Cultura

Paola Pitagora: «Papa Francesco è un vero anticonformista»

L’attrice racconta il suo rapporto con la spiritualità, che l’ha sempre accompagnata anche negli anni delle lotte femministe. A proposito di donne, ironizza sulla compagna di Hollande: «Una signora che si fa ricoverare per corna? Mai sentito prima»

di Francesco Mattana

Oltre ad essere un’interprete sopraffina, Paola Pitagora ha il dono della schiettezza. Una schiettezza lucida però, quindi dice ciò che pensa ma senza urtare la suscettibilità di nessuno. Anche Honour -la protagonista dello spettacolo omonimo andato in scena al S.Babila– è molto lucida: il marito che decide di lasciarla dopo oltre trent’anni di regolare tran tran è una bella botta, ma reagisce coi nervi più che saldi. È uno spettacolo che parla di amore, sviscerandone con grande competenza tutte le sfumature. Un testo che è bello perché parla a tutti. E parla anche di attualità: basti pensare al triangolo da pochade Hollande-Trierweiler-Gayet. Si è parlato di questo, con la signora Pitagora, ma anche di molti altri argomenti. Cinquant’anni di esperienza sul palcoscenico ti consentono di capire molte più cose sulla realtà che ti sta intorno. L’abbiamo intervistata proprio per questo, perché è bello starla a sentire. Quando parla di rapporto con la fede, si intravede una profondità non comune. Anche lei, come quasi tutti, è rimasta piacevolmente colpita dalla forza di Papa Francesco. La banalità è la malattia dei nostri tempi e Bergoglio -con la sua capacità di comunicare senza mai scivolare nella retorica- è la medicina migliore.

Nello spettacolo che avete portato in scena interpreti Honour, una donna che vive i giorni dell’abbandono. Proprio in questi giorni la cronaca ci parla della coppia Hollande-Trierweiler…
«Ma a me vien da ridere pensando a questa storia: si fa ricoverare in clinica perché il suo uomo c’ha l’amante…Ci sono per caso le flebo per le corna?? Un po’ di dignità, diamine! Poi in Francia: paese libero, vivo, emancipato…Permettetemi di dirlo: vaffanculo a questa gente qua! Lui poi è un soggetto incredibile: buffo, non ha niente di sexy, quindi immaginarlo nelle sue performance amorose suscita davvero ilarità. Dai, parliamo di cose serie che è meglio».

Ma il tradimento per una donna è un evento sempre doloroso?
«Un momento: la fine di un amore è una delle cose più terribili che ci sia; in un certo senso è un approccio alla morte, dolorosissimo. Certamente il mio personaggio, Honour, fa la scelta migliore: prima di tutto cerca di capire quello che è accaduto, poi la vive da artista: si immagina per filo e per segno tutta la nuova vita affettiva del marito. La sua lucidità la aiuta a superare il momento difficile. Chi non sa fare il percorso di Honour, come deve reagire? Si faccia magari una “pippata” di oppio, piuttosto che reagire come la Trierweiler! Guarda ne ho viste tante nella vita, ma il ricovero per corna mi mancava. Ci dev’essere un’ambulanza particolare…».

Sei stata una protagonista della stagione femminista. Qual era il modello di donna che avevate in mente?
«Ma sai, non è che avessimo in mente un modello specifico: sicuramente pensavamo a una donna autonoma, con una forte dignità personale. Le due ragazze dello spettacolo che portiamo in scena –la figlia di Honour e la giovane amante del marito- hanno entrambe caratteristiche positive: la prima è idealista, ha un universo interiore molto ricco, ma dovrebbe sganciarsi un po’ dal legame paterno; la seconda è sicuramente una che sa quello che vuole, però è troppo arrivista. Bisogna dire poi che l’emancipazione della donna non l’abbiamo inventata noi negli anni Settanta: in questi giorni sto leggendo Doris Lessing, che negli anni Cinquanta scriveva delle cose di una modernità incredibile. Ancor prima Virginia Woolf, Sibilla Aleramo -che tanto soffrì per amore di Dino Campana. E poi Pirandello, ne L’amica delle mogli: lui già allora trovava che vivere sottomesse a un marito fosse un modo di esistere riduttivo, avvilente. La sua ammirazione va alla protagonista, l’amica delle mogli appunto: è una donna così libera che tutti gli uomini sono attratti da lei, ma allo stesso tempo ne hanno timore».

Su Youtube si trova un filmato di una Festa della donna del 1977, da te presentata. Dicevi delle cose attualissime, non è invecchiato affatto quel programma.
«Non posso confermare quello che dici nel senso che proprio non mi ricordo bene i particolari di quella trasmissione. Ricordo benissimo però che in quei giorni ero a Milano, e una signora in via Manzoni mi gridò contro: “Si vergogni, quella cosa dell’altra sera su Raidue era ignobile!” Le risposi: “Signora, mi dispiace per lei…”. Cos’altro potevo dirle?»

Hai avuto modo di recitare una laude di Jacopone da Todi davanti a Wojtyla.
«Sì, credo fosse il 2004. Era un Incontro con la gioventù a Piazza San Pietro. Piovigginava, c’era un’atmosfera magica. Alla fine della performance andammo tutti a omaggiarlo: ho un suo ricordo, una coroncina d’argento molto bella».

Cosa reciteresti davanti a Papa Francesco?
«Guarda, ho un tale piacere a ascoltarlo che preferirei stare seduta, zitta zitta in mezzo a tutti gli altri a godermi le sue parole meravigliose. È una persona formidabile, ha una freschezza incredibile e non dice mai una cosa scontata. Riesce ad essere popolare e anticonformista al contempo».

La spiritualità è una scoperta che hai fatto in età più matura?
«Sono stata in India nel ’72, all’Ashram di Pondicherry, ed ebbi la fortuna di incontrare Mère, la compagna di Sri Aurobindo. Lei all’epoca aveva 94 anni, ma si sentiva ancora tutta l’energia che aveva in corpo. Poi anch’io, come la maggior parte, vengo da estrazione cattolica, andavo in chiesa da piccola. Successivamente ho fatto il giro largo, ho vissuto intensamente e il “peccato” mi ha attraversato. A un certo momento ho sentito l’esigenza personale di riavvicinarmi alla fede».

Parliamo dei Promessi sposi, la cui riduzione televisiva negli anni Sessanta ti ha dato enorme popolarità. Manzoni era un cattolico, ma sicuramente il suo romanzo parla a persone di qualunque orientamento ideologico.
«Io abito nel quartiere Monteverde a Roma, dove gli studenti di un liceo scientifico stanno mettendo in scena I promessi sposi. Ho partecipato a un incontro con questi ragazzi, sono curiosissimi e divertiti. I caratteri manzoniani sono universali: aveva una capacità d’introspezione psicologica incredibile, il suo racconto è di una modernità incredibile. All’inizio non volevo fare Lucia perché avevo un po’ paura dell’icona, avevo intuito che non me la sarei più levata di dosso. In un certo senso questo è accaduto, ma sono contentissima di averlo fatto, è stata un’esperienza bellissima».

Torniamo a Honour, dove interpreti una donna innamorata di un giornalista e critico letterario. È capitato anche a te nella vita privata?
«Ho avuto storie con artisti, ma il giornalista e critico letterario mi manca. Sicuramente non sarebbe una categoria facile da gestire, ma il mondo dei sentimenti è sempre molto complicato».

Nel 2013 ci hanno lasciato colonne del teatro italiano come Anna Proclemer, Franca Rame, Rossella Falk e Mariangela Melato. Sentivi qualcuna di queste attrici vicina alle tue corde?
«Vicina alle mie corde nessuna. Le ho ammirate comunque moltissimo, proprio perché ciascuna di esse aveva una sua specificità irripetibile. L’attrice che in assoluto preferisco è Giulia Lazzarini: ogni volta che la vedo sul palco mi dà sempre un’emozione particolare. Di quei nomi che hai citato voglio parlarti della Proclemer. Prima di morire lei voleva organizzare una festa a casa sua per il compleanno. Nel frattempo lei è morta, ma la serata si tenne comunque. Ebbene, c’era un’atmosfera chiaramente non ilare in quel salotto, però molto serena: c’era la voglia, da parte di tutti, di tenere ancora vicina a sé una persona molto cara. L’ho trovata un’idea geniale, vorrei fare anch’io una cosa del genere quando mi toccherà».

L’altr’anno, quando ci siamo visti per la prima intervista, mi dicevi che le tournée sono belle ma faticose. Confermi quell’impressione?
«Piccole lamentele, le valigie non sono poi così fastidiose. La verità è che il teatro è gioia, sono felicissima di fare questo mestiere».


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