Paolo Rosa, il mio ricordo dell’artista di Studio Azzurro

di Tommaso Sacchi

Paolo Rosa se n’è andato nel bel mezzo del mese di Agosto, se lo è portato via un malore che lo ha colpito durante il riposo estivo.

Ci ha lasciato un artista che ha saputo dare vita a quella che lui stesso ha definito come  “bottega contemporanea”, ha saputo coniare nuovi linguaggi, ma, soprattutto, è stato tra i primi a interpretare alcuni binomi –talvolta generatori di contrasti- nel campo dell’arte che sono con gli anni divenuti pilastri del contemporaneo.

Ha coniugato il teatro e le nuove tecnologie, l’analogico e il digitale, la sperimentazione audiovisiva più pura e l’arte classica, la disciplina più ferrea nella produzione e l’abbattimento degli schemi dogmatici nell’arte.

Ci ha lasciati un artista e un acuto pensatore che attraverso la negazione delle regole prestabilite ha saputo davvero innovare, ha scavato nel vivo delle arti sperimentali, trovando accostamenti arditi e soluzioni che ci hanno sempre lasciati a bocca aperta tanto sul fronte estetico quanto su quello concettuale.

Ricordo, poco più che bambino, che mio padre –fotografo- mi raccontava di un gruppo di  videoartisti, fotografi, sperimentatori, operatori della multivisione che alla fine degli anni ottanta stavano creando una nuova scena sperimentale a Milano. I nomi di Paolo Rosa, Fabio Cirifino, Leonardo Sangiorgi e, certamente, dello Studio Azzurro erano i più ricorrenti. Di qui la curiosità di conoscere le sue opere.

Due incontri hanno preceduto la nostra conoscenza reale.

Dalla fine del liceo ai primi due anni di università, preparando esami e una ‘tesina’ su video-arte e nuove avanguardie nel campo del visivo, ho frequentato gli archivi, i materiali sulla rete, ho cercato testi critici e ho letto alcuni libri per capire cosa stesse dietro le opere di Rosa e dello Studio Azzurro. Ho conosciuto Il Nuotatore (Palazzo Fortuny, Venezia, 1984), uno dei simboli della ricerca video nel nostro Paese che gioca sulla partecipazione dello spettatore all’evento virtuale: una serie di monitor accostati orizzontalmente ripropongono la dimensione di una piscina attraversata da un nuotatore-performer che percorre la ‘vasca’ a ciclo continuo, poi ho conosciuto  Coro (Mole Antonelliana – Torino, 1995), una videoambientazione interattiva realizzata per conto della Mediateca del Cinema Indipendente Italiano di Torino in cui le immagini, come ologrammi di corpi, talvolta distesi e talvolta rannicchiati, formano una texture capace di sostituirsi alle figure di decoro. Ho conosciuto le molte altre opere che hanno girato il mondo ospitate da alcune tra le più prestigiose istituzioni e dai più raffinati centri di ricerca sul contemporaneo (Documenta a Kassel, la Biennale di Venezia, L’Expo di Shangai, solo per citarne alcuni).

In un secondo momento le sue opere le ho frequentate.

Nel 2004 (anno in cui Genova è stata Capitale della Cultura) ricordo un’installazione di Studio Azzurro dal titolo Transatlantici: scenari e sogni di mare, una mostra pensata come un film, che è insieme documento, postazione interattiva e videoambientazione, che gioca sul binario parallelo della emozione-informazione e la mostra, sempre a Genova -e poi alla Besana di Milano- dedicata alla vita e alle opere di Fabrizio de Andrè, in cui Studio Azzurro, tra le molte proposte interattive, ha saputo restituire allo spettatore il piacere sinestetico nello scegliere, toccare e ascoltare i dischi del cantautore genovese.

In un terzo momento ho conosciuto Paolo Rosa di persona.

Fino allo scorso mese di marzo ho lavorato per l’attuale Giunta nell’Assessorato alla Cultura; con Paolo abbiamo trattato il tema della Fabbrica del Vapore e dei suoi laboratori residenti che lui presiedeva, un tema non facile e che presuppone una grande passione e dedizione. Ho apprezzato e ammirato la sua grande generosità nel dedicare tempo e belle idee e la sua grande predisposizione all’ascolto, anche nei momenti più delicati.

Spero che Milano sarà presto in grado di rendere omaggio alle sue opere ma soprattutto auspico che le istituzioni sappiano fare tesoro e favorire la prosecuzione del percorso di ricerca iniziato da Paolo Rosa che, se non fosse improvvisamente mancato, avrebbe senza dubbio ancora innovato.

 

TS

 

 


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