Lavoro sociale/lavoro povero

Parlano i giovani: care cooperative sociali, ecco perché ce ne andiamo

Per la prima volta uno studio analizza le ragioni alla base dell’alto turnover all’interno delle coop, dando la parola a quasi 1.200 under 35. A volerlo due consorzi lombardi: Consolida di Lecco e Sol.Co. di Sondrio

di Stefano Arduini

È vero che il lavoro sociale è sempre meno attrattivo per i giovani? Quali sono le motivazioni che producono questo disamoramento? E ancora: come farvi fronte affinché non “salti” la catena del valore della cura nei territori e nelle comunità? Come i lettori di questo magazine e di vita.it sanno, sono domande cruciali e all’ordine del giorno, nel momento in cui cresce fortemente la necessità di professionisti in ambito educativo, socio-sanitario e assistenziale (educatori professionali, assistenti sociali, infermieri, Asa, Oss) a cui il privato sociale — ma non solo, il fenomeno con intensità differenti riguarda anche il settore pubblico e quello privato for profit — fatica a rispondere.

Domande che per la prima volta vengono rivolte ai diretti interessati: una platea di oltre mille under 35. Il merito va a due consorzi lombardi: Consolida di Lecco e Sol.Co di Sondrio che insieme a Confcooperative dell’Adda e con il sostegno della Fondazione comunitaria del Lecchese e della Fondazione Pro-Valtellina hanno affidato ad Euricse una ricerca che ha messo il faro su aspettative e problemi della nuova generazione di cooperatori sociali e sulle dinamiche di turn over nelle cooperative sociali. Lo studio è stato curato dai ricercatori di Euricse Sara Depedri, Martina Bonazza ed Elia Lattari.

Il primo dato che emerge, per nulla scontato, è l’alto numero di lavoratori under 35 che hanno deciso di rispondere al questionario proposto: 1.161 lavoratori distribuiti in 24 cooperative aderenti ai consorzi, nei territori di Lecco e Sondrio. Segno che i i giovani sono ben disposti a partecipare al processo di riflessione sul futuro lavorativo quando vengono interpellati. Come infatti, hanno dimostrato le riflessioni degli under 35 intervenuti nei due eventi di presentazione che si sono tenuti a febbraio nei due capoluoghi lombardi: Marta Corti (assistente sociale), Laura Marinello (educatrice professionale), Andrea Ronconi (progettista) e Veronica Maione (assistente sociale).

Le dimissioni volontarie

«Il dato da cui partire, riferito al 2022», esordisce Depedri, «è quello del turnover in uscita che si attesta al 28,3% nel complesso e sale ai 35,8% per gli under 35, dato che per tre cooperative supera addirittura il 50%». Ma perché i giovani hanno lasciato? Ancora Depedri: «Il 53,6% per scadenza dei termini del contratti, e questo apre una riflessione sulla tipologia di ingaggio che viene proposta alle nuove generazione, ma forse è ancor più significativo il 44,8%, ovvero la quota del turnover giovanile relativo alle dimissioni volontarie».
«Va rilevato», precisa la ricercatrice, «che il fenomeno riguarda maggiormente le cooperative di medio-grande dimensione piuttosto che le piccole e che si acuisce nell’ambito educativo. Si tratta di un turnover in uscita spesso non coperto da quello in entrata, il che determina mancanza di personale che ha conseguenze su determinati servizi».

Il fascino dei lavori di cura

Da tenere in grande considerazione un altro aspetto centrale: nonostante i dati sopra citati, i lavori di cura mantengono ancora un’alta attrattività fra le giovani generazioni: «Lavorare in un ente di Terzo settore rappresenta , per quasi un lavoratore su tre, un criterio prevalente di scelta per il proprio ingresso nel mercato del lavoro, vista sia la coerenza degli ambiti di operatività che la responsabilità sociale di questi enti, rilevata dai giovani lavoratori come un tratto rispondente alle proprie motivazioni personali. La caratteristica che ha maggiormente attratto durante il processo di selezione è stata ancora l’utilità sociale del lavoro, implicita anche nelle mansioni e nel ruolo offerto in sé. Il lavoro di cura offerto risulta -nella sua descrizione generale- anche un elemento rafforzativo della propria identità professionale e sociale: è visto dalla maggioranza dei giovani lavoratori, almeno in sede iniziale, come un modo per acquisire conoscenze e sentirsi orgogliosi».


Salario e coinvolgimento

Quindi si entra volentieri in un contesto di lavoro sociale. Ma poi cosa succede? I ricercatori spiegano che sostanzialmente sono due i punti deboli . Il primo: in mancanza di «un adeguato coinvolgimento dei lavoratori nelle dinamiche organizzative e nei processi decisionali o di definite strategie rispetto ai processi di carriera, il rischio di uscita si fa più elevato». Il secondo punto è la questione contrattuale, e in particolare salariale: «La retribuzione è ritenuta dai giovani lavoratori delle professioni di cura come altamente inadeguata, sia in generale sia rispetto alla propria formazione (giudizio di 4 su scala da 1 a 10). Il trattamento economico non è percepito comunque come un elemento di iniquità nelle politiche organizzative o la conseguenza dell’applicazione di pratiche retributive che discriminano tra lavoratori: l’equità procedurale e generale in cooperativa sono buone. Inoltre, la propensione all’uscita dei giovani cresce di fronte a contratti part-time, al mancato riconoscimento delle ore lavorate al di fuori di quelle di pura prestazione, e alle limitate prospettive di carriera.

Il video della presentazione della ricerca a Lecco

La concorrenza della PA

Ma quando i cooperatori under 35 decidono di cambiare contesto lavorativo dove guardano? La pubblica amministrazione in settori coerenti con la formazione è l’approdo preferito di quasi quattro giovani su dieci (37.1%). Si tratta di un comparto che generalmente offre remunerazioni più alte e condizioni di lavoro ritenute meno stressanti a parità di mansione. Non sorprende dunque come il 42% delle cooperative interpellate consideri la Pubblica Amministrazione un competitor. I giovani intervistati sceglierebbero solo in percentuali più residuali il lavoro autonomo (18,1%), l’impresa privata (14%) o altri enti del Terzo settore (12,7%), la pubblica amministrazione, ma con ruoli non “sociali” (10,3%) oppure ambiscono a diventare imprenditori sociali (7,5%). Il 16,8% dichiara «difficilmente me ne andrei», mentre resta consistente chi risponde «non so» (28%).
Il lavoro di analisi di Euricse si conclude con un invito che ci sentiamo di condividere: «Rispondere alla domanda crescente di servizi e al diversificarsi o acuirsi dei bisogni e delle problematiche della comunità con risorse umane insufficienti o eccessivamente esposte al turnover non è sostenibile nel lungo periodo. Pianificare le strategie che agiscano sull’intercettazione e sulla fidelizzazione dei lavoratori nelle professioni di cura deve essere un obiettivo condiviso della pubblica amministrazione e del privato sociale».

Dove scaricare la ricerca
La versione integrale della ricerca di Euricse “Lavorare in cooperativa oggi — La voce dei nuovi professionisti della cura e il turnover nelle imprese sociali” è scaricabile gratuitamente. A febbraio lo studio è stato anche presentato in due momenti pubblici: il 15 febbraio a Lecco e il giorno seguente a Sondrio con gli interventi, oltre a quelli dei ricercatori di Euricse, di cooperatori, rappresentati istituzionali ed esperti moderati dal direttore di Vita Stefano Arduini. In entrambi i casi hanno preso la parola anche giovani lavoratori. Le conclusioni sono state a cura del presidente di Confcooperative dell’Adda, Gabriele Marinoni.

In apertura: un’immagine scattata in occasione di una delle due presentazioni

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