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Parla la leader di Peace Now. Quel sabato sera a Rabin Square

Sabato 11 la più grande manifestazione per la pace a Tel Aviv. Domenica 12, la Perugia- Assisi. Moriah Shlomot era presente a tutt’e due gli eventi.

di Barbara Fabiani

In prima fila sotto lo striscione «Due popoli, due Stati» che apriva la Marcia della pace, c?era Yossi Katz, parlamentare del Labour party israeliano, figura di spicco della sinistra nella coalizione del governo Sharon. Singolare scelta la sua, in una manifestazione che il governo italiano ha bollato come «faziosamente filo palestinese». Ancora più strano che, accanto a Katz, camminasse Nemer Hammad, rappresentante dell?Anp in Italia, e con lui altri esponenti venuti dalla Palestina. E poi Tamara Gozansky, parlamentare israeliana di Haddash (partito della sinistra all?opposizione) cui si sono aggiunti, sulla rocca di Assisi, Avshalom Vilan, parlamentare del partito del Meretz e la direttrice di Peace Now, Moriah Shlomot.
Sempre in testa a un corteo descritto come «anti-Israele» c?erano altri rappresentanti di associazioni della società israeliana, come Raya Rotem, direttrice di Bat Shalom, Gadi Al Gazi di Taiush e Ori Rotlevy, il capitano riservista dell?esercito israeliano tra i primi a essersi rifiutato di servire il suo Paese in azioni nei territori, e che nell?incontro di presentazione della Marcia era stato applaudito come una rock star da entrambe le delegazioni. Quanti ebrei per essere una manifestazione filo palestinese… Ebrei che non hanno avuto paura di dire la loro schierandosi contro l?occupazione dei Territori, ma ribadendo il diritto inviolabile di Israele a esistere. Partecipazioni preziose che non sono bastate, però, al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e a chi come lui continua a considerare la Marcia della pace «di parte».
Il messaggio d?incoraggiamento del Papa rivolto ai marciatori durante l?Angelus di domenica scorsa, dunque, sarebbe stato rivolto verso dimostranti faziosi; e così anche il messaggio del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
Il solo a rompere il fronte delle accuse, all?interno del Polo, è stato il presidente della Camera, Pierferdinando Casini, che ha riconosciuto la volontà dei manifestanti di offrire «testimonianza sincera di passione civile e di solidarietà nei confronti di quelle terre martoriate».
Il sindaco di Assisi, Giorgio Bartolini (Cdl), infine, ha dato ancora pessima prova di sé parlando di presunta «partigianeria» della Marcia. Lo stesso sindaco che, da quando è stato eletto si è «dimenticato» che Assisi è gemellata con Betlemme e non ha mai fatto nulla per essa. C?è della faziosità anche a voler vedere faziosità nell?altro a tutti i costi.

Moriah Shlomot, direttrice generale di Peace Now, ha preso nella notte di sabato 11 maggio un aereo da Tel Aviv per Perugia mentre aveva ancora nelle orecchie le voci di 100mila israeliani che chiedevano «Pace per la loro terra». Una trasvolata notturna, senza chiudere occhio, per portare alla Marcia della pace la testimonianza che anche nella società israeliana qualcosa di eccezionale sta accadendo.
Vita: Come è andata la manifestazione di sabato sera?
Moriah Shlomot: La verità è che noi organizzatori eravamo un po? nervosi. Dopo 19 mesi di durissima Intifada non sapevamo che risposta avrebbe avuto il nostro appello. Poi, alle 19,30, da tutti gli accessi di Rabin Square sono cominciati ad affluire dei rivoli di gente sempre più grandi. E hanno letteralmente colmato la piazza. Presto c?erano 100mila persone che hanno detto forte : «Per il bene di Israele: fuori dai territori!». È stato commovente. Tantissime persone comuni hanno voluto salire sul palco per parlare. Ad esempio, una ?nuova immigrata? dalla Russia che ha raccontato quanto Israele fosse stato un sogno per lei, e come ne fosse orgogliosa. Ma ora, dopo 10 anni, i suoi sentimenti non sono più gli stessi: si sente confusa e triste. È intervenuto anche Amos Oz, scrittore molto popolare, che ha detto chiaramente che i due popoli, israeliano e palestinese, sono molto più consapevoli dei loro leader. La gente è pronta per un compromesso. Oz ha usato una metafora: la Palestina come paziente molto malato assistito da medici codardi, che non hanno il coraggio di entrare in sala operatoria. Il paziente sa bene che quell?operazione, anche se molto dolorosa, è l?unica cosa che può salvargli la vita, ma Arafat e Sharon non hanno il fegato di fare quello devono.
Vita: Quali erano le emozioni dei manifestanti?
Shlomot: Tutti guardavamo i vicini e ci siamo detti «Cielo, siamo così tanti!». Non ce lo aspettavamo. Sapevamo che molti israeliani sono per la fine dell?occupazione, il ritiro degli insediamenti, e che vedono con favore la costituzione di uno Stato palestinese. Ma non che fossero pronti per dirlo in piazza. Quando le persone si sono viste l?un l?altra, gli animi si sono sollevati. Ora siano un soggetto del dibattito.
Vita: Avete in programma altre manifestazioni?
Shlomot: Forse non come quella di sabato, perché non abbiamo fondi sufficienti, ma promuoveremo iniziative locali e ci rafforzeremo.
Vita: Chi tra i politici era presente sabato sera?
Shlomot: C?era Avshalom Vilan, uno dei fondatori di Peace Now, oggi all?opposizione con il partito Meretz, e con lui Yosi Sarid. C?erano anche Avraham Burg, presidente del parlamento, e Yosi Bailin, entrambi laburisti.
Vita: Porteranno alla Knesset la volontà dei manifestanti?
Shlomot: Lo farà il Meretz party, che sta portando avanti una seria critica al governo. Ma se parliamo del Labour Party, allora questi dovrebbero immediatamente uscire dal governo Sharon. Lo stesso Burg dovrebbe dire chiaramente che i laburisti non possono continuare a collaborare con una destra che ci ha sempre condotto verso strade senza ritorno.
Vita: Questa manifestazione convincerà i coloni a rinunciare agli insediamenti?
Shlomot: Non credo. Ma può dare loro l?occasione di ripensarci. Sabato Oz si è rivolto ai coloni a nome di tutti: «Vorremmo riaccogliervi con un abbraccio», ha detto. Sappiamo bene che, in termini di sofferenza quotidiana, loro stanno pagando il prezzo maggiore e che pagheranno ancora di più il costo della pace. E non li abbandoneremo. Li aiuteremo a ricostruire una vita diversa, in un?altra parte di Israele e il governo dovrà dare un sostegno concreto.
Vita: Come ha reagito l?opinione pubblica palestinese alla manifestazione?
Shlomot: Piuttosto freddamente. Abbiamo contatti sistematici con alcune organizzazioni, ma ci accusano sempre di non fare abbastanza, così come noi riteniamo che loro non facciano abbastanza per condannare il terrorismo. I rapporti sono tesi ma facciamo di tutto per collaborare.
Vita: Ora miglioreranno?
Shlomot: Forse, dopo la serata di sabato hanno potuto rendersi conto che la parte di società israeliana che vuole la pace è più ampia di quanto credessero.
Vita: Cosa può fare l?Europa per contribuire alla pace?
Shlomot: La mia opinione è che Europa e Stati Uniti debbano collaborare maggiormente. Dovrebbero concertare azioni concrete, mettendo sul tavolo dei negoziati una buona proposta come hanno fatto i sauditi, o sostenere apertamente proprio la proposta saudita. E questo devono farlo congiuntamente, perché gli americani hanno la forza di portare al tavolo gli israeliani, ma non i palestinesi; così gli europei possono convincere i palestinesi, ma certamente non Israele.
Vita: Perché?
Shlomot: Se voi europei volete che il popolo israeliano e i suoi leader aprano orecchie e cuori alle vostre parole, allora dovete cambiare completamente musica. Qualsiasi cosa noi facciamo, ci sentiamo accusati di essere sempre noi i ?cattivi?. Addirittura si mette in discussione che Israele sia uno Stato democratico. Questo è inaccettabile. Non si vuol comprendere che tutto ciò che Israele sta facendo nasce da una situazione di profonda insicurezza e di minaccia della propria esistenza. Un intervento europeo sarebbe accettato più facilmente se si facesse chiarezza su questi punti.

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