Cultura
Parla monsignor Biguzzi. Rai di guerra dovè scoppiata la pace
Il caso Report. La rivolta delle ong. La trasmissione della Gabanelli ha gettato unombra sul suo lavoro e sul suo impegno a fianco dei bimbi soldato.
“Un documentario sbrigativo e superficiale che sta facendo tanto male”. Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni, 27 anni trascorsi in Sierra Leone, è amareggiato. La puntata di Report andata in onda il 22 ottobre, lo ha profondamente ferito. Così ha preso carta e penna e ha scritto al presidente della Rai, Antonio Baldassarre per comunicargli il suo sdegno e chiedergli «il dovere della riparazione». Ma chi è Giorgio Biguzzi? È un monsignore un po? trafficone e un po? pasticcione presentato dalla trasmissione di RaiTre o è un uomo che ha giocato tutta la sua vita per aiutare questo angolo sperduto e dimenticato della terra? Domanda retorica. Basta ripercorrere la storia recente della Sierra Leone per trovarlo sempre in prima linea a cercare di risolvere le piaghe più drammatiche, in primis quella dei bambini soldato. «Peccato che l?autore del filmato abbia raccontato che nel centro della Caritas non ci sono i bambini, senza spiegare l?antefatto», incalza Biguzzi. «Quell?edificio non era concepito per essere una residenza ma una scuola. I bambini non ci sono, perché sono nelle famiglie. C?erano invece gli ex combattenti, ragazzi dai 18 in su, che avevano bisogno di imparare un mestiere. Abbiamo cominciato a dare a questi adolescenti e giovani nozioni di meccanica, falegnameria, di lavorazione dell?argilla. Il documentario dice semplicemente ?i bambini non ci sono?».
Insieme a lui Vita ha provato a ristabilire un po? di verità.
Vita: Eccellenza, iniziamo proprio dai bambini soldato. Qual è oggi la loro situazione?
Giorgio Biguzzi: In Occidente c?è chi ha usato l?espressione ?generazione bruciata? parlando di questi bambini. Io non credo sia così. Questi ragazzi hanno sofferto moltissimo. Le bambine hanno sofferto anche per le violenze sessuali. Eppure la maggioranza di loro sta rientrando bene nella società, e in tempi per noi sorprendentemente brevi. Ora che non vivono più in un regime di violenza e di sofferenza fisica, che hanno da mangiare e possono andare a scuola, giocare, avere una famiglia, dimostrano una volontà fortissima di vivere come tutti gli altri adolescenti. Questo è un motivo di speranza per noi, anche se sarà difficile superare completamente l?orrore subito, e molti ne porteranno sempre i segni.
Vita: Dopo dieci anni di guerra e di massacri, come vive la gente in Sierra Leone?
Biguzzi: In pace e relativa sicurezza. Al punto che se qualcuno arrivasse adesso in Sierra Leone stenterebbe a credere agli episodi di violenza di cui il Paese è stato teatro solo fino a un anno fa.
Vita: Calma apparente?
Biguzzi: Non proprio. Motivi di speranza sono insiti nella popolazione stessa, che sta dimostrando capacità di andare oltre l?orrore subito. Gli ex combattenti vivono in mezzo alla popolazione civile, senza che ci siano attriti. La città dove vivo, Makeni, è stata l?ultima roccaforte dei ribelli. Una grossa fetta di loro, circa un migliaio, è rimasta. La gente sa cosa hanno fatto, sa delle violenze e delle atrocità, eppure ci si incontra per la strada, al mercato, nei luoghi pubblici, e non ci sono vendette. Anche la vita politica e sociale sta riprendendo in modo normale: a maggio ci sono state elezioni, condotte pacificamente, e c?è un nuovo parlamento.
Vita: La riconciliazione è profonda?
Biguzzi: Rimangono diverse incognite all?orizzonte. Viene spontaneo chiedersi se la stabilità attuale sia motivo di convenienza o volontà reale di imboccare una strada diversa. Al momento gli aiuti internazionali stanziati per la ricostruzione del Paese creano lavoro. I Paesi donatori hanno messo delle clausole, specificando che deve essere impiegata anche una percentuale di ex combattenti. Ma quando la ricostruzione sarà finita, insieme al boom edilizio, potrebbe crescere la disoccupazione, e quindi l?instabilità sociale.
Vita: La Sierra Leone è un Paese a maggioranza islamica. Che è successo dopo l?11 settembre dello scorso anno?
Biguzzi: I cristiani e musulmani convivono pacificamente, spesso anche all?interno di una stessa famiglia. Nella stessa Caritas di Makeni abbiamo operatori musulmani. La metà dei miei preti è di famiglia musulmana. La tendenza, specialmente dopo l?11 settembre, a utilizzare la religione per radicalizzare le divisioni è presente anche in Africa e fonte di preoccupazione. Ultimamente, anche attraverso gli aiuti umanitari, vedo arrivare rappresentanti di Paesi in cui predomina una linea fondamentalista: Iran, Libia, Nigeria. Anche tra i 17mila soldati Onu presenti, molti provengono da nazioni islamiche, come Pakistan e Bangladesh. Spero che l?esperienza di convivenza con cui vengono in contatto possa rappresentare l?esempio di una via diversa.
Vita: In Sierra Leone c?è un cammino verso la pace che chiama in causa società civile e Chiese. Come è nato ?
Biguzzi: L?organismo che ha più guidato il Paese verso la pace è stato il consiglio interreligioso della Sierra Leone. Esiste in diversi Paesi, ma qui ha un ruolo particolarmente significativo. È composto principalmente da leader religiosi musulmani e cristiani. Fin dall?inizio del conflitto e soprattutto nelle sue fasi più acute ha cercato la risoluzione attraverso il dialogo opponendosi alla logica delle armi. È arrivato a riunirsi anche tutti i giorni, in una certa fase. Ha avuto successo grazie alla sua imparzialità e alla sua autorevolezza, acquistandosi la fiducia del governo, dei ribelli e della società civile. Attraverso iniziative di mediazione, a volte molto rischiose, si sono accompagnate le parti fino alla pace.
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