Mondo

Parla la portavoce dell’ente umanitario. La grande sete di Bassora

A Erbil in Kurdistan un ufficio si occupa di dare vestiti e coperte agli sfollati in fuga verso le montagne.

di Redazione

Gli assettati di Bassora, i feriti di Bagdad e gli sfollati del Kurdistan. Oggi la battaglia della Croce Rossa internazionale contro la tragedia della guerra in Iraq si gioca su questi tre campi. Ma non solo. Gli operatori della Croce Rossa internazionale infatti sono in Iraq da 23 anni. Pochi giorni fa, per esempio, 800 prigionieri di guerra sono stati rimpatriati. Niente a che vedere con l?11 settembre, l?Enduring Freedom di Bush, gli Stati canaglia o le armi di distruzione di massa (o presunte tali) di Saddam Hussein. “Quelli erano soldati del conflitto Iraq-Iran, una tragedia dimenticata, ma non ancora conclusa”, a dirlo è la ticinese Antonella Notari, portavoce della Croce Rossa Internazionale. Che parla dal suo ufficio di Ginevra, centro nevralgico del coordinamento della Icrc. La stanza dei bottoni dove si decidono le strategie di soccorso umanitario cui la sezione italiana ha proposto ultimamente l?invio, destinato a Bassora, di un potabilizzatore d?acqua capace, a pieno regime, di confezionare 70mila buste al giorno della capienza di un litro. Vita: La vostra esperienza in Iraq è di lungo corso: quali sono le differenze fra oggi e i vostri interventi nella prima guerra del Golfo e nel conflitto Iran-Iraq? Antonella Notari: Quest?ultima fu una guerra tremenda, dove furono impiegati migliaia di bambini soldato e che generò una quantità impressionante di handicappati, ma si combatté in trincea. I civili in qualche modo ne rimasero fuori. Il nostro intervento si focalizzò, quindi, sul rimpatrio dei prigionieri. Un buco nero che ancora oggi conta migliaia di casi irrisolti. Di persone forse ancora dietro le sbarre, forse decedute, ma di cui le famiglie non hanno notizie a distanza di troppi anni. Vita: Tre anni dopo il cessate il fuoco, ecco la prima guerra del Golfo. Come siete intervenuti? Notari: In questo caso, come del resto anche oggi, l?allarme riguardava la popolazione civile. Anche allora le bombe avevano distrutto le centrali idriche. Il rischio di contaminazione causato dalle evacuazioni incontrollate delle acque sporche era enorme. Ci siamo concentrati quindi sulla riparazione delle strutture di potabilizzazione. Vita: Che, immagino, fossero molto vecchie… Notari: Al contrario, erano all?avanguardia. L?Iraq è sempre stato il Paese più avanzato dell?area. Il problema è che erano state rase al suolo dalle bombe. Vita: Poi gli anni dell?embargo… Notari: Durante i quali i cannoni hanno continuato a fare fuoco, sia nel nord curdo, sia nel sud sciita. Fino al 1996, il nostro compito è stato quindi di rifornire il Paese di medicinali e pezzi di ricambio, visto che gli iracheni non potevano commerciare con l?estero. Con l?approvazione del programma Oil for Food hanno iniziato a comprare da soli ciò di cui avevano bisogno. Il nostro supporto è diventato più specialistico, di expertise, visto che i tecnici stranieri che lavoravano a Bagdad nel frattempo avevano lasciato il Paese, come del resto i manovali stranieri fra cui molti filippini. Vita: Un lavoro che fino al gennaio di quest?anno ha consentito la ristrutturazione di 282 impianti di trattamento idrico e 46 stazioni di raccolta delle acque residuali. Adesso però sono tornate a piovere bombe. Cosa state facendo? Notari: Abbiamo individuato tre zone di intervento. La fascia settentrionale nel Kurdistan iracheno è presidiata dal nostro ufficio di Erbil. Ad oggi abbiamo dato assistenza no food (quindi principalmente coperte per riscaldarsi e mezzi di trasporto) a un migliaio di sfollati che dalle città stanno scappando verso le montagne. Niente a che vedere con il dramma dei profughi iracheni sciiti che nel 91 si ammassarono sulla frontiera iraniana e dei quali si prese cura, su nostra segnalazione, la Mezza Luna iraniana. Vita: Gli altri due progetti? Notari: A Bagdad, ogni giorno visitiamo ospedali, cliniche e orfanotrofi per assicurarci che vi siano medicinali e attrezzature sufficienti per curare sia i soldati che i civili. A Bassora, invece, il problema è l?acqua: la centrale idroelettrica è stata danneggiata e funziona al 50%. Noi abbiamo messo una toppa alla falla portando in città generatori, che però non funzionano 24 ore al giorno. Bisognerebbe riparare la centrale, ma lo possono fare solo i tecnici iracheni: chi può assicurare loro l?incolumità? Vita: Come sono i rapporti con le autorità locali? Notari: Piena collaborazione. Vita: E con gli angloamericani? Notari: L?importante è che ci lascino gli spazi necessari per gli aiuti umanitari. Vita: Chi dovrà gestire la ricostruzione, l?Onu o gli Usa? Notari: Gli iracheni. Hanno le capacità per farlo, certo non i mezzi. Ma se mi chiede chi deve fornirglieli, le rispondo che questa è una decisione politica su cui non voglio pronunciarmi.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA