Salute

Paradosso malattie rare: la cura c’è, ma lo screening neonatale no

La vicenda della piccola Gioia, che ha tre anni e la leucodistrofia metacromatica, riporta alla ribalta il tema dello screening neonatale. Gioia avrebbe potuto essere curata, ma in Emilia Romagna - dove è nata - questa malattia non viene testata diversamente che in Lombardia e Toscana. Annalisa Scopinaro (Uniamo) spiega perché

di Ilaria Dioguardi

La leucodistrofia metacromatica di cui soffre Gioia, tre anni, è una patologia neurodegenerativa, rara e progressiva. Il caso, raccontato dal Corriere della Sera di Bologna, ha acceso i riflettori sulla battaglia che la mamma Giulia porta avanti con forza: introdurre lo screening neonatale per questa patologia anche in Emilia-Romagna, dove ancora non è previsto. «Solo in Lombardia e in Toscana sono attivi progetti pilota. Questa malattia colpisce secondo le stime un bambino ogni 100mila. In Italia ci sono tre-quattro casi l’anno», dice Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo-Federazione italiana malattie rare.

Scopinaro, cos’è la leucodistrofia metacromatica?

Gli effetti della patologia sono la perdita progressiva dell’uso degli arti, dell’udito, della vista. È veramente una malattia devastante. Qualche anno fa è stata trovata una cura, grazie anche alla ricerca di base realizzata da Telethon. La cura è adesso a disposizione, però deve essere somministrata alla comparsa dei primissimi sintomi (meglio ancora prima che compaiano i sintomi) perché dopo non è più possibile fermare il progredire della patologia.

Perché lo screening neonatale per la leucodistrofia metacromatica non si fa, tranne che in Lombardia e in Toscana?

Qualche anno fa il gruppo di lavoro che ha proceduto con l’analisi delle patologie che potevano essere inserite in screening neonatale ha purtroppo dovuto scartare la leucodistrofia metacromatica, perché non c’era il test per lo screening. Avevamo una terapia, avevamo una cura, ma non c’era un test per individuare in maniera inequivocabile (attraverso il prelievo di sangue, con quello si fa lo screening neonatale) la patologia. Quindi, senza test di screening validato non si può mettere in screening perché manca la base. Questo test di screening è stato sviluppato fra Stati Uniti, Germania, Italia. Poi il test deve essere chiaramente validato attraverso dei progetti pilota, che sono partiti in Lombardia e in Toscana. Questi sono i prerequisiti indispensabili perché lo screening possa essere messo a disposizione di tutti. Come per i vaccini, prima di poter somministrare il vaccino a tutta la popolazione deve essere fatta una sperimentazione, va visto se il test è attendibile, se è abbastanza sensibile, se non dà troppi falsi positivi. Noi vediamo sempre solo il bene dello screening, perché pensiamo ai bambini diagnosticati, io per prima. C’è un però di cui tenere conto.

Quale?

Proviamo a immaginare se ci fossero tanti falsi positivi. Le viene comunicato che suo figlio, appena nato, ha una patologia gravissima, potenzialmente mortale, e poi le viene detto: «No, ci siamo sbagliati, non è vero». Questo è uno dei motivi per cui, in buona parte dell’Europa, non si fanno molti screening neonatali: perché per lungo tempo la paura del falso positivo ha frenato anche la conoscenza. Il numero di screening neonatali che si fanno in Italia è 49, fuori dall’Italia si arriva a 12-13. Questo per noi di Uniamo è una cosa inconcepibile. Io preferisco mettere in conto che ci possa essere uno shock per un genitore, per poi dirgli che il figlio sta bene e intanto comunque salvare 10 bambini che la patologia ce l’hanno piuttosto che il contrario… però non tutti la pensano esattamente come noi.

Quindi ci sono le condizioni per estendere i progetti pilota?

Come dicevo, il test di screening deve essere validato. I progetti pilota sono partiti da poco tempo, in Lombardia e in Toscana. Ad oggi ci sono le condizioni perché il gruppo di lavoro dello screening possa prendere la patologia e fare il dossier, per poterlo poi inserire in screening neonatale esteso. Fino al momento in cui non succede questo, lo screening è facoltativo per le regioni, ognuno decide per conto suo in base ai fondi che ha. Perché la normativa nazionale può arrivare solo dopo che è stata fatta tutta la procedura. Come per i Livelli essenziali di assistenza – Lea: prima si fa l’analisi della domanda, poi questa viene inserita in un decreto, che va in Conferenza Stato regioni, eccetera. Qui è la stessa cosa.


Non è che schioccando le dita, da domani, si può fare lo screening dappertutto, per la leucodistrofia metacromatica. È una realtà non cruda, di più. Ci deve essere una decisione da parte di un governo regionale, uno stanziamento di fondi. È chiaro che per noi questa sarebbe la priorità numero uno. Allo stesso tempo Uniamo ha fatto un’altra cosa.

Quale?

Ha incitato le aziende farmaceutiche che sviluppano trattamenti risolutivi a procedere in parallelo anche a sviluppare dei test di screening, se la malattia rientra in quelle che hanno le caratteristiche per poter entrare nello screening neonatale. Perché se le aziende farmaceutiche hanno in sviluppo un trattamento, ma tutto il resto del sistema non è pronto, abbiamo queste situazioni. Di chi è la colpa? Dell’azienda che non ha sviluppato il test di screening? Dello Stato che non riesce a fare pratiche burocratiche veloci, nel momento in cui esistono trattamenti risolutivi? Delle regioni che non trovano i soldi per finanziare gli screening? Ho detto chiaramente alle aziende farmaceutiche che è inutile che facciano dei trattamenti e poi dicano: «Adesso ci vuole lo screening». Devono fare anche il test, loro hanno i soldi per pagarli e per farli sviluppare. La cosa più logica infatti sarebbe fare in modo che, quando arriva il trattamento esista già anche un test di screening validato e sia facile quindi iniziare le pratiche per poter inserire la patologia in screening.

Gli screening neonatali sono attivi in Italia dal 2016, per 49 patologie. Ma questo in teoria. Ad esempio, la regione Calabria è entrata a regime con lo screening solo a fine 2023. Quindi, nel frattempo, i bambini che nascevano con una patologia metabolica in Calabria erano bambini che non avevano lo screening. Chi sta dentro questi mondi ha fatto un po’ la “scorza” a queste cose, anche se chiaramente sono cose che ci toccano molto da vicino. Però dobbiamo anche guardare il sistema nel suo complesso.

Ci racconti, se vuole.

Io sono mamma, ho un figlio con disabilità generica complessa. C’era una legge che imponeva alle regioni di applicare lo screening neonatale esteso, per cinque-sette anni alcune regioni non l’hanno applicato. Quindi tra i bambini che nascevano con una patologia in quella regione, nove su 10 avevano forti danni, se non morivano.

Circa un bambino ogni 100mila nasce con la leucodistrofia metacromatica. In Italia nascono circa 350mila bambini l’anno, hanno questa patologia tre-quattro nuovi nati

Torniamo a Gioia. Quanto è diffusa la sua malattia?

Per fortuna pochissimo, circa un bambino ogni 100mila nasce con la leucodistrofia metacromatica. In Italia nascono circa 350mila bambini l’anno, hanno questa patologia tre-quattro nuovi nati. Io di Gioia so quello che ho letto sui giornali e non so neanche se la bambina avrebbe potuto essere messa sotto terapia, c’è fenotipo e fenotipo. Le faccio un esempio. Quando c’è stato l’inizio dei trattamenti con la terapia genica per la Sma, e poi c’è stato un caso di un bambino morto con questa patologia, si sono levati gli scudi, dicendo che se avessimo avuto lo screening neonatale il bambino si sarebbe salvato. In quel caso lì c’era un bambino che aveva una Sma di tipo 0 e che, anche con il miglior trattamento di questo mondo, sarebbe comunque morto.

Bisogna anche cercare di capire bene ogni caso specifico, perché non per tutti le terapie valgono. Questo è un messaggio che è importante dare. Non è vero che se ho il trattamento per la Sma, salvo tutti i bambini che hanno questa malattia. Se dico così, si alimentano delle speranze nei genitori che non sempre possono essere soddisfatte. Anche qui, nel caso della leucodistrofia metacromatica, il trattamento è uno solo, però bisognerebbe capire quali sono le condizioni della bambina e perché la malattia è progredita tanto velocemente.

La mamma di Gioia, sulle pagine del Corriere della Sera, ha detto: «Mia figlia non può essere più salvata, ma vorrei che non succedesse mai più».

Nel caso specifico, ripeto, solo i medici possono sapere se questa bambina poteva salvarsi. Detto questo, sono la prima a sperare che lo screening per la leucodistrofia metacromatica venga messo nel sistema di screening quanto prima, in tutta Italia.

Foto di Marcel Fagin su Unsplash

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