Mondo
Parsi: «Purtroppo le ong saranno sempre nel mirino dei terroristi, è inevitabile»
Save the Children sotto attacco a Jalabad. «Le associazioni umanitarie si candidano a cambiare le cose, a migliorare una situazione. I ribelli invece vogliono lo status quo. Ecco perché i cooperanti saranno sempre bersagli». L’intervista a Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali alla Cattolica di Milano
Oggi in Afghanistan, a Jalalabad, Save The Children ha subito un durissimo attacco terroristico ad una sua sede. Le informazioni sono poche, frammentate e per prudenza la ong preferisce non commentarle, come ha spiegato a Vita.it, communication manager Filippo Ungaro. L’Afghanistan dal 2003 è ormai un Paese fuori controllo. Per capire quale sia la situazione e il perché di questo attacco abbiamo chiesto a Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni Internazionali nella facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
Professore cosa sta succedendo in Afghanistan?
Non c’è più un presidio militare internazionale. Quando Obama decise di ritirare le truppe questo era esattamente quello che si temeva: che gli afghani non fossero in grado di tenere sotto controllo la situazione.
Quindi l’attuale governo non è all’altezza?
Intendiamoci, il presidente che hanno è il migliore che potevano trovarsi, ma resta un Paese fatto di fazioni e clan. Potrei fare un paragone molto chiaro ma non so se sia il caso visto che ci troviamo in campagna elettorale…
Proviamoci…
Per capire l’Afghanistan basta immaginare un Parlamento di un paese europeo qualunque. Ma immaginiamo che invece della dialettica politica usino i kalashnikov. Stiamo parlando di un Paese non unificabile. Basti pensare che i talebani non sono un gruppo molto forte e non godono di un grande sostegno popolare. Eppure nonostante tutti questi anni e tutte le truppe inviate nessuno è riuscito a debellarli.
Quindi la situazione è imputabile ad Obama e alla sua decisione?
No, non direi. Quella di Obama era una scelta obbligata. Come si faceva a tenere così a lungo una presenza militare? Penso piuttosto che se non ci fosse stata la guerra in Iraq le cose sarebbero andate diversamente.
Quindi la responsabilità è di Bush?
Si, certo. L’Afghanistan perde stabilità nel 2003 con quella guerra. Bush tolse truppe dall’Afghanistan per mandarle in Iraq. Quello è stato il punto di non ritorno.
Ma perché attaccare un'organizzazione che lavora per il bene della gente?
Chi lavora per far star meglio il popolo, per gruppi ribelli o terroristici, è oggettivamente qualcuno che lavora per il governo o per le forze alleate. Questo perché trasforma la situazione, cambia le cose, e quindi fa perdere consenso ai ribelli. Ecco perché colpirli. Le associazioni umanitarie per questo possono anche cercare una presunta neutralità. Ma devono sapere che rimangono bersagli.
Cioè non c’è nulla che una ong possa fare per posizionarsi ed evitare di essere attaccata?
Si sul posizionamento possono fare pochissimo. È un fatto oggettivo. Sono schierati per il solo fatto di andare lì a cercare di fare qualcosa. È un'evidenza, come lo è che senza ong gli afghani starebbero molto peggio.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro dell’Afghanistan?
Possiamo solo sperare che la situazione non peggiori. Dietro a questi ribelli non c’è più nessuno, non hanno appoggi internazionali veri. È una guerra tra bande, senza regole. Quindi se le cose non peggiorano sarebbe già un successo. Perché è molto facile che si trasformi tutto in un grande far west. La speranza è che una situazione turbolenta ma a macchia di leopardo sia geograficamente che in termini di orario. Quindi che esistano zone sotto il controllo del governo e che di giorno l’influenza governativa sia predominante.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.