Famiglia

Parabole e cavi: così la tivù strozza il calcio

Con l'avvento della pay tv il popolo degli sportivi si trasforma in una massa di telespettatori.

di Pasquale Coccia

Per decenni sono state il punto di riferimento domenicale degli abitanti di quei piccoli centri urbani che non avevano molte occasioni per occupare il tempo libero, e hanno dato vitalità al calcio in miniatura vissuto e partecipato da migliaia e migliaia di persone. Oggi, però, si registra un’inversione di tendenza.Gli spettatori sono diventati teleutenti, il calcio miliardario giocato tutti i giorni della settimana e nelle ore più strane la fa da padrone e, soprattutto, può essere visto comodamente a casa davanti alla Tv. Il risultato è la chiusura dell’attività agonistica delle piccole e medie società sportive di calcio della provincia italiana inghiottite dalla pay Tv, sempre più agguerrita per conquistarsi fette di mercato, e un riflesso, che determina non solo un mutamento delle abitudini, ma anche un consumo sempre maggiore del calcio spettacolo. L’allarme parte dalla Toscana e dalla Campania dove centinaia di rappresentanti di piccole squadre di calcio si sono riuniti per analizzare la situazione e chiedere sostegno ai vertici della Federazione gioco calcio, ma anche agli assessori allo sport degli enti locali ai quali hanno lanciato un appello: «Un nuovo enorme flusso va ad alimentare il circo miliardario e mediatico del calcio». Crollano gli incassi Un fenomeno di cui nessuno denuncia la devastante ripercussione sul mondo dei dilettanti, molto più diffuso e presente sul territorio. Il crollo verticale degli incassi ai botteghini e l’accresciuta difficoltà di ottenere sponsorizzazioni intaccano i conti delle società sportive amatoriali. Di fronte all’improvviso profilarsi di questo scenario i comuni delle grandi città, hanno allargato le braccia assistendo impotenti. «Eppure a loro sono affidate come compito istituzionale la promozione e la cura di questo mondo», continua l’appello. «Una politica coraggiosa potrebbe correggere questa disastrosa tendenza: gli assessori allo sport delle grandi città si costituiscano in un coordinamento per partecipare alla divisione degli introiti per i diritti televisivi» visto che gli stadi dove giocano le grandi squadre sono di proprietà degli enti locali. «Chi conosce il mondo del volontariato sportivo, sa che tipo di supplenza alle istituzioni svolge il calcio dilettantistico e quale prevenzione alle varie devianze rappresenta, perciò chi governa si faccia carico delle problematiche che lo assillano» afferma Graziano Grazzini, che ha vissuto questo ambiente come calciatore e allenatore per circa un ventennio, e oggi è membro commissione sport del Comune di Firenze e consigliere comunale di Forza Italia. È record per il calcio in tv I timori del calcio amatoriale sono più che fondati, visto che la percentuale di coloro che seguono il calcio attraverso la pay-tv è sensibilmente aumentato nell’ultimo anno: le offerte a pagamento di Tele+ e Stream hanno fatto registrare complessivamente 753 mila abbonati, dove la parte del leone la fanno rispettivamente la Juventus con 150 mila abbonati, l’Inter con 133 mila e il Milan con 86 mila. A questo si devono aggiungere le 303 ore trasmesse dalla Rai e quelle delle reti Mediaset, che ha concentrato le trasmissioni prevalentemente sui grandi eventi come la Champion League di calcio con circa 300 ore. La parabolizzazione del calcio sta progressivamente distruggendo un vasto tessuto sportivo costruito in decenni di attività e di esperienza di allenatori e dirigenti, che ha dato vita ai vivai dove hanno trovato spazio migliaia di ragazzi, dai pulcini agli juniores, nonché hanno rappresentato il punto di riferimento proprio di quelle squadre che oggi praticano il grande calcio, e che fino a qualche anno fa attingevano dalla provincia i più promettenti giovani calciatori. Un tessuto che conta 1 milione e 200 mila tesserati, 16 mila società di calcio e 40 mila squadre che giocano ogni domenica in ogni angolo del Paese. Un fenomeno, quello delle pay tv, le cui ripercussioni sociali preoccupano non poco la Cgil, che ha promosso un convegno sul tema, con Sergio Cofferati e il ministro con delega allo sport Giovanna Melandri. Tra le proposte, la Cgil chiede che una percentuale degli introiti della pay tv vada allo Stato, che li destinerà alle associazioni impegnate nella promozione dello sport per tutti. Una proposta del genere è già operativa in Francia, dove un’apposita legge in materia, voluta dal ministro dello sport Buffet, riserva il 5% dei proventi dei diritti televisivi alle società sportive dilettantistiche. Sulle conseguenze sociali determinate dalla pay tv punta il dito Nicola Porro, sociologo dello sport: «Il calcio spettacolo diventa sempre più sofisticato, perché propone un sistema di offerte diverse che condizionano il grande pubblico». La fine dello sport sociale? «È un modello insidioso che priva il pubblico del momento collettivo, a lungo termine ci troveremo di fronte a una vera e propria colonizzazione dei tempi di vita, che saranno calamitati dagli eventi sportivi», osserva Porro, «in Italia e in Inghilterra,alcuni eventi sportivi sono stati tutelati attraverso un intervento istituzionale, per sottrarli agli appetiti delle pay tv, quasi fossero monumenti di importanza nazionale. Inoltre gli sport minori finiscono in un cono d’ombra, perciò avranno poca visibilità sociale. Lo sport attivo subisce una battuta di arresto, perché aumenta quello vissuto passivamente davanti alla tv, la tendenza che si sta manifestando va in questa direzione», conclude. Un riflesso che non solo riduce al minimo i momenti di socializzazione, ma priva di occasione di impegno quelle migliaia di volontari che contribuiscono a mantenere viva questa rete di società sportive: si tratta di un patrimonio sociale da salvaguardare. Un po’ (troppi) dilettanti L’ era del criptato annullerà i grandi ascolti televisivi, questo avrà un riflesso inevitabile anche sulle società di calcio che partecipano al campionato dilettanti. In questo ambito calcistico, però, non si può più parlare di dilettantismo, perché in Italia vi sono oltre 100 squadre che si definiscono tali, ma poi hanno spese di vari miliardi ogni anno. È l’unico caso al mondo! Non si può pensare che il calcio professionistico mantenga economicamente tutto il calcio italiano. Tutte le squadre di serie A e di B hanno costituito un consorzio, facendo un’operazione di puro marketing, e i proventi vengono distribuiti anche tra chi non ha grandi meriti sportivi, anche alle squadre di serie C. La verità è che molte squadre dilettanti vivono al di sopra delle proprie realtà economiche, ricevendo contributi dagli enti locali, dagli sponsor, ma spesso hanno stadi che rispondono a esigenze di gran lunga superiori a quelli delle squadre dilettanti. Inoltre nell’ultimo decennio anche queste squadre si sono dotate di figure come il direttore sportivo, l’accompagnatore ufficiale, ecc. che gravano sul bilancio di una piccola società di calcio. Chi si dichiara dilettante non può andare oltre la partita domenicale giocata con impegno, ma senza pretese economiche. La soluzione migliore sarebbe quella di ridurre notevolmente il numero di squadre iscritte ai campionati dilettanti. direttore della Gazzetta dello Sport


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