Famiglia

Parigi vista da Bevinda

Ovvero una donna portoghese dell'XI arrondissement. Che ha passato la vita a fare le pulizie e a tirare su i figli suoi e quelli altrui

di Joshua Massarenti

Sono nato a Creteil, periferia sud di Parigi, ma cresciuto nella capitale, dal terzo giorno della mia esistenza. La via che per diciassette anni mi ha coperto di vizi e virtù si chiama rue de la Fontaine au Roi, via della Fontana del Re, nell?undicesimo arrondissement. Del significato toponomastico di questo luogo non mi sono mai preoccupato, senonché bazzicando sul portale del Consiglio di zona, scopro che in origine si chiamava la Via delle Fontane del Re, puntualmente ribattezzata durante la Rivoluzione francese Via della Fontana nazionale. Quando, come e perché il Re sia tornato a farsi vivo, nessuno lo sa. Forse su decisione di un monarca repubblicano, magari De Gaulle. Fatto sta che la rue de la Fontane au Roi appartiene di diritto a un arrondissement che ha fatto la storia della capitale, a partire dal 1789, quando un ricco manifatturiero, un tale Réveillon, impose una tassa sui redditi per un popolo già schiacciato dalla fame. Ma erano tempi di subbugli: i miserabili diedero vita a una ribellione che si sarebbe conclusa di lì a tre mesi alla Bastiglia, guarda caso il 14 luglio. Nel 1871, è la volta della Comune di Parigi. Scontri durissimi oppongono le truppe bonapartiste di Napoleone III e gli insurrezionalisti repubblicani (i cosiddetti ?communards?), che poi avranno la peggio: prima circondati nei quartieri est di Parigi, poi massacrati nell?undicesimo arrondissement, tra la Rue de la Fontaine au Roi (sempre lei) e il cimitero Père-Lachaise. «Questo vecchio borgo è un eroe», proclamò Victor Hugo riferendosi all?undicesimo. Il mio eroe, invece, è di tutt?altro genere. Intanto non è francese, ma portoghese. Non è un uomo, ma una donna. Una donna tutta d?un pezzo che a Parigi non trovate più così facilmente. Perché se c?era da litigare, la signora Bevinda Dos Santos, ci metteva anima e corpo. Se c?era da lavorare, si faceva in quattro. E quando c?era da difendere i propri diritti, mandava in bestia il datore di lavoro e al diavolo il sindacato. «Sia l?uno che l?altro erano ossi duri», mi disse un giorno. «Il primo aveva sempre da ridire sul mio operato, il secondo invece era troppo indaffarato con gli operai. Morale della favola, per balie e donne di pulizie come me, era sempre meglio contare sulle proprie forze». Se penso all?ultima volta che ho fatto visita alla signora Dos Santos, mi vengono i brividi. Era sei mesi fa, nel corso di un servizio che stavo facendo sulle periferie parigine, le famigerate banlieue messe a ferro e a fuoco nel novembre 2005. Sbarcare da Saint-Denis al 30 di rue de la Fontaine au Roi non faceva differenza. In entrambi i casi affrontavo storie di vita costellate da sofferenze: solo che la signora Dos Santos era serena, quasi appagata, i giovani delle banlieue no, frustrati da un orizzonte sociale offuscato. «Ho lasciato un Portogallo dove non c?era niente, se non la fame e la miseria. A Parigi mi sono rifatta una vita. Proprio qua, in questo buco». Una tana di venti metri quadrati in cui ha cresciuto due figlie. Il terzo, un maschietto, se la spassava all?aria aperta con l?eroina. «Era come suo padre, una fonte inesauribile di preoccupazioni. Di tanto in tanto mi veniva a trovare, rubava in casa e spariva». Lo stipendio se lo sudava a due passi dal domicilio, al 30 bis di rue de la Fontaine au Roi, che poi era casa mia. «Erano bei tempi. Da voi si lavorava bene, e il quartiere era vivibile, popolare, come piace a me. Oggi incontri per strada persone che nemmeno conosci, gli affitti sono saliti alle stelle e i locali spuntano come funghi». Amici e parenti si sono dati alla macchia. «Come mia figlia Maria, sono stati costretti a lasciare la città. Per i poveri qui non c?è più spazio». A bazzicare tra rue de la Fontaine au Roi, avenue Parmentier e rue du Faubourg du Temple, scopri una realtà sconvolgente. Per chi ci ha vissuto fino alla fine degli anni ?80, la trasformazione estetica e sociale del quartiere è impressionante. L?aria è sempre quella, multietnica, ma si è come appassita. Se prima potevi sbattere il muso in un ristorante ivoriano da quattro soldi o un bar gestito da un proprietario più ubriaco dei clienti, oggi primeggiano vetrine perfette quanto anonime. «La nostra epoca è morta e sepolta», ironizza Bevinda. «Siamo rimasti in pochi mohicani, spero soltanto di non essere l?ultima». Di sicuro, dall?undicesimo arrondissement, non la sposta nessuno.


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