Famiglia

Parla la responsabile del Coordinamento servizi affido L’operatore è overbooking

Parla la responsabile del Coordinamento servizi affido

di Benedetta Verrini

Gli enti locali preferiscono inserire un minore in comunità invece che in una famiglia affidataria. Anche se costa molto di più. Perché? «Mancano gli strumenti per rendere questa scelta percorribile. A partire dal disagio degli operatori»

Non si stupisce, Liana Burlando, responsabile del Coordinamento nazionale servizi affido, che i servizi comunali preferiscano l?assistenza residenziale all?affido. Per farsi capire spiega come funzionano le cose. «Prenda un operatore, magari part time, certamente oberato di lavoro. Di fronte a un minore in difficoltà, se sceglie l?affido familiare deve: selezionare e formare un vivaio di famiglie disponibili, reperire la coppia giusta, fare l?abbinamento, seguire la fase dell?inserimento nel nuovo contesto familiare, recarsi o interessarsi giornalmente della situazione, almeno nei primi mesi. Se invece per lo stesso minore sceglie una struttura residenziale, basta una visita al mese. A volte solo una telefonata».

Per la Burlando, responsabile del Coordinamento nazionale servizi affido, questo è un tema caldo. «C?è un grande avvilimento in tutti noi», ammette. «Nel nostro Paese manca un investimento sul personale dei servizi, e contratti che consentano di lavorare in équipe con i colleghi dei servizi sanitari e l?autorità giudiziaria per un intervento globale di prevenzione». Mancano, in tanti Comuni italiani, dei servizi affido specialistici. Mancano protocolli d?intesa tra Asl, Comune, autorità giudiziaria. Manca una strategia di sensibilizzazione delle famiglie disponibili all?affido che non abbia il carattere dello spot, ma sia ricorrente e continua. Soprattutto, mancano risorse significative in tutti i Comuni per le famiglie che scelgono di fare questa esperienza di solidarietà. «Un ente dovrebbe mantenere gli impegni presi con una famiglia», sottolinea la Burlando. «Visto che chiediamo tanto, dovremmo dimostrare di fare tutto il possibile per loro. Oltre ai contributi, sarebbe necessaria un?assicurazione, una rete di altre famiglie, sostegno psicologico, esenzioni dal ticket sanitario, mense scolastiche gratis, visite pediatriche e ortodontiche gratis, e così via». Un miraggio, rispetto alla realtà quotidiana di chi vive l?affido. E una pesante frustrazione per chi con queste famiglie lavora.

La scelta prioritaria della struttura residenziale, che costa dagli 80 ai 120 euro al giorno, una voce di costo pesante per un Comune, crea un circolo vizioso: «I soldi spesi per la comunità impediscono la realizzazione di progetti alternativi, come le campagne per l?affido e la formazione delle famiglie», prosegue. «Dopo l?entrata in vigore delle norme sulla privacy abbiamo persino avuto problemi di comunicazione: i consultori non volevano consegnare la documentazione ai servizi sociali, cosa paradossale perché anche noi siamo vincolati alla riservatezza». I protocolli d?intesa tra settori «cominciano a svilupparsi, ma sono esperienze localistiche. Senza un?indicazione chiara a livello nazionale, ogni realtà fa a sé».

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