Formazione
Papa Francesco: «per una buona cura allarghiamo gli spazi del cuore»
Udienza papale questa mattina per l'intera comunità dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
di Redazione
Questa mattina l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco. Medici, ricercatori, infermieri, ausiliari, studenti, personale tecnico e amministrativo, religiosi, cooperative, volontari, insegnanti, associazioni, ma soprattutto pazienti o ex pazienti con le loro famiglie, l'intera "comunità" del Bambino Gesù ha incontrato il Papa. In prima fila 150 bambini attualmente in cura presso l'Ospedale, accompagnati dai loro genitori: fra di loro ci sono molti pazienti stranieri provenienti dalle "periferie del mondo" (Argentina, Venezuela, Pakistan, Nepal, Russia, Libano, Moldavia, Ucraina, Bulgaria, Albania, Serbia, Polonia, Congo e Nigeria). In rappresentanza dell'Ospedale sono intervenuti, oltre alla presidente Mariella Enoc, un'infermiera di ruolo, uno studente del Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche, un ausiliario che lavora al Bambino Gesù da oltre 35 anni. Una testimonianza significativa è stata offerta da una ex-paziente dell'Ospedale, priva della vista per le conseguenze di un linfoma di Hodking, oggi laureanda in Medicina e Chirurgia.
Valentina, l’infermiera, ha posto una domanda sui bambini che soffrono: una domanda «grande e difficile», ha detto il Papa, «non ho una risposta, credo sia bene che questa domanda rimanga aperta. Nemmeno Gesù ha dato una risposta a parole. Di fronte ad alcuni casi, capitati allora, di innocenti che avevano sofferto in circostanze tragiche, Gesù non fece una predica, un discorso teorico», lui «non ha spiegato perché si soffre, ma sopportando con amore la sofferenza ci ha mostrato per chi si offre. Non perché, ma per chi». Allora, «più che cercare dei perché», ha invitato il Papa «viviamo ogni giorno per». Valentina ha domandato anche un “medicamento” per chi sta a contatto con la sofferenza: per il papa il medicamento è «riscoprire ogni giorno il valore della gratitudine, saper dire grazie. Lo insegniamo ai bambini e poi non lo facciamo noi adulti. Ma dire grazie, semplicemente perché siamo davanti a una persona, è una medicina contro il raffreddarsi della speranza, che è una brutta malattia contagiosa. Dire grazie alimenta la speranza».
Dino ha parlato della bellezza delle piccole cose, chiedendo però anche spazi più grandi: «Viviamo in un tempo in cui gli spazi e i tempi si restringono sempre di più, si corre tanto e si trovano meno spazi: non solo parcheggi per le automobili, ma anche luoghi per incontrarsi; non solo tempo libero, ma tempo per fermarsi e ritrovarsi. C’è grande bisogno di tempi e di spazi più umani», ha affermato Papa Francesco, ricordando anche che «la qualità della cura non dipende solo dagli aspetti logistici, ma dagli spazi del cuore. È essenziale allargare gli spazi del cuore: poi la Provvidenza non mancherà di pensare anche agli spazi concreti!».
Luca invece, studente, ha chiesto quale dev’essere il marchio di fabbrica del “Bambin Gesù” oltre alle capacità professionali: «A un giovane cristiano che, come Luca, dopo gli studi si affaccia al mondo del lavoro – che deve essere aperto ai giovani, non solo al mercato – consiglierei due ingredienti. Il primo è mantenere vivi i sogni. I sogni non vanno mai anestetizzati, qui l’anestesia è vietata! […] Una vita senza sogni non è degna di Dio, non è cristiana una vita stanca e rassegnata, dove ci si accontenta, si vivacchia senza entusiasmo, alla giornata. Aggiungerei un secondo ingrediente, dopo i sogni: il dono». Il Papa a questo punto ha ripreso le parole di Serena, che «ci hai testimoniato la forza di chi dona. In fondo, si può vivere inseguendo due diversi obiettivi: mettendo al primo posto l’avere oppure il dare. Si può lavorare pensando soprattutto al guadagno, oppure cercando di dare il meglio di sé a vantaggio di tutti. Allora il lavoro, nonostante tutte le difficoltà, diventa un contributo al bene comune, a volte addirittura una missione. Siamo sempre davanti a questo bivio: da una parte fare qualcosa per i miei interessi, per il successo, per essere riconosciuto; dall’altra, seguire l’intuizione di servire, donare, amare. Spesso le due cose si mischiano, vanno insieme, ma è sempre importante riconoscere quale viene prima. Ogni mattina si può dire […] è il mio turno per fare un po’ di bene. Ogni giorno si può uscire di casa con il cuore un po’ chiuso in sé stesso, oppure con il cuore aperto, pronti a incontrare, a donare».
Foto L'Osservatore Romano
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