Welfare

Parità di genere? Anche sulle piattaforme è un miraggio

Per le donne, il lavoro di piattaforma è spesso un “terzo turno” che si aggiunge ai due turni del lavoro retribuito e del lavoro domestico, come spiega una ricerca pubblicata da Paola Tubaro e colleghi sulla Internet Policy Review

di Ivana Pais

Recentemente ha fatto discutere il fatto che alla New York Philharmonic le donne abbiano superato gli uomini. Questo risultato viene attribuito alle audizioni al buio: durante la prova, il musicista è coperto da un paravento, per evitare condizionamenti legati a caratteristiche personali. Le “selezioni cieche” si stanno diffondendo anche nelle aziende, che sempre più spesso chiedono curriculum senza l’indicazione di informazioni personali oppure usano avatar durante i colloqui online. Non è semplice: se anche si eliminano i dati personali, si può risalire al genere del candidato dalla declinazione degli aggettivi.
Per seguire queste procedure in modo rigoroso è necessario un lavoro attento di revisione dei curriculum prima della lettura da parte dei selezionatori. Queste soluzioni sono interessanti ma rischiano di nascondere una questione più ampia: nella società contemporanea la discriminazione non si limita al momento della selezione.

Una ricerca pubblicata da Paola Tubaro e colleghi sulla Internet Policy Review aiuta a riflettere su questa questione. Hanno studiato i lavoratori di piattaforma che svolgono microattività online: mettono etichette a immagini, registrano brevi frasi o trascrivono frammenti audio.

Apparentemente, queste piattaforme sono neutrali rispetto al genere: le aziende che caricano i progetti non hanno accesso ai profili dei lavoratori. Eppure, la letteratura mostra una differenza di reddito tra donne e uomini con la stessa esperienza e anzianità. La ricerca di Tubaro e colleghi mostra chiaramente che il lavoro di piattaforma riproduce e rinforza il sistema di disuguaglianze già presente nelle altre sfere di vita. Per le donne, il lavoro di piattaforma è spesso un “terzo turno” che si aggiunge ai due turni del lavoro retribuito e del lavoro domestico. La ricerca mostra che le donne che svolgono micro-lavori online, nella parte restante della loro giornata, dedicano 70 minuti più degli uomini a lavori domestici. L’impegno degli uomini poi non cambia al variare del numero dei figli, mentre le donne che hanno almeno 3 figli dedicano al lavoro di cura 68 minuti in più al giorno rispetto alle donne con uno o due figli. Se si guarda al comportamento sulla piattaforma, le donne si connettono con più frequenza ma con durata inferiore. Mentre gli uomini riescono a dedicare delle sessioni di una certa durata al lavoro di piattaforma, le donne inseriscono questo lavoro negli interstizi delle altre attività quotidiane e il “terzo turno” spesso erode il poco tempo libero dopo gli altri due. Gli autori ipotizzano che questa frammentarietà del tempo di lavoro impedisca alle donne di candidarsi per lavori meglio retribuiti e di cercare consigli in gruppi specializzati. La discriminazione non avviene durante la fase di selezione, ma prima e dopo.

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