Volontariato

Parlare civile andrà di moda

di Giulio Sensi

Non servono leggi speciali per affrontare l’inciviltà della rete. Ogni epoca ha i suoi problemi legati alla libertà di espressione, oggi il tema centrale è proprio la rete. Per fortuna, perché l’inciviltà è l’altra faccia di ben più importanti possibilità economiche, politiche e sociali che la rete stessa fornisce.

È osservabile, con un certo grado di approssimazione, che chi più si lamenta dell’inciviltà, spesso anonima, che regna in rete, meno comprende questo mondo. Ciò non significa che il problema non vada affrontato. Andrebbe soprattutto accerchiato.

La questione non si risolve con la censura: semmai con l’allargamento dell’accesso alla rete. Come dire: più persone partecipano, meno l’inciviltà fa rumore. Ma non solo: è un lavoro educativo alla cittadinanza responsabile e rispettosa da svolgere in ogni luogo.

Ma bollarla come “inciviltà di pochi” sarebbe un errore: nei toni razzisti denunciati da Laura Boldrini o ascoltati contro il Ministro Cécile Kyenge, o contro i gay, non c’è solo volgarità: c’è un substrato di razzismo e chiusura che è anche una reazione di un certo tipo alla crisi.

In uno splendido libro intervista a Nadia UrbinatiLa mutazione antiegualitaria– uscito per Laterza e curato dal giornalista Arturo Zampaglione, si riflette in profondità su questo tema: perché, mentre le diseguaglianze minano la stessa democrazia e i diritti fondamentali in Italia e nel mondo, emerge una reazione di chiusura e un’interpretazione del diritto come patrimonio esclusivo di un gruppo etnico e geografico? “Il diritto è nostro e ci facciamo quello che vogliamo”. Di questo passo si ucciderà in nome del diritto. Un film già visto.

Oggi la sfida della politica, anche rischiando l’impopolarità, è quella di affermare che il diritto è e deve essere anche uno strumento di difesa delle minoranze. Le reazioni alla nomina del Ministro Kyenge non sono altro che l’emergere, prendendo a pretesto questo fatto, di un sentimento molto diffuso ed anche piuttosto trasversale. Va affrontato subito, perché il terreno frana sotto i piedi del diritto e della civiltà: proprio come un domino, i sentimenti discriminatori stanno facendo breccia fra le persone. Certa politica e certo giornalismo ne sono il detonatore.

Va affrontato subito, partendo proprio dai linguaggi. Un lavoro che ormai è patrimonio di un pezzo importante di società civile e di mezzi di informazione italiani. Va rilanciato e diffuso, senza rivalità né gelosie. Il grande Franco Bomprezzi, insieme ad altri colleghi e compagni di viaggio, da tempo lavora in prima linea sul fronte della disabilità con questo obiettivo. Qualche giorno fa ha scritto un articolo/appello che va in questa direzione ed ha proposto, ancora prima, una moratoria sugli insulti, dopo un’infelice battuta di Marco Travaglio.

Questi appelli vanno rilanciati in ogni luogo.

Letteratura e strumenti per lavorare alla ricostruzione di una “civiltà delle parole” ne esistono ormai molti. Due libri preziosi sono appena usciti.

Clandestini” di Giulio Di Luzio è un viaggio di precisione chirurgica fra le parole che marcano lo stigma della colpa fra i migranti italiani. L’autore le prende in mano una per una: le analizza e scompone, cercando di dimostrare come la scelta e l’enfasi delle parole -da Aggressione a Zingaro, passando per Barbarie e Invasione e lo stesso Clandestino– possano essere i mattoni di un’architettura della discriminazione capace, quella sì, di accogliere tutti. Ne rilegge più di ottanta, de-costruendole e liberandole.

“Parlare civile” edito da Bruno Mondadori e curato da Redattore Sociale è la prima inchiesta giornalistica, sociale e linguistica che approfondisce con la lente del linguaggio i temi a rischio discriminazione –disabilità, genere, immigrazione, povertà ed emarginazione, prostituzione, religioni, minoranze e salute mentale. Un viaggio attraverso le parole che dovrebbe diventare patrimonio comune anzitutto di coloro che le usano come materia prima per lavorare (giornalisti e comunicatori), ma in definitiva di tutte le persone, a cominciare da chi trasmette insegnamenti e valori ai giovani.

C’è un lavoro enorme da fare, e da continuare, con determinazione e convinzione e tutti dobbiamo sentirci autori di un nuovo “vocabolario della civiltà”. Prendiamo il degrado come occasione per un rinascimento del linguaggio inclusivo. “Parlare civile” andrà di moda.

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