Formazione

Parità sì, soldi forse

Il progetto di legge sulla parità scolastica arriverà presto in Parlamento. Ma molti sono ancora i nodi da sciogliere

di Alba Arcuri

Sarà un ministro laico e di sinistra a garantire la tanto agognata parità scolastica agli istituti religiosi? Dopo 50 anni di dibattiti e di scontri, con unici protagonisti i cattolici e gli anticlericali, il ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer ha presentato, il 18 luglio scorso, un disegno di legge governativo che, per la prima volta, riconosce alle scuole non statali il valore e il carattere di servizio pubblico. Si chiameranno ?scuole pubbliche paritarie? e riuniranno gli istituti di istruzione privati, siano essi cattolici, ebraici, evangelici o laici, mentre tutte le distinzioni tra le varie tipologie legali (scuola parificata, autorizzata ecc.) verranno abbattute. Le ?paritarie?, dunque, saranno idonee a rilasciare titoli di studio o attestati con valore legale, al pari delle scuole pubbliche.

Ma i soldi chi li ha?
Promosse dunque tutte le scuole private, confessionali e non, purché dimostrino di avere i mezzi necessari a svolgere il proprio compito educativo (aule, insegnanti, strutture accessibili anche ai disabili), e siano ispirate a principi di ?democrazia e partecipazione?.

Fin qui i riconoscimenti formali, che hanno incontrato grandi consensi da più parti. Ma il punto caldo resta quello del finanziamento. Saranno infatti tre le fonti di introito per le scuole paritarie: le cosiddette ?risorse proprie?, i contributi dell?Unione europea e le ?risorse iscritte nel bilancio dello Stato?, decise, di volta in volta dalla annuale Finanziaria. «Il rinvio alla legge finanziaria ?precarizza? il problema», spiega padre Antonio Perrone, presidente nazionale della Fidae. «Le nostre scuole resterebbero ogni anno nell?indeterminatezza, in attesa di un contributo che potrebbe anche essere molto ridotto. E a rimetterci sarebbero le famiglie meno abbienti, a cui non possiamo chiedere una retta». Altro motivo di incertezza è rappresentato dalle risorse proprie, che teoricamente sono costituite da lasciti e donazioni, ma in pratica deriverebbero dalle rette pagate dalle famiglie degli alunni. «La parità scolastica è scritta nella nostra Costituzione», spiega ancora Antonio Perrone. E citando a memoria il comma 4 dell?articolo 33 ricorda che lo Stato dovrebbe garantire agli istituti privati piena libertà e agli alunni lo stesso trattamento riservato alle scuole statali. «Dunque», prosegue Perrone, «abbiamo diritto a un contributo adeguato, e non alle ?briciole? che di volta in volta vorrà riservarci la Finanziaria».

Non solo scuole cattoliche
E le altre confessioni religiose? Ebrei, islamici, valdesi e protestanti, estranei alle polemiche di questi anni, che cosa ne pensano di questo ?compromesso storico? che, almeno in teoria, favorirebbe anche le loro scuole? Le posizioni non sono del tutto omogenee, a dispetto delle aspettative. Un elemento di critica arriva dalla comunità valdese, che dice no alle scuole confessionali, e no soprattutto al finanziamento statale. Pur vantando una plurisecolare tradizione culturale e formativa in Italia, con l?avvento dell?istruzione dell?obbligo e delle scuole di Stato i valdesi hanno preferito chiudere i battenti dei propri collegi, per evitare di creare dei ghetti. Così gli studenti protestanti si sono inseriti, non senza qualche difficoltà, nelle scuole pubbliche, chiedendo l?esonero per l?ora di religione. Di scuole valdesi attualmente ne sono rimaste solo due: il Liceo Europeo classico e linguistico di Torre Pellice, in Piemonte, la roccaforte evangelica della comunità, e una scuola elementare a Palermo, che grazie alle strutture di cui è dotata è specializzata nell?accoglienza di disabili. Inoltre vi sono una decina di asili, dislocati soprattutto al sud, in Sicilia e a Napoli.

La divergenza con i cattolici ha una sua radice culturale. Mentre i primi affermano con forza il diritto a esercitare pubblicamente la propria fede, e dunque anche nelle aule, invece uno dei cardini del protestantesimo, nelle sue varie forme, è che la religione va insegnata «in famiglia e nelle chiese». Lo ribadisce il pastore Domenico Tomasetto, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche, che in una lettera inviata al ministro Berlinguer auspica un rafforzamento della scuola pubblica nella sua dimensione laica e pluralista. Una scuola in cui al posto dell?ora di religione – di qualsiasi religione si tratti – si studi piuttosto la storia delle religioni, non per indottrinare, ma per ampliare le conoscenze degli studenti. Una posizione confermata anche nell?ultimo Sinodo valdese e metodista di Torre Pellice. Il timore, spiega il documento redatto alla fine dell?incontro, è che il nuovo disegno di legge favorisca l??occupazione? cattolica delle scuole.

Una posizione più ?agnostica? l?ha assunta l?Unione delle comunità ebraiche, anche se le decisioni sulla parità scolastica coinvolgono da vicino le sette comunità del centro-nord che gestiscono scuole ebraiche. «Non abbiamo ancora elaborato un nostro punto di vista sul problema della parità scolastica», spiega Tullia Zevi, presidente della Unione, «perché il tema dell?educazione dei giovani è complesso e delicato. Aspettiamo che il dibattito parlamentare sulla proposta di legge assuma una connotazione più precisa».

L’opinione di Mario Mauro
?Libere?, non ?private?

Le scuole veramente libere sono scuole che rendono un servizio pubblico. Il progetto di Berlinguer può essere un buon punto di partenza per il riconoscimento del ruolo educativo svolto dagli istituti ?privati? . La scuola non è il catechismo, ma un luogo dove si fa esperienza della conoscenza. Nella dottrina sociale della Chiesa c?è differenza tra scuola e catechesi. Berlinguer ha colto bene questa distinzione, incontrando a Betlemme i membri dell?Università pontificia. Là il 70 per cento degli studenti è di religione musulmana. Per non parlare delle numerose scuole aperte dal cardinale di Sarajevo, dove a tutti è dato libero accesso. Anche nelle scuole statali c?è il rischio di trovare insegnanti tutti cattolici o tutti atei, ma non discute il carattere laico della scuola. Si dovrebbe mantenere la vocazione popolare delle scuole non statali, senza chiedere rette salate alle famiglie. Nell?ultimo anno molte hanno chiuso perché senza un contributo statale non ce la fanno. Affidarne l?erogazione alla Finanziaria significa rimandarla all?infinito. In alcuni istituti le suore usano la loro pensione per pagare i docenti. Ben venga un serio progetto di sostegno economico per tutte le ?pubbliche paritarie?, come sono definite da Berlinguer. Gestite da laici o da religiosi non conta se garantiscono libertà e formazione. Per anni abbiamo rifiutato l?etichetta di scuole ?private?, perché offriamo un servizio pubblico. Preferiamo scuole ?libere?, cioè meno vincolate alla burocrazia e più efficienti: Per 50 anni gli unici licei linguistici sono stati privati. Solo recentemente lo Stato ne ha istituiti alcuni. È stato lo svincolo dalla burocrazia che ci ha permesso di offrire una risposta formativa al passo con i tempi. L?auspicio è che in un prossimo futuro ogni famiglia possa scegliere liberamente la scuola per i propri figli, quella ritenuta qualitativamente più valida. Senza il problema della retta scolastica.

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