Cultura

Parla il direttore della Caritas, Don Vittorio Nozza

Don Nozza dice la sua su G8, nuovo governo e posizione della Chiesa sui poveri. E dà appuntamento a tutti a Genova. Ma per il 7 luglio

di Gabriella Meroni

Non è uomo dai toni aspri, don Vittorio Nozza. Non alza la voce, non usa frasi a effetto, non pretende. La sua prosa dal ritmo pacato è piena di «vorremmo», «ci piacerebbe», «auspichiamo». Ma i contenuti del suo pensiero non possono passare inosservati. Soprattutto quando parla del prossimo G8 e della globalizzazione, per cui «si attenderebbe» dalla Chiesa una posizione più chiara di quella espressa fino ad oggi. Drizziamo le orecchie: «Mi aspetterei che la Chiesa crescesse in sensibilità verso i temi della povertà, del debito, dei conflitti dimenticati. Vorrei una scelta di campo più definita, una maggiore comprensione. E anche una preoccupazione più condivisa, perché non sembri che chi all?interno del mondo ecclesiale si dedica a questi temi lo fa come hobby personale». Non male, per il nuovo direttore della Caritas (è subentrato a don Elvio Damoli a marzo). Nozza a Genova ha già scelto di non andare, ed è stato uno dei primi a dirlo: ma andrà al meeting preparatorio del 7 luglio, sempre a Genova, per riflettere e discutere un Manifesto messo a punto con ong e associazioni di ispirazione cristiana.
Vita: Il Papa ha spesso tuonato contro il capitalismo selvaggio. Il vescovo di Genova, Tettamanzi, ha parlato di una «globalizzazione solidale». Ma allora a lei tutto questo non basta?
Vittorio Nozza: Al G8 si discuterà del futuro dell?umanità. E se è vero che la Chiesa è attenta innanzitutto alla persona umana non può chiamarsi fuori da questo dibattito. Anzi, deve entrarci con strumenti e linguaggio sempre più chiari. Una maggiore presa di coscienza dei rischi legati alla globalizzazione aiuterebbe innanzitutto le comunità cristiane locali, ma anche noi. Sarebbe un conforto.
Vita: Cosa manda a dire la Caritas ai potenti del mondo che si riuniranno a Genova?
Nozza: Un messaggio di responsabilità. Noi non ci limitiamo a denunciare le ingiustizie, che pure ci sono, né ci appassiona protestare e basta, tanto che non andremo in piazza nei giorni del vertice. È molto meglio che ciascuno di noi cominci a cambiare i propri comportamenti e stili di vita. Quanto ai governi, richiamiamo la loro attenzione su tre priorità: la riduzione della povertà, la remissione del debito, le guerre dimenticate. Spesso in questi tre ambiti le scelte dei potenti non vanno a favore dei poveri, ma contro: pensiamo solo al commercio delle armi, diretto per lo più verso i Paesi in via di sviluppo, o al disimpegno finanziario, anche italiano, sulla cooperazione internazionale.
Vita: A proposito dell?Italia, subito dopo le elezioni la Caritas si è fatta sentire per chiedere che alcune leggi del governo precedente, come quella sull?assistenza o sull?immigrazione, non fossero toccate. Cos?è, una dichiarazione d?amore per il centrosinistra?
Nozza: No, è che su alcuni temi si era obiettivamente entrati in percorsi di solidarietà che ci sentiamo di condividere. Anzi, che secondo noi andrebbero rafforzati. Prendiamo la legge quadro sull?assistenza: ha avuto il merito di introdurre il concetto dell?integrazione sociosanitaria, e della collaborazione tra i soggetti pubblici e privati, che ci sembra possa rispondere meglio ai bisogni dei poveri. Ecco perché pensiamo che cambiare rotta sarebbe un errore.
Vita: E sull?immigrazione? Il governo Berlusconi ha già annunciato che intende rivoluzionare tutto.
Nozza: Anche su questo ribadiamo il dovere di favorire la cultura dell?accoglienza e del confronto, con politiche che valorizzino il ruolo sociale, e non solo produttivo, dell?immigrato. La legge attualmente in vigore è positiva, risponde a tanti bisogni. Buttare tutto per aria e pensare di ripartire da zero non ci sembra opportuno.
Vita: Come il suo predecessore, don Damoli, anche lei viene da molti anni trascorsi in carcere come cappellano. Dopo l?ubriacatura del Giubileo, però, è calata una coltre di silenzio sui problemi dei detenuti e di indulto non si parla più?
Nozza: Si è fatto un gran polverone che ha portato solo confusione e un dibattito sterile. Non si vuole capire che riportare l?attenzione sul carcere è innanzitutto un servizio reso alla cittadinanza, perché disinnesca la bomba del sovraffollamento che potrebbe scoppiare da un momento all?altro.
Vita: Che soluzioni vede lei?
Nozza: La soluzione è una: uscire dalle ideologie e tornare a parlare di un atto di clemenza. Vale più un gesto, anche piccolo ma concreto, di milioni di parole che non hanno portato a nessun risultato se non quello di una profonda delusione.
Vita: Oggi in Italia si parla molto delle ong, tanto che sembrano loro le protagoniste della solidarietà. La Caritas come si pone in questo quadro?
Nozza: Il ruolo della Caritas è quello di essere promotrice di azioni di solidarietà verso i poveri. Non dobbiamo essere per forza protagonisti o primattori, solo assicurarci che nessuno rimanga colpevolmente escluso. Siamo come dei motorini sul territorio, degli attivatori di risorse. Questa è la nostra caratteristica, ma la carità ha tante facce. Assegnare alle ong, alle cooperative o alle associazioni il monopolio della solidarietà è inutile oltre che dannoso.
Vita: Torniamo a parlare di Chiesa. La Caritas è un organismo pastorale legato alla Cei, e in Italia compie trent?anni. Cambierà qualcosa, secondo lei, nella sua missione?
Nozza: Punto molto sull?aspetto educativo e pedagogico della nostra attività. La Caritas è nata per educare alla carità attraverso opere e servizi. è anche il programma dei prossimi quattro anni che mi vedranno alla guida di questa realtà: quest?anno lavoreremo sulla nostra organizzazione interna, in modo da aumentare l?efficienza e il raccordo tra la sede centrale e le Diocesi; l?anno prossimo lo dedicheremo all?ascolto della povertà potenziando i nostri centri di aiuto locali; il 2003 sarà l?anno in cui riflettere sul rapporto tra emergenza e quotidianità, il quarto anno lo dedicheremo al tema della spiritualità e della povertà come modo di essere. Perché è inutile discutere di globalizzazione se non si parte dal cambiamento di se stessi.

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