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Parla monsignor Biguzzi. Riconciliazione per ricominciare
In Sierra Leone si è combattuta una guerra civile lunga dieci anni che ha prodotto 40mila morti e 2 milioni di sfollati. E in Ruanda...
E’ un segnale di pace, e viene dall?Africa. Emerge faticosamente da una delle vicende più buie dell?ultimo decennio: una guerra brutale e feroce, con 40mila morti, 2 milioni di sfollati e profughi, migliaia di persone mutilate, oltre 5mila bambini soldato. In Sierra Leone, il 14 aprile sono iniziate le prime udienze della Commissione verità e riconciliazione: le vittime potranno parlare di ciò che hanno subìto, e chi ha preso parte ai crimini potrà confessare le proprie responsabilità. È solo l?ultima tappa di un lungo lavoro di ricostruzione di un tessuto sociale, lacerato da una guerra civile durata dieci anni, dal 1991 al 2000. Sì, perché la Sierra Leone non è stata solo teatro di atrocità, ma è anche una delle fucine di dialogo del continente, dove molte forze hanno cooperato per risanare le ferite, mirando al traguardo della riconciliazione nazionale. Uno dei protagonisti di questo percorso è monsignor Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni.
Vita: Una buona notizia per l?Africa?
Mons. Giorgio Biguzzi: Indubbiamente. Il processo che si sta concludendo in questi giorni è iniziato molto tempo fa. L?istituzione di una Commissione verità e riconciliazione che facesse luce sulle atrocità del conflitto era una delle clausole del trattato di pace firmato nel 99. La sua nascita è stata accompagnata da un lavoro di sensibilizzazione fra la gente, compiuto dalle ong e dai membri di questa commissione. Dopo diversi problemi finanziari e di organizzazione interna, inizia la fase importante, l?ascolto delle persone coinvolte nel conflitto.
Vita: Di cosa si tratta?
Biguzzi: Chi ha compiuto i crimini e chi li ha subiti potrà venire a raccontare ciò che è successo. Il compito della Commissione non è quello di punire i colpevoli, ma di portare alla luce la verità e le cause profonde del conflitto. Alla fine delle audizioni produrrà un rapporto e una serie di raccomandazioni vincolanti per il governo: riguarderanno il risarcimento delle vittime e una serie di misure per prevenire nuove violenze.
Vita: Sarà una Commissione verità e riconciliazione simile a quella del Sudafrica dopo l?apartheid?
Biguzzi: Il meccanismo della Commissione è diverso, anche perché profondamente diverso è il contesto storico e sociale. In Sudafrica c?era un problema razziale, che in Sierra Leone non esiste. La Commissione presieduta da Desmond Tutu aveva il potere di conferire un?amnistia individuale a chi veniva a confessare. In questo caso invece è già stata concessa un?amnistia generalizzata, tranne che per i colpevoli dei crimini più gravi, che verranno giudicati da una Corte speciale penale istituita ad hoc. Un Paese come la Sierra Leone si trova davanti a due problemi: evitare l?impunità e nello stesso tempo evitare nuovi conflitti ricomponendo il tessuto sociale.
Vita: Ma questi organismi non rischiano di calare gli interventi dall?alto senza una partecipazione della popolazione?
Biguzzi: Il processo politico sfociato nella Commissione è stato accompagnato da un grande lavoro a livello sociale da parte della società civile, delle ong e dei leader religiosi. Tutte queste forze hanno contribuito a formare un background determinante.
Vita: In Sierra Leone c?è un Consiglio interreligioso, di cui lei fa parte, che ha giocato un grosso ruolo negli accordi di pace…
Biguzzi: Durante il conflitto, il consiglio interreligioso (nato nel 97, ndr) ha goduto della fiducia di tutti per la sua capacità di stare al di sopra delle parti, si è impegnato nel creare canali di dialogo fra ribelli e forze governative, ha lavorato per il disarmo e, dopo gli accordi, ha continuando a promuovere iniziative di riconciliazione nelle comunità e dei villaggi.
Vita: In Sierra Leone il 70% della popolazione è di religione musulmana. La guerra in Iraq ha compromesso in qualche modo questa esperienza positiva?
Biguzzi: Qualcuno ha cominciato a dire che i cristiani stavano facendo la guerra ai musulmani. Ma tra la gente stessa è emersa la consapevolezza che non si trattava di uno scontro fra religioni. La condanna della guerra in Iraq è stata pressoché unanime.
Ruanda. L?ora del perdono?
Aprile 1994: le milizie hutu supportate dal governo ruandese scatenano la mattanza contro i tutsi. In meno di cento giorni vengono massacrate 800mila persone, per la maggior parte tutsi. Aprile 2003, nove anni dopo, il ritorno: migliaia di persone in libertà condizionata proveranno a riprendere una vita normale.
A gennaio il governo ha dato il via alla fase decisiva di un programma di smobilitazione che si concluderà con il reinserimento nella società delle persone accusate di aver preso parte, in un modo o nell?altro, al genocidio. Gerard Uwize nel 94 è stato forzatamente arruolato nelle milizie hutu e coinvolto nell?uccisione di una persona che conosceva: “È un grande peso sulla mia coscienza. Non so se qualcuno dei familiari sia sopravvissuto. In questo caso potrebbero odiarmi al punto da volermi uccidere. Ma devo provare lo stesso a chiedere il loro perdono”. In questi giorni migliaia di persone come Gerard stanno tornando nei propri villaggi dopo aver trascorso un periodo di due mesi nei ?campi di solidarietà?, luoghi di rieducazione che hanno il compito di accompagnare il reinserimento.
A rendere, però, la situazione delicata è anche il numero elevato di persone rilasciate: 19mila. Secondo Alphonse Mbaraga, della Caritas, finora sono state processate solo 6mila persone su 100mila. A gennaio sono stati rilasciati gli anziani sopra i 70 anni, i malati cronici e chi aveva meno di 16 anni al momento della carcerazione. A febbraio, invece, quelli che hanno commesso reati minori, ma che hanno confessato e scontato già sei anni di carcere.
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