Analisi

Pandoro gate, lo studiano all’università

Economisti aziendali degli atenei di Pisa, Politecnica delle Marche e Catania hanno messo sotto la lente il caso Ferragni-Balocco. I ricercatori: «Il socialwashing? Fenomeno inesplorato in cui non c’è possibilità di misurazione»

di Alessio Nisi

Inesplorato, anche a livello scientifico. Esploso come fenomeno con il caso Ferragni-Balocco, passato alle cronache anche come Pandoro gate, il socialwashing è prima di tutto «una forma di ipocrisia aziendale, in cui c’è un walk e un talk inadeguato» e anche per questo il suo perimetro è «difficile da identificare».

In concreto, «nel Pandoro gate le aziende coinvolte non hanno rinunciato a parte rilevante dei loro profitti, come invece alcuni avevano percepito, e hanno pagato esclusivamente i consumatori», c’è stata inoltre «mancanza di trasparenza aziendale, assenza di riferimenti adeguati alla campagna sui siti web di Balocco o dell’ospedale Regina Margherita, lacune significative nella spiegazione del perché è stata formata la loro partnership di beneficenza, della procedura formale per la selezione dell’ospedale, degli obiettivi strategici perseguiti. La rilevanza della causa benefica è descritta solo in generale». 

Bassa qualità della governance aziendale 

L’errore di comunicazione più grave? «La vaghezza e la donazione minima, rispetto ad una percentuale specifica, più efficace nelle preferenze dei consumatori». Le cause interne che potrebbero aver provocato il caso? I meccanismi di governance. «Una bassa qualità della governance aumenta l’entità del socialwashing. Nell’imprenditoria digitale la governance aziendale spesso svolge un ruolo minimo. Occorre mitigare la gestione opportunistica del ceo e il disaccoppiamento della csr con direttori esterni con competenze di csr e alti livelli di proprietà azionaria». 

The Chiara Ferragni case

Sono alcune delle evidenze emerse in “A communication mistake? Fighting cynical csr and detective social washing boundaries: the Chiara Ferragni case”, studio in corso di revisione per la pubblicazione su una rivista internazionale, curato da Francesca Bernini, professore associato di economia aziendale presso l’Università di Pisa, Marco Giuliani, professore ordinario di economia aziendale presso l’Università di politecnica delle Marche, Fabio La Rosa, professore ordinario di economia aziendale presso l’Università di Catania.

I consumatori consapevoli dei casi di social washing

E le conseguenze? «Oltre a creare perdite economiche», si sottolinea nel paper, «il socialwashing causa gravi danni alla reputazione aziendale. Il tentativo di Ferragni di chiedere perdono», si chiarisce, «non è stato preso sul serio, perché oggi i consumatori sono consapevoli dei frequenti casi di socialwashing, sono più potenti e cinici e diffidano del marchio. In una realtà di informazioni contraddittorie la percezione dell’ipocrisia da parte dei consumatori danneggia la reputazione delle aziende e porta a una doppia colpa, per condotta irresponsabile e per ipocrisia percepita». 

Eventi negativi. Secondo il paper inoltre «potrebbe essere stata sopravvalutata la volontà dei consumatori di perdonare la cattiva condotta dei soggetti coinvolti, anche perché i consumatori sono più sensibili agli eventi negativi che a quelli positivi».

Il numero di VITA magazine ottobre

La donazione dopo lo scandalo

Né, in termini di socialwashing, lo studio ha ipotizzato che fosse efficace la donazione, dopo lo scandalo, di un milione di euro all’ospedale. «I consumatori non hanno ritenuto adeguata la donazione. L’importo percepito dai consumatori generato dall’operazione era superiore a quello realizzato. Il valore della donazione è percepito come diverso se effettuato prima o dopo uno scandalo, anche se l’importo è lo stesso, il che significa che la prospettiva contabile del sin-washer differisce da quella del pubblico».

I confini di un fenomeno sfuggente

Se dunque parlando di greenwashing «abbiamo dei confini molto più delimitati, anche in termini di normative da rispettare, certificazioni e linee guida sia a livello europeo che nazionale (quindi è un po’ più facile cercare di comprendere quando le aziende giocano sporco o, al contrario, sono compliant), nel caso del socialwashing il tema è ampissimo». E soprattutto non c’è possibilità di misurazione. La prima evidenza è l’impossibilità, puntualizzano i ricercatori, di misurare accuratamente il fenomeno e la necessità di iniziare a definirne i confini.

Il ruolo del fraintendimento e della parola. Il socialwashing si presenta con una «dinamica estremamente sfuggente», in cui entra in gioco il «fraintendimento» e in cui «il metro di misura si gioca con la parola e la buona fede». Eppure, nonostante questo suo essere magmatico e sfuggente, il fenomeno produce degli effetti molto concreti. Pesa sulla fiducia delle persone e sulla propensione alla donazione, pesa in termini economici sulle aziende e sugli influencer. 

Il vuoto legislativo

Che fare dunque? Di fronte al vuoto legislativo, ecco cosa è emerso dalla vicenda Ferragni-Balocco, fanno notare subito i ricercatori. «Nel caso studiato il legame emergeva soprattutto col tema delle donazioni di beneficenza. Ci si è resi conto che di fatto c’era un’assenza di regolamentazione chiara che disciplinasse la materia». Centrale in quello che poi è passato alle cronache come decreto-Ferragni, è stato «separare l’attività commerciale» (come poi la stessa imprenditrice si è impegnata a fare). Non solo, ora campagne di questo tipo, che implicano «temi legati alla solidarietà e alle donazioni benefiche, devono essere preventivamente comunicate all’Antitrust con una serie di informazioni in modo che il consumatore non possa essere tratto in inganno».

Gli effetti sulle donazioni

Inganno e tradimento, che possono avere effetti «sul lungo periodo» sul consumatore e sul donatore. Anche qui, l’entità di questi effetti è tutta da valutare. Dai dati dell’Istituto Italiano della donazione – Iid, raccolto fra giugno e luglio 2024 da 347 organizzazioni non profit, e pubblicati nel report “Noi doniamo 2024”, solo il 5% delle organizzazioni non profit ritiene che il Pandoro-gate abbia avuto conseguenze negative sulla propria raccolta fondi. Più di tre su quattro affermano al contrario che il caso Ferragni non ha lasciato tracce (QUI il punto sullo studio).

Le indagini della Procura

Magmatico, sfuggente dunque, ma capace di spingere rapidamente («bisognava dare una risposta immediata al consumatore tradito») il legislatore ad una disciplina. Tutto questo mentre la Procura di Milano ha appena chiuso le indagini per truffa aggravata nei confronti dell’imprenditrice e influencer Chiara Ferragni e di altre tre persone. Secondo l’accusa le società della Ferragni, con le due campagne pubblicitarie «Pandoro Balocco Pink Christmas» e «Uova di Pasqua Chiara Ferragni» avrebbero realizzato un «ingiusto profitto» complessivo pari a 2.175.000 euro.

«Le indagini sono sì concluse, ma è tutto ancora in itinere. Non ci esprimiamo neanche in termini di risultati su questo ambito e non potremmo mai farlo».

La verifica e il controllo delle informative

Ma ad un anno di distanza dallo scoppio del caso Balocco, quel dl partorito in tutta fretta è veramente efficace? «Nei contenuti», spiegano i ricercatori, «sembra abbastanza efficace, soprattutto nel momento in cui obbliga le aziende a comunicare una serie di informazioni». Certo, resta centrale il tema della verifica, «resta da capire poi quanti consumatori realmente vanno a vedere queste informative e soprattutto chi le controlla».

È timida sotto un altro aspetto. «Dobbiamo sempre pensare che non c’è soltanto una questione di deterrenti, di punizioni e sanzioni che vengono combinate se non l’azienda non si rende compliant. Ci deve essere anche», si sottolinea, «un aspetto di premialità» per quelle aziende che assumono comportamenti virtuosi.

Se ne parlerà al Salone della Csr

Al socialwashing e alla necessità di misura la “S” di Esg è dedicato il numero di VITA magazione di ottobre, che trovate qui, e che sarà presentato al Salone della Csr e dell’Innovazione sociale (Università Bocconi, Via Roentgen 1, Milano), il prossimo 9 ottobre alle 12,00, da Stefano Arduini e Giampaolo Cerri. Ospiti Matteo Pedrini, direttore Altis/Università Cattolica, e Laura Tondi, sustainability manager di Ikea Italia.

La foto in apertura è AP Photo/Antonio Calanni, File/LaPresse

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