Formazione

Parole liberate: quando la poesia germoglia in carcere

È nato nel 2014 il premio per poeti della canzone riservato alle persone detenute. Si chiama "Parole liberate: oltre il muro del carcere” ed ora è anche un'opera discografica. Michele De Lucia: «Proponiamo ai detenuti non solo di scrivere una poesia, ma di essere co-autori di una canzone, perché la lirica vincitrice viene affidata a un artista già affermato, affinché la metta in musica e la interpreti. Il carcere ha senso se serve a preparare il dopo, altrimenti è solo una palestra del crimine»

di Fabio Ruta

«Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri, poiché è da esse che si vede il livello di civiltà di una nazione», suggeriva Voltaire. E la situazione nelle carceri italiane, come ricordato in un articolo del 5 gennaio 2022 di Luca Cereda su “Vita” è assai allarmante. A situazioni croniche come quelle del sovraffollamento si sono aggiunte le restrizioni dovute alla pandemia, complicando un quadro già di per sé drammatico. Ben vengano dunque tutte quelle iniziative volte creare spazi di comunicazione e speranza che vadano oltre le mura delle carceri e superino una visione meramente punitiva della pena, aprendo le carceri ad un ruolo educativo, di promozione culturale, artistica e di riscatto sociale. Quella che segue è una intervista a Michele De Lucia, tra i promotori di “Parole liberate: oltre il muro del carcere”, che ora è divenuto anche un’opera discografica.


Come e quando nasce l’idea del Progetto – Premio “Parole liberate: oltre il muro del carcere”?
Parole liberate è un premio per poeti della canzone riservato alle persone detenute nelle carceri italiane, che ho fondato nel 2014 insieme all’autore Duccio Parodi e all’attore Riccardo Monopoli. Ci eravamo conosciuti l’anno prima nel carcere di Marassi, dove portavano in scena, per i detenuti, lo spettacolo “Se fossi Fabrizio”. Io all’epoca ero tesoriere di Radicali italiani. Abbiamo scoperto di avere la stessa sensibilità e la stessa dannata voglia di fare qualcosa. Dopo qualche tempo mi hanno ricontattato, e avevano già chiara quella che sarebbe stata la formula: proporre ai detenuti non solo di scrivere una poesia, ma di essere co-autori di una canzone, perché la lirica vincitrice viene affidata a un artista già affermato, affinché la metta in musica e la interpreti. Nel giro di qualche settimana abbiamo dato il via all’iniziativa, facendolo crescere come potevamo, da brave formichine, cercando di fare il classico millimetro al giorno nella direzione giusta. Il messaggio è: una persona detenuta non è solo il suo reato, non si esaurisce nel suo reato. Deve avere la possibilità di riscattarsi, di ricostruirsi, di tirare fuori altro. Oggi chi ha sbagliato è condannato alla pena aggiuntiva dell’emarginazione a vita. Non può, non deve essere così.

Una persona detenuta non è solo il suo reato, non si esaurisce nel suo reato. Deve avere la possibilità di riscattarsi, di ricostruirsi, di tirare fuori altro. Oggi chi ha sbagliato è condannato alla pena aggiuntiva dell’emarginazione a vita. Non può, non deve essere così.

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