Politica
Partiti, le comiche finali
Il successo di Grillo, l'assenteismo, il crollo di Lega e Pdl
Batosta elettorale di Pdl e Lega, la vittoria dei grillini a Parma, il successo di Orlando a Palermo, la buona tenuta del Pd nei tanti Comuni in cui si è votato: ma il segnale più forte e inequivocabile che viene dalle elezioni amministrative è la crisi profonda dei partiti, da destra a sinistra, e l’insofferenza dei cittadini per la politica tradizionale.
“La sorpresa di Parma, più città a sinistra” è il titolo a tutta pagina del CORRIERE DELLA SERA. Il commento ai risultati elettorali è di Massimo Franco: “Quanto è successo fra il 6 maggio e ieri riflette un’Italia cambiata in profondità; ed esplicita nel dire almeno quello che non vuole più. La disintegrazione del centrodestra è ormai un dato di fatto che né le difficoltà del voto amministrativo né l’uscita di scena di Silvio Berlusconi bilanciano. Anzi, forse il Pdl ha perso troppo tempo prima di voltare definitivamente pagina. Quanto alla Lega, le inchieste giudiziarie sono state solo la ciliegina velenosa su una crisi di identità che dura da tempo: le sue sconfitte a catena suonano come una conferma. La frattura della Seconda Repubblica di centrodestra col suo blocco sociale del Nord, prima che col suo elettorato, si è ormai consumata. Il travaso massiccio di voti nel Movimento 5 stelle del comico Beppe Grillo è l’indizio che il Carroccio non era credibile neppure come partito di protesta contro il governo di Mario Monti. Il Pdl può anche sperare che si tratti di voti «in libera uscita», come teorizzava alla fine del secolo scorso una Dc in declino. Per il momento, sono usciti e basta”. E più avanti: “È un rifiuto delle vecchie logiche perfino il trionfo di Leoluca Orlando a Palermo, sindaco già un quarto di secolo fa. La sua vittoria è figlia della rivolta contro il candidato imposto alle primarie dal vertice nazionale del Pd: un fenomeno un po’ troppo frequente, al punto da confondere i contorni della leadership. Il segretario, Pier Luigi Bersani, rivendica, con qualche ragione, di essere il meno ammaccato fra i partiti tradizionali. Eppure il Pd sa di doversi affrancare da «cartelli elettorali» superati”. Renato Mannheimer a pagina 2 punta l’attenzione sull’astensionismo, mai così alto: “La disaffezione dai partiti tradizionali porta infatti da un verso alle astensioni, mai state così alte come in questo periodo, e dall’altro al voto verso formazioni dichiaratamente «antipartitiche», come quella di Grillo. Che, significativamente, è riuscita a prevalere a Parma, proprio come segno di ribellione, in una città dove i partiti non hanno, in passato, fatto una gran bella figura. Forse non è un caso che a Parma l’afflusso alle urne (61%) sia stato relativamente più elevato. Potrebbe essere, infatti, che la presenza di un candidato fortemente alternativo ai partiti tradizionali, per di più potenzialmente vincente, abbia spinto a votare anche molti dei delusi della politica”. L’analisi di Dario Di Vico sul voto di Parma, a pagina 9: “Chi nella società civile e magari anche a sinistra aveva animato il movimento degli indignados, che un anno fa aveva assediato la giunta Vignali, non ha creduto alla bontà dell’usato sicuro (alias Bernazzoli) e ha pensato di aver diritto alla palingenesi. Meglio quindi votare per una persona disinformata dei fatti che per un presidente della Provincia in carica — come è il candidato del Pd —, che però dal suo scranno (dal quale non si è mai dimesso) non si era certo caratterizzato come martire della lotta contro il sacco di Parma”. A pagina 11 Giangiacomo Schiavi sul crollo di Lega e Pdl in Lombardia: “Il blocco sociale, il corpaccione intermedio, come lo chiama il sociologo Aldo Bonomi, che si era stabilmente saldato con il dinamismo di Silvio Berlusconi è ancora lì: come la voglia di fare, lo slancio imprenditoriale, l’efficienza reclamata, in linea con lo spirito della Brianza. Uno spazio politico enorme, un appetitoso boccone lasciato in freezer. Il centrodestra non affascina più, ma il voto punitivo di Monza e di Como non indica un travaso: indica un rifiuto. Impauriti, muti, disincantati e astenuti, gli elettori del centrodestra in mancanza di scelte possibili non hanno scelto. A Monza, quasi uno su due è rimasto a casa. A Como, con la Lega da una parte e il Pdl dall’altra, si sono chiamati fuori. Uno spaesamento che si esprime non andando a votare, ma che significa perdita di sincronia tra la politica del centrodestra e i suoi elettori”. E Francesco Verderami a pagina 14 chiosa: “Rischio paralisi per il Governo. Cresce la voglia di elezioni anticipate”.
“Disfatta Pdl, Grillo conquista Parma”, titola REPUBBLICA. L’editoriale (“Un altro Paese”) è affidato al vicedirettore Massimo Giannini. Questa la sua carrellata di analisi politica: «Ma il dato politico è incontrovertibile: il comico genovese ha stravinto. E stavolta non c’è niente da ridere. I suoi competitori hanno ora il dovere del confronto: l’etichetta snobistica da “guitto” sfascista e qualunquista non può più servire. Lui stesso ha ora il dovere della responsabilità: la rendita facile e demagogica dei Vaffa-day non può più bastare. L’Italia “azzurra” non esiste più: la scomparsa del Pdl dal territorio è più stupefacente persino di quella del suo padre-padrone dal Palazzo. Il partito del popolo delle Libertà ammaina la sua bandiera ovunque, dalle sue roccaforti del Nord alle sue casematte del Sud. E fa quasi tenerezza Angelino Alfano, il povero “segretario senza il quid”, che vede capitolare la trincea proprio nella sua città natale, Agrigento. L’Italia “verde” va scomparendo: la disfatta della Lega è più sorprendente persino della resistenza del Senatur. E fa quasi sorridere Maroni, il povero “barbaro sognante”, che tra le macerie giura “la traversata nel deserto è finita”, senza capire che invece comincia solo adesso. L’asse Berlusconi-Bossi muore qui, insieme all’uso politico della Questione Settentrionale che la “premiata ditta” ne ha fatto in questi lunghi anni, nascondendo i più biechi interessi affaristici dietro i vessilli ideologici del populismo e del federalismo. L’Italia “rossa” resiste, e semmai riallarga i suoi confini nelle zone in cui li aveva ridotti da anni. Ha ragione Bersani a rivendicare il risultato. Ma al leader del Pd non può sfuggire che il suo partito al momento vive e vegeta soprattutto grazie ai collassi dell’avversario. Non può sfuggirgli che il “grande partito dei progressisti italiani” oggi arriva a stento al 25%. Non può sfuggirgli che, nonostante le ultime “riconquiste” di schieramento, le insegne che svettano sui municipi di Milano o di Genova, di Napoli, di Cagliari o di Palermo non sono le sue. E quanto alla sconfitta di Parma, non può sfuggirgli l’effetto surreale che produce lui stesso, quando replica “non è vero che perdiamo ovunque contro i grillini, il Pd ha vinto a Budrio e a Garbagnate”. Questa è quasi comicità involontaria. Infine, con il fallimento del Terzo Polo di Casini e senza una seria riforma della legge elettorale, a Bersani non può sfuggire che di qui al 2013 non ci sono vie d’uscita: può solo riproporre un caravanserraglio simil-unionista, insieme a Vendola e a Di Pietro. Una non-soluzione che forse serve a vincere ma non a governare, e che gli italiani hanno già testato con esiti disastrosi nel 2006». “Chi rappresenta i mali del nord” è invece la mappa di Ilvo Diamanti. Queste le sue conclusioni: «Questa “piccola” consultazione amministrativa ha mutato profondamente le basi della “questione settentrionale”. Nel Nord, infatti, si fanno strada domande di segno nuovo. Che non emergono da centrodestra ma da centrosinistra e, anzi, da sinistra. Esprimono istanze critiche verso il neoliberismo e i valori imposti dai “mercati” (finanziari) globali. Dietro al voto, si scorge un Paese in cerca di rappresentanza politica. Se la Seconda Repubblica è finita, la Terza non è ancora cominciata».
IL GIORNALE apre a tutta pagina con il titolone “Il comico è Bersani”. L’editoriale è a cura del direttore, Alessandro Sallusti, che scrive «quindici giorni fa a perdere è stato il Pdl, ieri è toccato a Bersani e Rosi Bindi. Onore a Grillo, che conquista alla grande il suo primo capoluogo. Il Pd si appende al pallottoliere del cambio dei sindaci per stendere una cortina fumogena sulla sostanza politica. Che è questa». All’interno Emanuela Fontana firma “Gli elettori di centrodestra hanno dato il successo a Grillo”. ««Il Pdl dice di votare per noi? È una presa per il c…», urlava Beppe Grillo qualche giorno fa dal palco di Comacchio, per scongiurare convergenze. E invece è successo. L’esponente del Movimento cinque stelle Federico Pizzarotti è sindaco a Parma con il 60,2% delle preferenze, oltre venti punti in più dello sfidante, Vincenzo Bernazzoli (Pd). E soprattutto oltre il 40% in più dei voti ottenuti al primo turno. In appena quattordici giorni, Pizzarotti ha aumentato il suo parco votanti di 34mila cittadini, passando da 17mila a 51.235. La percentuale dell’affluenza è scesa lievemente, di cinque punti percentuali». Il conto matematico «è semplicissimo: tutti gli elettori dei partiti fatti fuori al primo turno hanno votato il grillino». Francesco Maria Del Vigo invece propone “Le capriole del giullare che volle farsi re”. «Per anni hanno detto che i politici erano dei buffoni e poi hanno messo un comico a fare il politico. Massima delle perversioni. Il vincitore è lui. Sulle ceneri dei partiti rimane in piedi solo un comico. Che se la ride. Perché ha vinto. Per sottrazione, per assenza, ma anche per capacità. I grillini hanno parlato alla gente e hanno saputo farlo con il mezzo più pervasivo ed economico: la rete. Lui è sempre stato se stesso, con le mille contraddizioni che mette in piazza e sul web. Fa l’ecologista ma girava in Porsche, la domenica è in Costa Smeralda come un vip qualunque e il lunedì fa le barricate assieme ai No Tav, mette alla gogna tutti i politici in attesa di giudizio e lui è condannato in via definitiva per omicidio colposo, si spaccia per vate del web e fino a dieci anni fa spaccava i computer a martellate. Tutto e il suo esatto contrario. A seconda dell’opportunità e della convenienza».
“Le stelle sono tante”, titola IL MANIFESTO. Nell’editoriale di Andrea Fabozzi, “La rete del Grillo”, è riportata l’analisi politica del giornale: «Il Movimento 5 stelle ha completato l’opera nei ballottaggi di ieri. Era previsto, eppure l’analisi dei voti assoluti nelle città in cui i grillini erano presenti al secondo turno è sorprendente. Colpisce il modo in cui il consenso della Lega e del Pdl si sia facilmente trasferito a questo gruppo di debuttanti». L’accento viene poi spostato sul perché del voto verso il M5S e sull’identikit dei candidati grillini: «Il 5 Stelle evidentemente è un movimento che risulta appetibile per chi si era lasciato fin qui sedurre dal populismo berlusconiano e dalle rozze semplificazioni bossiane, malgrado i 5 stelle siano in gran parte giovani secchioni ambientalisti, più bravi a problematizzare che a risolvere». Pagina 2 è dedicata al caso Parma (“Parma cotta per i 5 Stelle”), mentre l’appoggio analizza la reazione del segretari Pd Bersani, che «festeggia scuro in volto». “Vittoria senza se e senza ma, Bersani vince un po’ di guai”, è l’affondo del MANIFESTO.
“Il voto premia Grillo: conquistata Parma al Pd 93 città, 34 al Pdl”, è il titolo del SOLE 24 ORE in prima pagina, che affida il commento a Stefano Folli, con un titolo secco, “Svegliamoci”: «Sovrapposti alle immagini dei funerali di Mesagne e delle macerie in Emilia, fotogrammi di un’Italia fragile e sconvolta, i risultati elettorali hanno il valore di uno spartiacque. Non si riducono al semplice rinnovo delle amministrazioni locali. Se così fosse, il discorso sarebbe presto chiuso e avrebbe ragione Bersani ad ammonire: «nessuno ci rubi la vittoria», visto che le liste riconducibili al centrosinistra hanno conquistato 92 o forse 93 municipi. Eppure questa contabilità certosina non tiene conto della dinamica del voto. Mai come in questa occasione gli italiani hanno messo sotto accusa un sistema politico malato e refrattario a ogni riforma. Lo hanno fatto andando alle urne per celebrare Beppe Grillo, oppure restando a casa per segnalare distacco e indifferenza: non a caso l’astensione nel secondo turno ha raggiunto il 50 per cento, contraddetta solo dal risultato di Parma dove è stata contenuta al 39 per cento. Se alle astensioni si sommano i voti di protesta, variamente espressi, abbiamo un sistema parzialmente delegittimato. Dove i sindaci eletti, compresi quelli che permettono a Bersani di parlare di vittoria, lo sono con percentuali di forte minoranza. Nel frattempo il centrodestra conferma la sconfitta del primo turno e dà l’idea di un vascello alla deriva, in attesa di rientrare nel bacino di carenaggio per essere ricostruito. Quanto alla Lega, la disfatta è completa; con la conseguenza che il blocco del centrodestra al Nord, fattore politico dominante negli ultimi quindici anni, è in via di disgregazione. Così come, con altre modalità, accade in Sicilia, nella Palermo delusa e ferita. Ma è proprio in questo spazio, quasi una «terra di nessuno», che scorrazzano i nuovi interpreti del dibattito pubblico: dall’onesto Pizzarotti, l’uomo che parla il linguaggio del buon senso, al redivivo Leoluca Orlando, forte di un rapporto peculiare e solido con la sua città. (…) C’è un prima e c’è un dopo e non capirlo può essere molto insidioso. Per chiunque. Per la destra di Alfano, senza il minimo dubbio. Per il centro di Casini che deve uscire dai tatticismi, idem. Ma il centrosinistra di Bersani s’illude se pensa di essere immune dalla tempesta. Nel ’93 le sinistre vinsero le amministrative e un anno dopo consegnarono l’Italia a Berlusconi. Si dirà che la storia non si ripete, nonostante il luogo comune, e che un nuovo Berlusconi non c’è all’orizzonte. Ma la miscela inedita di astensionismo, frustrazione indotta dalla crisi economica, paura del futuro, scelte anti-sistema (non dimentichiamo che Grillo è contro l’Europa e fautore, almeno a parole, dell’uscita dell’Italia dalla moneta unica), non dimentichiamo che tutto questo rappresenta una bomba pronta a esplodere sotto le gambe di un assetto politico corroso e indebolito. Nessuna formula di governo fondato su vecchi paradigmi e su abusati personaggi, tranne forse una convinta e dichiarata unità nazionale, sembra in grado di rispondere alla sfida con qualche successo. Perciò è tempo di muoversi. Anzi, è ora di svegliarsi: la società politica e anche la società civile».
“A Parma non ha vinto Grillo, ma hanno perso i partiti”, titola ITALIAOGGI e Pierluigi Magnaschi scrive: «Il ballottaggio ha confermato il suicidio politico del PdL, ha sancito l’annientamento della Lega, ha dichiarato la vittoria del Centro sinistra, dove però il Pd esce malconcio, visto che a Genova ha vinto un sindaco vagamente vendoliano, e a Palermo ha stravinto Leoluca Orando che si presentava addirittura sotto il suo simbolo, quello dell’Italia dei valori. Ma il fatto politicamente più rilevante è la vittoria di Grillo alle elezioni comunali di Parma. Ho detto che ha vinto Grillo al posto di Federico Pizzarotti, non per lapsus ma perché così stanno le cose. E sono clamorose. Il movimento 5 stelle si è infatti presentato a queste elezioni per scaldarsi i muscoli. A lui è andato il voto di protesta. L’onda d’urto del movimento si farà sentire nel pieno della sua forza destabilizzante solo in occasione delle prossime elezioni politiche che la massimo si faranno nella prossima primavera. Oggi questa forza è stata attutita da robusti fattori locali, che a Parma non hanno tenuto. Param prima si è scrollata di dosso la nomenklatura rossa, poi quella bianca. I parmigiani volevano altri amministratori. Ecco quindi l’esplosione del movimento 5 stelle in una città smaliziata, colta , resistente ai flauti magici».
AVVENIRE in prima pagina dei ballottaggi scrive che sono l’«ultimo avviso alla politica». Sottolinea poi il «boom delle astensioni» e il «ciclone a cinque stelle» di Parma. Secondo Sergio Soave, che firma uno degli editoriali di AVVENIRE, il secondo è «il dato più impressionante» ma è il primo quello «più significativo», con un italiano su due che non è andato alle urne. Il segno dominante quindi è «un profondo malessere», a cui la «configurazione tradizionale del sistema politico non sembra in grado di fornire risposte». Questa situazione prefigura quindi un rischio più che concreto di «condurre a una situazione di ingovernabilità quando si andrà a elezioni politiche». Bene in vista l’appello di Cecilia Maria Greci, già delegata all’Agenzia per la Famiglia nella giunta Vignali, al neosindaco di Parma, Pizzarotti: «la città ora si aspetta una riconferma del Quoziente Parma, come promesso da tutti i candidati in campagna elettorale». A Meda invece, dove la Lega ebbe il suo primo sindaco, oggi la Lega è sconfitta per un solo voto.
“La svolta di Parma, vince Grillo” è il titolo di apertura de LA STAMPA. Marcello Sorgi firma l’editoriale “Chi riempirà i vuoti della destra”. «La domanda sorge spontanea di fronte ai risultati dei ballottaggi: ma i partiti e il sistema politico che abbiamo conosciuto negli ultimi venti anni – e insomma la Seconda Repubblica – sopravvivranno all’ondata di piena che li ha investiti? Il quadro uscito dalle urne ha certamente esasperato le tendenze del primo turno: emblematica la vittoria dei grillini a Parma; accentuato il crollo del centrodestra e del Pdl; totale, in sette ballottaggi su sette, la sconfitta della Lega; e la tenuta del Pd, secondo come la si guardi, si può considerare accettabile o striminzita, dal momento che Bersani a Genova vince con un candidato che non era suo e a Palermo soccombe al plebiscitario ritorno di Orlando. Eppure, a dispetto anche delle prime reazioni emotive ai numeri e alle percentuali, non è detto che il virus che ha aggredito la politica italiana debba per forza essere considerato letale. Anzi, a sorpresa, e in vista della prossima e ravvicinata scadenza delle elezioni politiche del 2013, potrebbe rivelarsi un male curabile. Seppure imprevedibile in queste dimensioni, la vittoria del Movimento 5 stelle non prelude a un’Italia governata da Grillo, che tra l’altro è il primo a non avere obiettivi del genere». Massimo Gramellini invece propone “Il Gabibbo barbuto”, «Grillo è un Gabibbo barbuto e il Movimento Cinque Stelle la trasposizione politica di «Striscia la Notizia»? La suggestione esiste, inutile negarlo, ma è solo parziale. Grillo è anche il Gabibbo. Un Gabibbo, però, che guarda «Report», ha letto «La Casta» e sa stare sul Web. I due hanno in comune la cadenza, ligure, e l’ideatore, Antonio Ricci, di cui Grillo è stato a lungo il ventriloquo tv. «Fantastico», «Te la do io l’America», «Te lo do io il Brasile»: l’unico programma di successo che Ricci non gli ha curato è «Te la do io l’Italia». Quello se lo sta scrivendo da solo. Se Grillo ricorda il pupazzo rosso che svergogna i potenti tra ghigni e sberleffi, l’attivista-tipo del Cinque Stelle assomiglia a uno di quegli inviati di «Striscia» che consegnano tapiri: informato, tignoso, sfacciato. Quanto all’elettorato, ne esiste uno cresciuto con le tv berlusconiane che da anni si abbevera ai programmi satirici di denuncia e ha finito per introiettarne meccanismi e valori. «Striscia» e «Le Iene» si pongono come giustizieri della notte, raddrizzatori di torti, vendicatori degli oppressi in contrapposizione a un Potere che magnanimo li finanzia attraverso la pubblicità. Secondo lo studioso dei media Massimiliano Panarari, il loro segreto consiste nel dare sfogo al rancore popolare verso un sistema concepito come nemico. Ai seguaci di «Striscia» il movimento di Grillo non sembra antipolitica, ma politica: difesa del cittadino. In realtà, sostiene Carlo Freccero, il termine corretto è Apolitica: il rifiuto dei partiti, ormai ridotti a meri comitati d’affari. E qui l’albero genealogico del grillismo si allarga a «Report» di Milena Gabanelli e al bestseller «La Casta» di Stella e Rizzo».
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