La “bomba badanti” è innescata ormai da tempo. Non verrà fatta detonare con interventi strutturali nel sistema dell’assistenza che ha creato in questi anni una sacca di lavoro nero pari all’80% del totale (e c’è ancora chi incolpa le badanti o le famiglie, quando la responsabilità e tutta di chi fissa le regole), ma scoppierà grazie ad una delle norme introdotte con la riforma del lavoro.
Lo denuncia lo Spi-Cgil. “Secondo le nuove norme introdotte con la riforma del lavoro infatti gli anziani saranno considerati alla stregua di veri e propri imprenditori e in caso di licenziamento della persona che si prende cura di loro saranno costretti a pagare fino a 1.400 euro in tre anni, ovvero 473 euro all’anno”. A beneficiare di questo “trattamento di fine rapporto” non sarà però la lavoratrice o il lavoratore, ma l’Inps. Alimenterà l’Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego, fondo che ha il compito di fornire con la riforma un’indennità mensile di disoccupazione ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. Niente di scandaloso, se non fosse che questa misura avrà conseguenze nefaste.
“L’importo dovuto -denuncia lo Spi- non tiene inoltre conto delle diverse tipologie di lavoro e resta del tutto invariato sia che la badante licenziata abbia lavorato per poche ore alla settimana sia che abbia lavorato per otto ore al giorno”. I risultati saranno i seguenti: più costi, più burocrazia per le famiglie di anziani che assumono una badante e conseguente ulteriore aumento del lavoro nero per un settore che secondo le stime conta già due milioni di lavoratori non in regola.
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