Cultura

Papa Ratzinger, la sorpresa della carit

L’editoriale / La prima enciclica di Papa Ratzinger è stata una grande e bellissima sorpresa

di Giuseppe Frangi

Perché un?enciclica in prima pagina? Perché la prima enciclica di Papa Ratzinger è stata una grande e bellissima sorpresa. E quindi il primo slancio è stato quello di condividere questa sorpresa con tutti i nostri lettori: i media, infatti, avendo trovato pochi spunti per imbandire i soliti tenzoni, sono andati con grande superficialità su questo documento. C?era davvero il rischio di sottovalutarlo e di lasciarselo scappare? E sarebbe stato un peccato. Nell?enciclica di papa Ratzinger abbiamo notato un tono ?rifondativo?: è un grande sguardo sul domani, per disegnare un domani dal profilo più umano. Più tollerante e più rispettoso dei diritti di tutti. È una riflessione sui fondamenti che rifugge tutti i fondamentalismi. Mettere la carità come categoria imprescindibile per concepire la presenza della Chiesa nel mondo (su questo Ratzinger è di una chiarezza categorica: parla di una condizione sine qua non), comporta tante conseguenze straordinarie. L?altro – nella sua diversità – diventa la strada obbligata per arrivare al rapporto con Dio. E quindi il rispetto dell?altro non è solo la chiave di rapporti umani volonterosamente diversi, ma è addirittura, per chi crede, una prospettiva di salvezza. Ratzinger procede con un tono pacato; non vuole imporre nessun credo ma vuole persuadere della ragionevolezza del suo pensiero (non un credo giacché proprio lui ci ricorda che il cristianesimo non è un?idea, ma un?esperienza). Ma questa ragionevolezza sarebbe astratta se non si reggesse sull?evidenza storica di dinamismi umani regolati da un desiderio di bene. E cosa meglio del volontariato esprime questo dinamismo? Ratzinger lo sottolinea, con un elogio commosso, senza appiccicare nessuna etichetta, tanto meno confessionale: il volontariato – scrive – è «disponibilità a dare non semplicemente qualcosa, ma se stessi»; è l?affermazione più concreta di una «cultura della vita». Come vedete ce n?è abbastanza per discuterne, ragionarci, approfondire insieme, senza apriori, tra laici e credenti, i fondamenti di un impegno e di una dedizione gratuita al bene comune. è appunto quello che vogliamo fare a partire da questa settimana, perché questo è compito di un giornale come Vita: riflettere, dialogare e raccontare per incrementare la volontà di costruire un mondo migliore. Detto questo, qualche considerazione si può già cominciare a farla: perché l?enciclica di Ratzinger chiude in maniera definitiva una stagione in cui la Chiesa stessa era stata tirata per la giacca. è la stagione disastrosa dei teocon e degli atei devoti (mai aggettivo è stato più fuori luogo: come può convivere la devozione con la prepotenza di chi vuole imporre una linea?) Sono quelli che hanno cercato di portare la Chiesa in prima linea sul fronte della causa dell?Occidente ricco; che l?hanno sognata come avamposto di combattimento, incuranti di quanto i suoi esponenti più autorevoli continuavano invece a dire. Ratzinger, per far terra bruciata sui possibili equivoci, arriva addirittura a scrivere che è un errore concepire l?opera di carità con un secondo fine di proselitismo: non è un errore politico; è un errore sostanziale. Perché per sua natura il cattolicesimo è nato per incontrare e non per scontrarsi. E l?esperienza della carità altro non è che l?esperienza più compiuta di questo andare incontro al mondo, con positività e con ?devozione? vera verso il destino dell?altro.


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