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Pasti saltati in comunit

Abbattere muri, costruire sale da pranzo, aggiungere lavelli e cambiare rubinetti. Sono solo alcuni obblighi stabiliti dalla legge 155/97 per tutti i soggetti che distribuiscono pasti. Un salasso per

di Redazione

Una comunità per bambini, una casa famiglia, una comunità terapeutica, una casa alloggio per disabili: forse non lo sanno, ma da un paio di mesi queste strutture sono diventate tutte ?industrie alimentari?. E come tali devono sottostare a una serie di complicate norme igieniche e precise prassi, studiarsi un manuale alto così sugli alimenti e le loro caratteristiche, effettuare opere di muratura e di adeguamento della cucina, comprare cuffie e divise per gli addetti… insomma sottostare alle norme europee che l?Italia ha recepito con la legge 155/97, entrata in vigore a giugno. Non è uno scherzo, ma a quanto pare un obbligo che costerà caro agli enti non profit che gestiscono strutture – qualsiasi struttura – dove ci sia qualcuno che mangi a pranzo e cena. Ecco infatti come viene definita l??industria alimentare? dalla suddetta legge 155: «ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che esercita una o più delle seguenti attività: la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, di prodotti alimentari». In pratica ciò che succede in ogni cucina di qualsiasi comunità. La segnalazione di questo problema viene dal Veneto, dall?associazione Lila di Mira (Venezia) e dalla Fondazione Bernardi di Conegliano (Treviso) che descrivono con precisione gli obblighi che loro, improvvisamente promosse ?industrie alimentari? perché gestori di alcune comunità per minori, devono assolvere per essere in regola: ricavare una zona pranzo separata dalla cucina; costruire un bagno con antibagno riservato al personale di cucina; dotare ogni addetto di uno spogliatoio di 1,5 mq con armadietto; attrezzare la cucina con doppi lavelli, uno per gli alimenti e uno per le pentole, distanti tra loro; acquistare e installare attrezzature speciali come rubinetti a pedale o a staffa, dispenser per il sapone, zanzariere, e molto altro ancora. Spese previste, alcune decine di milioni. Ma non è solo questo: i responsabili delle comunità si chiedono anche se sia il caso di trasformare cucine e appartamenti che devono ricalcare il più possibile le mura domestiche (come le case famiglia per minori in difficoltà) negli asettici ambienti tipici delle mense industriali, o se invece non sia il caso di operare qualche distinzione per «finalità» e «dimensioni». Per avere lumi, le associazioni si sono rivolte all?assessore alla sanità del Veneto, Iles Braghetto, che tramite ?Vita? risponde: «Crediamo che il problema sia reale, e che meriti qualche chiarimento» dice il dottor Riccardo Galesso dell?ufficio Alimenti della Direzione Prevenzione. «Anzi, noi come Regione Veneto indirizzeremo una richiesta ufficiale al ministero della Sanità perché si pronunci in materia». Ma anche il ministero della Solidarietà potrebbe essere interessato, data la tipologia sociale delle strutture coinvolte. Un altro decreto legge (il n° 148 del 24/5/99) conferma i timori peggiori, prevedendo uno slittamento delle sanzioni previste dalla legge 155 (fino a 60 milioni) al 1° aprile 2000 per i soggetti che abbiano fino a 5 dipendenti. «Ma che cosa si intende per dipendenti?» si chiede Galesso. «Se un?associazione ha come addetti alla cucina solo volontari, lo slittamento è comunque valido? Dobbiamo considerare, come fa la 626, anche i soci alla stregua di dipendenti?». Tutte domande che restano, per ora, senza risposta. Avete lo stesso problema sollevato dalle associazioni venete? Segnalatelo alla nostra redazione: fax 02.55.19.03.97, e-mail vitarm@flashnet.it


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