Famiglia

Parla don Pierino Gelmini. Che Italia minimale

"Ci siamo abituati agli stupefacenti come all’inquinamento". Uno dei più noti preti antidroga denuncia la normalizzazione .

di Giampaolo Cerri

Per festeggiare i suoi 40 anni di lavoro sul fronte della droga sono venuti in tanti a Molino Silla, giovedì 13 febbraio. Da Pierferdinando Casini, a Gianfranco Fini, al cardinal Pio Laghi, in sostituzione di un altro porporato, Etchegaray, volato a Bagdad per conto del Papa. Don Pierino gongola. Luca Volonté, capogruppo Udc alla Camera, gli ha portato in dono un fondo di solidarietà che i 70 parlamentari centristi alimenteranno ogni mese con il 10% dei loro emolumenti. Vita: Don Gelmini, 40 anni fa Alfredo, il primo giovane che le chiese aiuto: “A zi? pre? damme na mano”. Come ha visto cambiare i suoi ragazzi in questi anni? Piero Gelmini: Anche se cambiano le sostanze e certi atteggiamenti, i bisogni sono gli stessi. Oggi, con l?uso di anfetamine o di certe pasticche, molti non si sentono tossici. La cultura che abbiamo creato era quella del tossico che si bucava con l?ago. “Io non mi buco”, ti dicono oggi. È un cambio di mentalità, c?è una gran confusione è c?è una cultura dello sballo che è droga essa stessa. La ricerca del fuori di testa, dell?emozione forte è dipendenza essa stessa. Prima era un rito quasi solitario, appartato. Oggi il contrario. Oggi, vede, c?è la sentenza della Cassazione… Vita: Quella dello spinello in gita? Gelmini: Sì, proprio quella. Questi vecchi, i giudici, che dovrebbero essere saggi, si trasformano in vecchi dissennati, che continuano a togliere tutti i paletti: per cui se un ragazzo va in gita, compera hashish e lo offre agli amici, non è reato. Finirà per diventare un merito. Un tempo si offriva il panino con il salame, oggi si dà fumo. È questa cultura che pensa possa essere tutto lecito. Vita: Non le pare che oggi si parli poco di droga? Gelmini: L?abbiamo accettata, la droga, come l?aria inquinata. Una mamma mi diceva: “mio figlio è un bravo ragazzo, fuma solo qualche spinello”. Ma il rito della marijuana porta a vivere in solitudine. Sì, abbiamo normalizzato tutto…. Vita: Forse perché con il metadone non vediamo più i tossicodipendenti ?in piazza? a cercare soldi? Gelmini: Con il metadone, li abbiamo riuniti in maniera anomala e sconvolgente, perché tu vedi questi ragazzi intrippati di chimica, che non vivono ma sono zombi. E vedi queste file al Sert o nelle cooperative sociali, dove non fanno un vero lavoro e non hanno un vero stipendio. Questo è un minimalismo sociale, se il nostro obiettivo è la riduzione del danno, non indicheremo più mete, traguardi alti, difficili, per i quali val la pena lottare, fare sacrifici. Noi ci limitiamo a questo. Come quelli che vanno a scuola quel tanto che basta per imparare a fare la firma. Vita: Lei ha sempre parlato di ?cristoterapia?. Ma la Chiesa l?ha seguito? Gelmini: Sì. Ho trovato vescovi che in questo mi seguono. Il 20 ottobre 2000, quando abbiamo fatto il nostro giubileo con 30mila ragazzi, il Papa ha parlato della ?cristoterapia?. Perché io non accetto che le nostre siano comunità di recupero ma scuola e proposta di vita. A Molino, l?altro giorno, c?erano una trentina di vescovi e cento sacerdoti. Insieme a politici, amministratori, forze dell?ordine. È quello che ci differenzia da San Patrignano.. Vita: Prego? Gelmini: Noi e loro siamo gli unici rimasti a fare gesti simili. Ma là trovi solo i tecnici. Da noi ci sono tutti. Vuol dire che non è una parte, ma tutta la società a essere toccata da questo desiderio di rinascita. Vita: A San Patrignano, per la verità, non mancano mai i politici. E Comunità Incontro, invece, come va con la politica? Gelmini: Va bene. Anche se non abbiamo ottenuto risultati concreti ma io lotto per l?autosufficienza delle nostre comunità, non per i contributi. Perché troppi centri si appoggiano sui contributi pubblici e giorno verrà che lo Stato non darà più niente. Già oggi, con la devolution, è un problema. Talvolta trovi quelli che ti capiscono e ti sostengono. Altri, se ti danno un contributo, esigono centri a bassa soglia, riduzione del danno, distribuzione del metadone. E allora non c?è più ragione perché ci sia la comunità. Vita: Anche di Aids, si parla poco… Gelmini: Io continuo, invece. L?altro giorno è morta la moglie di un nostro ragazzo. Volevo dirle, guarda cosa succede in Africa: le persone muoiono come le mosche. Nel nostro ospedale boliviano abbiamo 25 malati terminali. Un dramma. Aiutare queste persone, anche a morire serenamente. La ?cristoterapia? ha fatto miracoli in questo: abbiamo ragazzi che vivono da 10 anni e dovevano morire in pochi mesi. Vita: Qualche hanno fa, mise a repentaglio la vita per testare un vaccino. Oggi, lo rifarebbe? Gelmini: Certo, bisogna fare cose concrete. Troppi chiacchierano e pochi fanno, anche nel nostro mondo. Vita: Andiamo verso la guerra. Cosa dice ai suoi ragazzi… Gelmini: Il cardinal Etchegaray mi ha chiamato nei giorni scorsi, quasi piangendo. Gli ho detto che preghiamo per lui. Quand?anche non riuscisse, avrà portato un messaggio di speranza. E di chiarezza: che non sono i cristiani a voler combattere gli islamici, che questa guerra non ha nulla a che vedere con le religioni. Ma occorre la pace fra la gente prima che fra gli Stati. Per questo, da quarant?anni, facciamo la comunità. Info: 300 mila Sono i giovani che sono passati in 40 anni nelle 162 comunità italiane di don Piero Gelmini e nelle 74 impiantate nel resto del mondo. L?opera del sacerdote si avvale anche di 180 gruppi di appoggio, costituiti dai volontari e dai simpatizzanti. In Italia il turnover residenziale riguarda ogni anno 12mila tossicodipendenti, per complessive 1.050.000 giornate (sono state oltre 13 milioni dal 1990). A terminare il programma sono, in media, 400-500 persone all?anno. Si tratta di una parte di quanti entrano in contatto con le comunità, Solo i centralini telefonici hanno registrato, nel 2002, 30mila chiamate. Info: Se sei al buio non imprecare accendi un lume


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