Mondo

Parwiz e Silvia, una storia di amicizia e integrazione che passa dalla poesia

Sono oltre 100 i milioni di rifugiati nel mondo che sono stati costretti a lasciare la loro casa a causa di guerre, persecuzioni, violenza e violazioni dei diritti umani. Tra loro Parwiz, 21 anni, scappato dall’Afghanistan o Ruth, 22 anni, fuggita dalla Nigeria. Ora vivono in Italia e stanno costruendo nuove relazioni sociali, fondamentali per l’integrazione

di Anna Spena

Oltre 100 milioni. 108,4 per la precisione, secondo il rapporto annuale Unhcr – Global Trends in Forced Displacement 2022. Oltre 100 milioni è una cifra drammaticamente elevata, oltre 100 milioni è il numero di donne, uomini, bambini e adolescenti che, il dato è aggiornato alla fine del 2022, sono stati costretti a lasciare la loro casa a causa di guerre, persecuzioni, violenza e violazioni dei diritti umani, una cifra record con un aumento senza precedenti di 19,1 milioni rispetto al 2021.

Parwiz e Silvia, se l’integrazione passa dalla poesia

Parwiz è arrivato in Italia a settembre del 2021 e ha solo 21 anni. Ha lasciato la sua casa, il suo Paese, l’Afghanistan, dopo che nell’agosto dello stesso anno i talebani hanno preso Kabul. «Avete una lingua molto musicale», racconta. «E ho scoperto tantissime parole italiane che nella mia lingua hanno tutt’altro significato. Per esempio, “rana” in pashto significa “luce” – e mia sorella si chiama così, Rana». Parwiz sta imparando l’italiano, le usanze e i modi di dire di un Paese «diversissimo dal mio», spiega. «Ma non lo sto facendo da solo». Parwiz è uno dei partecipanti del progetto “Community Matching”, un’iniziativa nata dalla collaborazione tra l’associazione Refugees Welcome con Unhcr Italia e Ciac, grazie al sostegno dei fondi dell’8×1000 di Soka Gakkai, nato con l’obiettivo di creare relazioni di amicizia e favorire percorsi di integrazione. Community Matching promuove l’incontro tra rifugiati e comunità locali ed è attivo in 10 città italiane (Bari, Bergamo, Bologna, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Parma, Roma e Torino). Al 31 dicembre 2022 sono 358 i match avviati che hanno coinvolto persone di 41 nazionalità diverse.

«Il Community Matching mi ha aiutato tanto: ho trovato una buddy e questa buddy mi ha aiutato a ritrovare quella parte di me che avevo perso lasciando l’Afghanistan», dice Parwiz. «Parliamo, chiacchieriamo, qualche volta balliamo. Facciamo le cose che fanno gli amici. Di solito ci vediamo in caffetterie. Silvia mi aiuta tantissimo con la lingua italiana e con altre cose che voglio fare qua, ad esempio prendere la patente. Inoltre, io scrivo poesie nella mia lingua e insieme le traduciamo in italiano».

Silvia ha 42 anni, loro si sono incontrati così: «Sono stata colpita da una pubblicità su Facebook nella quale si annunciava il lancio del progetto Community Matching a Padova e mi sono iscritta», racconta. «Abbiamo iniziato con le lezioni di italiano, lui è già molto bravo. Ci accomuna la passione per la poesia, stiamo lavorando sul vocabolario e sulle strutture grammaticali, partendo proprio da testi che penso ci possano piacere e che parlano il nostro linguaggio. Ci siamo già invitati reciprocamente a eventi che ci piacciono come il Poetry slam dove Parwiz si esibisce o corsi di ballo Lindy hop che frequento io. Mi piacerebbe anche fare delle piccole gite con lui per fargli conoscere i colli Euganei e il mare, se anche lui vorrà».

Il valore delle relazioni sociali

L’impatto del progetto è stato misurato attraverso una ricerca che, analizzando 115 match, ha confermato l’effetto positivo su tutti gli aspetti della vita dei protagonisti, dalla stabilizzazione lavorativa a quella abitativa, dalla salute al senso di sicurezza, dall’apprendimento della lingua italiana all’orientamento ai servizi e al territorio. «Tutti traiamo beneficio dai legami e dal senso di appartenenza. Per i rifugiati lontani da casa, i progetti come Community Matching possono seminare speranza, contribuendo a farli sentire accolti. In questo primo anno e mezzo abbiamo visto i benefici delle relazioni costruite su tutti gli aspetti della vita dei protagonisti, dalla stabilizzazione lavorativa a quella abitativa, dalla salute al senso di sicurezza, all’apprendimento della lingua», spiega Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per l’Italia.

I dati evidenziano infatti che, a distanza di solo sei mesi dall’avvio del percorso, il 50% dei rifugiati ha migliorato il livello di conoscenza della lingua italiana e si è registrato un aumento del +25% delle persone hanno trovato un lavoro e del 17% di coloro che hanno registrato un contratto di affitto. Infine, è emerso che l’86% dei rifugiati ha riportato un aumento del benessere generale proprio grazie alle relazioni costruite attraverso il Community Matching.

Ruth dalla Nigeria: «Volevo un’amica della mia stessa età»

Ruth invece ha 22 anni, è scappata dalla Nigeria, ed è arrivata in Italia nel 2019. «Ho deciso di partecipare al progetto perché desideravo trovare un’amica della mia stessa età, una figura femminile con cui potermi confidare e condividere il mio tempo. Da quando vivo in Italia ho conosciuto principalmente donne nigeriane oppure operatrici del centro di accoglienza». Anche la sua buddy si chiama Silvia: «Io e Silvia facciamo le cose che fanno le ragazze della nostra età: usciamo per fare una passeggiata, un aperitivo, shopping. Ci raccontiamo le nostre giornate e ci scambiamo consigli culinari. La cucina è una nostra passione comune: lei mi insegna i piatti italiani e io quelli nigeriani. Un giorno sono andata a casa sua e abbiamo fatto dei biscotti: è stato un pomeriggio molto bello. Ora sto imparando a relazionarmi con persone italiane, essendo straniera non è una cosa scontata o automatica. Avevo sempre paura di dire o di fare la cosa sbagliata, grazie a Silvia sto superando questa sensazione. Un’altra cosa che mi pace molto è poter parlare liberamente di tutto quello che mi riguarda, senza timore di essere giudicata. Con Silvia mi sento libera. Credo che avere la stessa età sia una cosa che ci ha aiutato a fare amicizia. Io mi fido di lei e lei si fida di me. Se mi sento sola o giù di morale, so che c’è qualcuno a cui posso rivolgermi».

Silvia è sempre stata curiosa verso le altre culture, perciò si è iscritta al progetto. «Ho visto in questo iniziativa», racconta, «la possibilità di conoscere storie e vite diverse dalla mia. Credo che aprirsi all’altro sia sempre un’occasione di arricchimento. La nostra relazione è uno scambio reciproco, in cui entrambe stiamo imparando qualcosa dall’altra. Non mi riferisco solo agli aspetti culturali. Ruth per me è un esempio di come andrebbero affrontate le sfide che ognuno ha davanti. Mi piace tanto lo spirito con cui fa fronte alle tante difficoltà che ha nella sua vita quotidiana, legate al suo essere una persona rifugiata. Ha sempre un sorriso smagliante che la porta a vedere il bicchiere mezzo pieno».

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