Cui prodest? Era questa la domanda più immediata, e spesso più stupida, che media e politica usavano porre di fronte agli attentati (incomparabili, da tutti i punti di vista) che, qualche decennio fa, scuotevano in Italia la pubblica opinione e insanguinavano i marciapiedi.
Un quesito che, dovesse essere avanzato oggi, davanti al massacro di Parigi, avrebbe una risposta facile, persino scontata. Dalla strage che l’ISIS ha portato nello stadio, nelle strade, nei bar e nei ristoranti parigini, provocando decine e decine di morti, ne trarrà un beneficio politico solo il Front National di Marine Le Pen e le destre estreme. Come, a caldo, ha profetizzato Marek Halter, il filosofo francese che ha vissuto l’orrore del nazismo: «Ho una paura, che è quasi una certezza: quello che sta succedendo aiuterà la destra estrema, alle prossime elezioni guadagnerà milioni di voti. La chiamano già la guerra con l’islam. E stanno lanciando la guerra contro i rifugiati, perché i figli di quelli che scappano da Iraq e Siria vengono in Francia per uccidere. È la democrazia a essere in pericolo. La gente ha paura, e apre agli estremismi. Non è impossibile che domani ci siano attacchi contro i musulmani in Francia, o attentati alle moschee».
La nientificazione dell’altro
Una previsione che, almeno in parte, sembra già avverarsi in queste prime ore, se è vero che un incendio per rappresaglia sarebbe avvenuto nella “Jungle” di Calais, il ghetto nel nord della Francia dove sono ammassati migliaia di profughi e di disperati che vorrebbero raggiungere il Regno Unito. Intanto, Marine Le Pen ha definito l’immigrazione un’epidemia batterica. Del resto, anche da noi in passato si sono visti i Borghezio salire sui treni dei migranti con disinfettanti per pulire le carrozze dal contagio. Quando uomini e donne vengono considerati – e trattati come – insetti, vuol dire che viene negata l’altrui umanità. E se l’altro non è umano può, anzi deve, essere annullato. È successo sotto il tallone del nazismo, con la “soluzione finale” contro gli ebrei condotti alle camere a gas. È accaduto in Ruanda, dove, per preparare il genocidio del 1994, gli hutu incitavano allo sterminio degli “scarafaggi” tutsi. È successo e succede in ogni luogo dove l’uomo viene ridotto a cosa.
#porteouverte
Eppure, di fronte all’odio omicida dello Stato Islamico, oltre alla paura, che a sua volta produce aggressività e violenza, a Parigi è scattata, immediata, naturale e preziosa, una reazione di solidarietà: l’hanno chiamata #porteouverte, con i parigini che, mentre la notte era ancora straziata da sangue e confusione, hanno aperto le porte di casa ai feriti e a chi aveva timore di attraversare la città per tornare alla propria dimora.
Come in ogni guerra, anche in questa convivono e configgono il peggio e il meglio dell’essere umano. Perché, occorre dirlo, questa è una nuova forma di guerra; la definizione di terrorismo è insufficiente e persino fuorviante. Il terrorismo è un fratello minore e bastardo che reclama gli stessi diritti del maggiore, in questa Terza guerra mondiale, per come l’ha definita Papa Francesco, suscitando qualche alzata di sopracciglio, o peggio.
Le prime vittime di ogni guerra
Ma di questo si tratta. Di una guerra globale che, proprio come ormai in gran parte e da tempo fanno le guerre “tradizionali”, uccide civili. Una guerra che, come tutte le guerre, è profondamente ingiusta, muove dall’ingiustizia e provoca ingiustizia. Nasce dal calcolo e dall’odio e si nutre e si rafforza del calcolo e dell’odio che determina in reazione. Una guerra che, come tutte le guerre, vede come prime vittime la verità e i diritti umani.
Cui prodest? È una domanda spesso ottusa, che può essere persino sciacallesca. Quello che occorre chiedersi non è a chi giova, ma capire invece a chi nuoce l’odio che è stato seminato stanotte a Parigi. A patire sicuramente sono e saranno i diritti e le libertà di tutti, e per primi quelli di immigrati e rifugiati. È lì che va subito costruito un muro a difesa, pena l’escalation e la drammatizzazione dell’odio e del rifiuto, ingredienti altamente esplosivi in un mondo altamente destabilizzato.
Oggi, davvero, si può e si deve dire “Je suis Paris”. Ma, assieme, occorre riprendere a dire ad alta voce, in ogni paese e continente, qualsiasi siano la propria etnia, cittadinanza e religione, che i due immondi fratelli siamesi, guerra e terrorismo, vanno buttati fuori dalla Storia. Da subito. Per sempre.
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