha fatto qualcosa di buono è la Juventus. Noi abbiamo stadi obsoleti, insicuri e pericolosi. Siamo anche un Paese non sicuro in generale, basti vedere quello che gli hooligans del Feyenoord hanno fatto a Roma. E siamo un Paese dove ci sono al vertici del calcio Tavecchio, quello degli Opti Pobà che mangiano banane, e Lotito, con le dichiarazioni telefoniche come quelle che abbiamo sentito. Poi c'è il caso Parma e i tanti simili. Se il club emiliano dovesse saltare sarebbe la prima volta nella storia della Serie A. In sostanza non c'è più una narrazione calcistica in Italia. Non c'è sicurezza né spettacolo. 

Ma cosa si può fare per intervenire?
Nelle mie illusioni poetiche avevo immaginato l'idea che i capitani delle squadre prima della partite oltre ai gagliardetti si scambiassero dei libri. Sarebbe solo un piccolo esempio. Ma nel solco di quello che secondo me è l'intervento più importante da fare. Se si pensa all'infinita serie di eventi tragici che accadono nel nostro calcio risulta evidente una cosa: dobbiamo tornare all'educazione. Il calcio viene vissuto in modo isterico. Bisogna tornare in famiglia, nei campetti, nelle scuole e insegnare ai bambini cosa sia lo sport e come si viva. Il problema infatti si può affrontare solo dal basso. Non, come sta capitando, dicendo che ci sono troppi neri nelle giovanili. Dobbiamo ricominciare a spiegare cosa significhi fare sport ai nostri figli. Qualche giorno fa parlavo con Lodetti che mi diceva di coler aprire una scuola calcio. Tre campi e un cinema.

Un cinema?
Si, per mandarci i genitori durante le partite. Ed evitare così gli esempi pessimi che ogni week end vediamo sui campetti italiani.

Però c'è anche tutto il sistema che non va. Noi possiamo educare i ragazzi, ma il calcio, come si cambia?
Io farei uno stop di tutte le competizioni per due settimane. Una pausa per mettersi ad un tavolo e stilare un programma. Serve una riflessione vera su cosa vogliamo che sia il nostro calcio. Una riflessione cui dovrebbero partecipare calciatori, presidenti ed ex calciatori. Tutti. Lo slogan potrebbe essere “più dribbling e meno marketing”. Il calcio deve tornare ad essere poetico, ad essere un avventura.

Se non cambiano le cose cosa può accadere?
Quello che ha già iniziato a succedere. La gente si sta disamorando. Gli stadi rimangono vuoti. Pian piano sempre più persone prima rinunceranno ad andare a vedere le partite e poi anche a vederle in tv. In tanti hanno già cominciato a frequentare altri sport. L'hockey, il basket, il football americano e il rugby danno oggi alle persone quello che un volta dava il calcio. O la tendenza s'inverte o è uno sport che sarà destinato a morire lentamente.

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